Una riflessione sull’eredità dell’architetto emigrato negli Stati Uniti per concretizzare il sogno comunitario di Cosanti e Arcosanti. Nel centenario della nascita, Torino e il festival “Utopian Hours” lo ricordano con la mostra “Paolo Soleri. From Torino to the desert” dal 18 al 20 ottobre
Paolo Soleri nasce a Torino il 21 giugno 1919 e il 14 giugno 1933, in pieno fascismo, s’iscrive al liceo artistico che aveva sede nella Regia Accademia Albertina di Belle Arti, diplomandosi il 13 ottobre 1938. Frequenta il Politecnico a partire dall’anno accademico 1938-39 fino alla laurea in architettura nella primavera del 1946 con relatore Giovanni Muzio. Dopo, prende la via dell’America per andare a lavorare a Taliesin West da Frank Lloyd Wright (marzo 1947 – settembre 1948), diventa cittadino americano e ritornerà sporadicamente in Italia. Durante gli anni universitari sperimenta in varie direzioni, non solo progettualmente, ma anche con l’uso di tecniche diverse come acquerello, schizzo a matita o tempera.
Torino, i suoi spazi urbani e verdi sono determinanti nel formare il carattere di Soleri, schivo e solitario fin da giovane. Scorrendo il corposo lavoro condotto dalla studiosa palermitana Antonietta Iolanda Lima, alla quale si deve la scoperta dei disegni degli esordi, si comprende quanto la natura circostante la città, nella relazione spaziale tra il pieno del tessuto urbano e il vuoto/pieno del verde abbia influenzato il giovane architetto. Così Torino è il suo punto di partenza per immaginare una visione urbana futura dove il rapporto con il sito sarà un altro fattore determinante nella costruzione di Cosanti e Arcosanti, ma già evidente negli studi delle Turnsole.
I progetti americani di Soleri ricevono subito grande apprezzamento dalle istituzioni come il MoMA, che inserisce le sue opere in diverse pubblicazioni e mostre. Nella pubblicazione The Architecture of Bridges, edita nel 1949 da Elizabeth B. Mock, viene selezionato il suo ponte The beast, progettato durante la sua fellowship a Taliesin, mentre nel 1953 partecipa alla mostra, sempre al MoMA, «Built in USA: Post-war architecture», curata da Henry-Russell Hitchcock e Arthur Drexler, dove viene presentata la Desert House (o Dome House) del 1951 realizzata con Mark Mills, suo compagno a Taliesin. E ancora le mostre «Two Urbanists: The Engineering-Architecture of R. Buckminster Fuller and Paolo Soleri», al Rose Art Museum nel 1964, «The Architectural Vision of Paolo Soleri» alla Corcoran Gallery of Art nel 1970, e nel 1976 la «Two Suns Arcology: The City Energized by the Sun» allo Xerox Square Exhibit Center di Rochester.
Nel 1950 Soleri è in Italia con la moglie Colly e la figlia Kristine. Il viaggio con un pulmino, modificato dallo stesso Soleri in camper, porta la famiglia a Vietri sul mare, la cittadina costiera dei ceramisti salernitani, dove ne impara l’arte da Vincenzo Solimene. Nell’occasione, sarà proprio Solimene ad affidargli il primo e unico progetto realizzato in Europa: la costruzione della fabbrica per la produzione della ceramica (1950-1954).
Questo secondo inizio, dopo i suoi primi ventisette anni torinesi, rappresenta un momento fondamentale per Soleri il quale, al ritorno negli Stati Uniti, inizia a sperimentare nel deserto costruendo, dal 1956 al 1970, Cosanti, per poi dedicarsi al progetto della vita: Arcosanti. Solo in America egli può portare a termine il suo progetto di città; solo in un grande vuoto desertico si può sperimentare senza limiti, così come avviene anche per i landartists. Il concetto di limite, in Soleri, riguarda solo l’aspetto economico insufficiente a garantirgli la realizzazione di Arcosanti, ma sul piano personale il limite non esiste. Lui assume la figura di guru e profeta che evangelizza quei pochi adepti disposti a lasciar tutto per la vita arcologica. Una vita fatta di frugalità immersa nel paesaggio della contea di Yavapai in Arizona, un contesto estremo per gente estrema che vive in una dimensione spirituale diversa dalla massa: così negli anni Soleri è diventato un riferimento, un profeta dell’arcologia.
Se da un lato Soleri – scomparso nel 2013 – ha criticato l’american dream e lo sviluppo della metropoli con l’auto, in chiara antitesi con la Broadacre City di Wright (che invece si sviluppava a partire dall’uso dell’automobile), senza l’american dream, che consente a chiunque di esprimere il proprio desiderio di libertà nei territori della frontiera (il West), l’architetto torinese non avrebbe potuto costruire una città nel deserto senza alcun vincolo. In Europa o in qualsiasi altra città americana non lo avrebbero consentito. Nella deriva della società verso gli egoismi e i populismi, figure guida come Soleri possono assurgere a idoli di una religione pagana dell’architettura.
In copertina: Paolo Soleri, 1919-2013 (foto di Filippo Romano)
Torino: l’utopia di Soleri omaggiata all’interno di “Hutopian Hours”
Interamente dedicato al “fare città”, “Utopian Hours” è il primo festival nazionale che affronta in modo poco convenzionale i molteplici aspetti della costruzione e dello sviluppo dei centri urbani. Giunto alla sua terza edizione, è accolto dal 18 al 20 ottobre a Torino dalla Centrale della Nuvola Lavazza, completata su progetto di Cino Zucchi Architetti nel 2018 nel quartiere Aurora. Accoglie ospiti internazionali impegnati in progetti di trasformazione e rinnovamento, comunicazione e innovazione, costruzione di brand e di comunità, attivismo civico e urbanistica tattica, tutti accomunati dal fil rouge che lo tematizza. Tra gli ospiti invitati, Alfredo Brillembourg di Urban-Think Tank, Patrik Gustavsson direttore della Amager Bakke Foundation (che ha promosso e gestisce l’innovativo temovalorizzatore di Copenaghen progettato da Studio BIG), il fondatore del progetto The Student Hotel Charlie MacGregor (da noi precedentemente intervistato), il fotografo di architettura olandese Iwan Baan e i newyorchesi che animano il panel di discussione sulla città moderati da Jonathan Hillburg di “The Architect’s Newspaper”. Al suo interno, la mostra “Paolo Soleri. From Torino to the desert” (a cura di Emanuele Piccardo) segue il percorso dell’architetto dai disegni della tesi di laurea in Architettura, conseguita nel 1947 al Politecnico di Torino con un lavoro sulla città sabauda, ai progetti più radicali. Una sezione della mostra sarà dedicata al libro Arcology. The City in the Image of Man, pubblicato dalla MIT Press nel 1969, in cui Soleri racconta la sua visione cosmologica e la sua filosofia progettuale, per poi illustrare tramite magnifici disegni come potrebbero essere costruite 30 arcologie, le sue città compatte perfettamente inserite nel contesto ecologico evolutivo della Terra. “Utopian Hours” è promosso dall’associazione no profit Torinostratosferica, che da cinque anni porta avanti un progetto di riflessione sulle città grazie al contributo di architetti, imprenditori, creativi e operatori culturali direttamente coinvolti nei processi di trasformazione.
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Last modified: 16 Ottobre 2019