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Written by: Città e Territorio

A Messina nascono (con fatica) “microspazi urbani”

A Messina nascono (con fatica) “microspazi urbani”

150.000 euro all’anno, per tre anni, da investire in porzioni periferiche di città. Così si sta trasformando il Triangolo “La Palmara”, tra partecipazione e retorica

 

MESSINA. Il peso della ricostruzione, in seguito al grande terremoto del 1908, si traduce per il visitatore contemporaneo in una città duale, molto poco siciliana nell’interpretazione dello spazio e nei riferimenti architettonici. Se il nuovo centro “storico” è caratterizzo da un potente impianto rettilineo, citazionismo architettonico e decorazione seriale, fuoriuscendo dal suo perimetro si entra in quartieri limbo curvati sulla mera funzione abitativa. È il risultato di un modello di ricostruzione inconsapevolmente paradigmatico, incapace di relazionarsi con la grande emergenza abitativa postcatastrofe. I lotti di baracche emergenziali genereranno il destino urbano della “seconda città”, subendo interpretazioni paternaliste dello spazio urbano. Una città di medie dimensioni viene così proiettata in un orizzonte dal sapore metropolitano con quartieri monofunzione, composti prevalentemente da pessima edilizia popolare, stigmi territoriali e numerosi episodi di autocostruzione.

In questo scenario l’Assessorato all’Ambiente, all’Autogestione dei Beni Comuni e al Decentramento, in collaborazione con il “Laboratorio dei beni comuni” e grazie a un protocollo di intesa con gli ordini professionali, ha elaborato nel 2015 il progetto “Microspazi urbani” che, secondo la lettura territorialista, rientra nella categoria neomunicipalista di “Terzo Spazio” (Marsili e Varoufakis, Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo, Bari 2017). Una dimensione laboratoriale che vede l’autodeterminazione dei territori come nuovo aggregatore politico e operativo. Trasformare episodi della “seconda città” (un posteggio usato come discarica abusiva in un campo giochi, uno spazio senza senso in un campo di calcio, il vuoto geometrico tra lotti di case popolari in spazio sociale e ludico) sarebbe già una bella notizia, ma sono le caratteristiche del processo partecipato a conferire qualità e significati a un’operazione che trasforma abitanti storicamente esclusi dall’attribuzione di significati e usi dello spazio urbano in soggetti attivi.

Sulla base di un centinaio di spazi periferici segnalati dai cittadini al “Laboratorio dei Beni Comuni”, sono stati scelti quattro spazi bandiera su cui investire le somme disponibili (150.000 euro all’anno, per tre anni). Lo spazio La Palmara ha costituito il calco per gli altri progetti. Le dinamiche sociali preesistenti hanno generato un processo partecipato con i crismi del caso da manuale, almeno nella fase della progettazione.

Il Triangolo La Palmara

Tutto ha inizio con la relazione instaurata tra gli abitanti del quartiere e il vicino Teatro (dei Naviganti), grazie a una festa nel posteggio in questione che ha messo in moto la catena di richieste. Le riunioni tra gli architetti e gli abitanti del quartiere si sono svolte direttamente nello spazio da progettare; la comunità si è presentata con un’idea precisa sulla metamorfosi; prima della distribuzione delle schede, in grado di intercettare bisogni, desideri e ricordi dello spazio su cui intervenire, gli architetti hanno mostrato esempi d’interventi eseguiti in altri contesti; il progetto elaborato è stato restituito al quartiere in tempi brevi (presso il Teatro dei Naviganti) e ne sono state accolte le criticità sollevate.

Il progetto si presenta misurato nella sua essenzialità. Accanto all’area ludica (giochi per bambini e campo polivalente) si interpreta l’intero spazio prevedendo un’area sociale e un orto sociale. I posteggi vengono disciplinati, si immagina una fontana e la discarica abusiva viene trasformata in area raccolta differenziata. Il leggero salto di quota viene usato per creare un arco di gradoni che citando un anfiteatro producono spazio scenico. Relazionandosi con l’ombra di un piccolo gazebo, la sezione diventerebbe uno spazio di socialità nel quotidiano, connettendosi col vicino teatro e prestandosi a usi rappresentativi soprattutto nel periodo estivo. I volumi e la posizione strategica dovrebbero così cambiare l’immagine stessa del quartiere che si dota di uno spazio sociale, relazionale e potenzialmente identitario. La cristallizzazione del metodo, l’individuazione delle risorse e i partenariati attivati garantiscono un modello facilmente replicabile nei trienni successivi. Una prospettiva progettuale in grado di ridurre la “distanza sociale” tra le due città, sebbene le poche somme a disposizione faranno avanzare il progetto a singhiozzo.

Nonostante la velocità del processo (sei mesi) e le somme già vincolate per il primo stralcio (l’area ludica e sportiva), i tempi per tradurre il progetto in atti amministrativi (individuazione del dirigente, nomina del RUP, conferimenti degli incarichi) si sono allungati (10 mesi), rischiando di fare saltare l’intero processo e trasformando l’entusiasmo e la partecipazione in rabbia e disillusione. La questione si è risolta solo in seguito a numerose pressioni politiche e più ancora sociali (si è organizzata una nuova festa nel posteggio che ha accelerato il processo).

“Microspazi urbani” segnala come anche davanti a un caso da manuale dal punto di vista delle intenzioni e della progettazione, resistenze inaspettate vanno individuate nella sfera squisitamente burocratica e procedurale. Nel binomio comunità/istituzione il concetto di partecipazione non va probabilmente schiacciato sul primo termine. Anche nella seconda sfera si devono innescare processi condivisi. Le istituzioni sono entità complesse dentro le quali convivono più sfere, più attori, più competenze, con uffici non di rado collocati in dinamiche autistiche o di reciproco conflitto. Se la sfera politica, ammesso che sia omogenea, è quella più evidente, quella amministrativo/procedurale è quella meno indagata e per certi versi più opaca.

Le ambizioni neomunicipaliste che vogliono smarcarsi dalla tenaglia di un’Europa votata all’austerity e da nazionalismi reazionari debbono necessariamente confrontarsi anche con questa sfera, soprattutto a livello locale, se vogliono dare corpo a politiche urbane partecipative e territoriali e non trasformarsi in nuove retoriche.

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 Carta d’identità del progetto

Triangolo La Palmara (progetto generale Microspazi urbani)

Committente: Comune di Messina, Assessorato all’Ambiente all’Autogestione dei Beni Comuni e al Decentramento

Gruppo di progettazione: Giuseppe Romano e Rosario Ciotto architetti, Sergio Bruno ingegnere, Carmelo Ardito geometra (i soggetti sono espressione di un protocollo di intesa tra l’Assessorato e gli ordini professionali)

Costo: 84.000 Euro

Contractor: Ing. Antonio Amato. RUP Ing. Massimo Pistorino (Comune di Messina)

Cronologia

2014 Istituzione Laboratorio Beni comuni

2015 Protocollo d’intesa con gli Ordini

2016 Inizio progettazione partecipata

2017 Nomina RUP

2018 Cantiere

Dati dimensionali

Area pedonale mq. 464

Marciapiede mq. 231

Parcheggio mq. 620

Aiuole mq. 74,50 + 135

Area carrabile mq. 1440

Orto sociale mq. 228

Area cultura e socialità mq. 283

Area giochi bimbi mq. 135

Area sport mq. 365

Autore

  • Pier Paolo Zampieri

    Ricercatore in Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Messina. Si occupa prevalentemente di marginalità urbana, immaginario mediatico, Urban art e partecipazione. Su questi temi ha scritto diversi articoli. Tra le sue pubblicazioni: P. Zampieri, Il Quotidiano totale. Dall’apartheid dei nonluoghi a quello dell’immaginario. Barboni e supereroi, Robin, Roma, 2010; P. Zampieri, Zonacammarata: Messina Maregrosso. Paesaggi retroattivi, processi sociali, Linaria, Roma, 2014.

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Last modified: 20 Aprile 2018