Tutela e rinnovamento degli stadi possono convivere. Uno sguardo, tra casi estremi o paradossali, agli interventi di ristrutturazione in Italia e, soprattutto, all’estero
Fin dove ci si può spingere nel forzare le pieghe delle leggi di tutela, per adeguarle alle necessità di sviluppo infrastrutturale ed economico? Il tema è sempre più chiacchierato dopo la recente conversione in legge dell’emendamento “Sbloccastadi”, che ha rilanciato l’eco mediatica in favore della demolizione dello stadio Franchi di Firenze (principale obiettivo del testo, originariamente proposto ad hoc dal senatore Matteo Renzi), ma che ripropone anche doverosi quesiti sugli scenari futuri.
Come scritto in tempi non sospetti da Ugo Carughi su questo Giornale, infatti, gli stadi non vanno svincolati dalle leggi della tutela che il nostro Paese si è dato per salvaguardare l’immenso patrimonio di cui dispone, né vanno visti come edifici di minor importanza solo perché figli del Novecento (di cui, colpevolmente, l’opinione pubblica non riesce ancora a capire il valore architettonico), o perché considerati meno aulici nell’immaginario collettivo. Quello a cui si assiste, però, sembra soprattutto uno scontro ideologico fra le ragioni della tutela e quelle imprenditoriali, acuito da schieramenti-tifosi che banalizzano ulteriormente il dibattito. In passato, le Soprintendenze hanno bloccato importanti progetti in nome della salvaguardia di reperti di relativa priorità, ma questo non è praticamente mai successo nel caso degli stadi di calcio, il cui mancato rinnovamento è da imputare soltanto alla miopia dei comuni e delle società sportive italiane negli ultimi trent’anni.
Ciò che va affrontato è il tema delle modalità d’intervento su questi edifici. Lo ha dimostrato il lungo dibattito per lo stadio Giuseppe Meazza (San Siro) di Milano: la cifra stilistica d’avanguardia restituita dall’ampliamento firmato da Calzolari e Ronca (1955) non è ancora di competenza dei Beni culturali (per mancati limiti d’età; occorre attendere 70 anni), e solo le ripetute richieste del Comune di Milano garantiranno la sua salvaguardia. Un esempio che smonta a priori la teoria delle “Soprintendenze cattive”, che l’emendamento “Sbloccastadi” si propone di contrastare.
I progetti di ristrutturazione a Udine e Bergamo
Ancor di più, vanno presi in considerazione due interventi che dimostrano come ci sia vita oltre la demolizione. Lo stadio dell’Udinese, inaugurato nel 1976 (Giuliano Parmegiani e Lorenzo Giacomuzzi Moore), è stato (quasi) completamente rinnovato fra il 2013 e il 2016, mantenendo la tribuna centrale con la sua splendida copertura ad arco ellittico (ispirata dal monumentale Gateway Arch di St. Louis, Missouri, firmato da Eero Saarinen), e integrandola con i tre nuovi lati dell’impianto attuale. Un intervento virtuoso, com’è ancor di più quello operato a Bergamo in questi mesi. Il rettangolo allungato dello stadio dell’Atalanta (già stadio Atleti azzurri d’Italia, 1928, ingegnere Luigi De Beni), sta trovando una nuova vita grazie alla ricostruzione delle due curve (ora a ridosso del campo, con una moderna struttura dai tratti poligonali), ricollegate con le due tribune centrali storiche, già vincolate dai Beni culturali per le loro facciate neoclassiche, ricche di decori e bassorilievi.
Sguardi esteri
Un quadro più ampio, poi, arriva dall’estero, dove paradossalmente la tutela è più disinvolta – con patrimoni architettonici decisamente minori rispetto a quello italiano -, ma dove (e forse proprio per questo) l’approccio è più diretto, fresco e capace di definire soluzioni degne di considerazione.
Lo stadio Highbury di Londra rappresenta un primo caso studio estremo ma molto interessante. Svuotato di se stesso, dopo la chiusura nel 2006, è stato trasformato in blocchi condominiali che replicano l’ingombro e l’estetica delle vecchie tribune per il calcio, contemplando la puntuale conservazione delle facciate esterne in stile Art Déco, ritagliate e addossate alle nuove costruzioni. Un esempio vicino a una certa visione di “feticismo della storia”, ma senz’altro apprezzabile nel ridare nuova destinazione d’uso al luogo, mantenendone inalterati l’immagine e l’impatto urbano.
Così come va segnalata la ristrutturazione dello stadio Anoeta di San Sebastian, in Spagna [nella foto di copertina, una fase del cantiere]. Qui, un impianto ovale (inaugurato nel 1993) è stato trasformato a pianta rettangolare in modo dinamico, con un guscio traslucido ad avvolgerlo (agganciato alla struttura originaria in cemento armato), abbassando la quota del campo da gioco per ricavare un nuovo primo anello di gradinate, e ricostruendo interamente le due curve, connettendole con la struttura esistente del secondo anello centrale del vecchio impianto.
Nel cercare esempi virtuosi sui quali formarsi un’idea completa, si arriva fino agli Stati Uniti, con la loro visione di costante rinnovamento urbano e architettonico, sublimata nella demolizione e ricostruzione dello storico Yankee Stadium di New York (1923-2008), inaugurato nel 2009 con elementi strutturali che ricopiano i tratti Art Déco dell’impianto originario. Un’operazione meramente estetica che nulla ha a che vedere con la tutela architettonica, riscontrabile invece nel caso del progetto d’integrazione del Soldier Field di Chicago: qui, l’aulico porticato neoclassico, costruito nel 1924 per fare da corona all’impianto del football, è oggi elemento di rottura e dialogo con il nuovo stadio (2003) che, come un’astronave, si cala all’interno del perimetro di timpani e colonne, secondo una stratificazione architettonica che fotografa l’evoluzione del Novecento.
Tutela e conservazione, ma anche adeguamento e rinnovamento. Termini che possono coesistere, ancor più in edifici in costante mutamento come gli stadi di calcio. Intervenire sui nostri stadi storici è possibile, e senza bisogno di leggi ad hoc generalizzanti e dannose. Ciò che serve è la volontà di studiare il caso specifico proponendo, se possibile, un rinnovamento dove il nuovo sappia dialogare con l’esistente, elevando ulteriormente il valore dell’architettura complessiva e della fruizione da parte del pubblico e della città.
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regno unito , restauro , stadi , stati uniti
Last modified: 6 Ottobre 2020
[…] Forse il vero nodo su cui interrogarsi è quale sia la missione degli archivi e dei musei di architettura: restare semplici luoghi di conservazione e consultazione, o essere piuttosto centri di relazione e formazione, poli strategici di promozione di una cultura – quella del contemporaneo – che è sempre a rischio: come dimostra il recente decreto sugli stadi storici. […]
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