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Martha PollakWritten by: Progetti

New York, la performance dello Shed

New York, la performance dello Shed

Visita allo spazio per gli spettacoli progettato da Diller & Scofidio + Renfro nell’ambito dello sviluppo immobiliare Hudson Yards a Manhattan

 

NEW YORK. Una rapida visita al nuovo The Shed di Hudson Yards a Manhattan offre indizi sull’approccio e sui risultati raggiunti con la trasformazione del MoMA: entrambi sono infatti il frutto del lavoro dello studio Diller & Scofidio + Renfro.

Parte di un importante progetto immobiliare che ha portato un’orgia di nuovi grattacieli a funzione mista terziaria e residenziale, lo Shed, a quanto si suppone, è un vero e proprio edificio, a differenza dei lavori più consueti dello studio fatti di ristrutturazioni, ampliamenti e intromissioni con gli edifici esistenti. Esso contiene un grande spazio destinato all’arte il cui involucro, trapuntato e supportato da ruote giganti, potrebbe presumibilmente essere spostato per aprire il suo spazio interno, istituendo così un dialogo con l’immenso centro commerciale piantato al suo fianco.

Con la loro dinamicità e il potenziale di trasformazione, le scelte formali contrastano con i caratteri della solidità architettonica. Negli Stati Uniti questa scelta non è una novità: lo stesso percorso è stato già fatto, ad esempio, da Santiago Calatrava con il recente Milwaukee Art Museum, che apre ogni giorno le sue ali verso il lago Michigan eccellendo anche nell’architettura scultorea.

Lo Shed è parte di un affollato insieme di piaceri architettonici che include anche il curiosamente gratuito “Vessel” di Thomas Heatherwick, sorta di palestra-giungla dall’allungata struttura a nido d’ape che si offre ai visitatori con un groviglio di scale.

Salendo i gradini, per cui il progettista dice di essersi ispirato alla scalinata di piazza di Spagna a Roma, i visitatori possono godere dello stimolante ed esteso panorama di Manhattan, del fiume Hudson e delle spiagge del New Jersey (che sono tradizionalmente snobbate dagli abitanti di Manhattan, ma, ovviamente, lo studio Heatherwick ha sede a Londra).

È un edificio sorprendente che in realtà volge le spalle alla piazza pubblica che, ornata dallo scultoreo “Vessel”, si forma tra il centro commerciale e i grattacieli. Il suo ingresso principale è infatti rivolto verso l’High Line, un precedente intervento degli stessi Diller & Scofidio + Renfro che, sopraelevato e straordinariamente popolare, offre ai visitatori un verde viale che attraversa Lower Manhattan allontanandoli dalle strade.

Una volta entrati, lo Shed accoglie con una grande hall che, proprio come in un hotel alla moda, si riempie degli onnipresenti caffetterie, librerie e arredi per il tempo libero.

I concetti della “progettazione opportunistica” a cui ricorrono gli architetti probabilmente spiegano perché, nonostante la sua indipendenza, lo Shed non lo sia veramente nel suo scavare al di sotto del grattacielo più vicino, adattarsi alle geometrie irregolari dell’area e chiedere al visitatore di scendere nella hall per poi farlo salire agli ambienti principali.

La sua organizzazione interna riflette un approccio-collage alla storia dell’arte moderna e offre spazi costantemente ri-arrangiati in cui fare arte. Dall’atrio-lounge si sale agli spazi espositivi, a un teatro (le cui gradinate plasmano uno spazio che in verità potrebbe essere una sala espositiva, un rifugio per i senzatetto o anche altro) e a vari studi. Sono tutti grandi e spogli, spazi privi di segni distintivi o dettagli architettonici che abbandonano rapidamente il visitatore per cercare, invano, una continuità spaziale o una gerarchia. Sollevando lo schermo che lo separa dalla grande corte si ottiene un nuovo uso per il teatro, trasformato in una balconata che ricorda i posti a sedere fortemente inclinati affacciati sul porto di Boston dell’Institute of Contemporary Art, sempre firmato dal trio di progettisti.

Le scale mobili principali dalla hall portano al vero e proprio Shed, che corrisponde alla grande sala destinata a spettacoli di carattere sociale e artistico. Curiosamente, il collegamento principale tra la piazza e questo edificio per le arti dello spettacolo è proprio il suo spazio presumibilmente apribile, ma quello reale sembra tuttavia essere una specie di aggiunta: arrivando dal “Vessel” o dalla stazione ferroviaria, l’ingresso dello Shed è infatti un passaggio attraverso cui si cade immediatamente in un buco buio in cui alloggia la scala che conduce nella hall principale.

A differenza di quanto accade a New York, l’estraneo edificio, goffo e sgraziato, è fissato a una piattaforma realizzata al di sopra delle vecchie linee ferroviarie, insieme al centro commerciale, ai grattacieli e all’ornamentale “Vessel” che si ergono, isolati e voluminosi, sulla regolare griglia di Manhattan.

 

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Autore

  • Martha Pollak

    Nata in Transylvania (1951), ha conseguito la laurea in architettura all'Università Cornell e il dottorato al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge. Insegna Storia dell'architettura presso il Dipartimento di Storia dell'arte dell'Università dell'Illinois a Chicago. Ha pubblicato libri sui trattati di architettura italiani, su Torino nel Seicento e sull'urbanistica barocca. Già curatrice delle recensioni per il «Journal of the Society of Architectural Historians», è corrispondente del Giornale dell'Architettura dal 2003.

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Last modified: 12 Dicembre 2019