Bilancio – positivo – per la Fondazione Norman Foster, a due anni dall’inaugurazione
MADRID. Superato il secondo anniversario dall’inaugurazione (l’1 giugno 2017), la Fondazione Norman Foster si è consolidata non solo come archivio, memoria del suo fondatore e punto di riferimento per ricercatori e studiosi di tutto il mondo (più di mille visite nel 2018), ma anche come motore di un’attività di formazione e progettazione di alto impatto, decisamente rivolta al futuro. Sostenibilità e mobilità urbane, robotica, rivoluzione digitale, gli interessi della Fondazione hanno richiamato con successo contributi e idee di giovani talenti ed esperti che convergono in workshop, think tank, dibattiti e presentazioni pubbliche. Tali esiti sono puntualmente accompagnati da importanti ospiti e sponsor internazionali, e da riconoscibili effetti mediatici, dall’abbagliante Forum inaugurale del 2017, “Future is Now”, ai più recenti workshop “Robotics” (novembre 2018), “Digital X” e “On Cities” (febbraio e maggio 2019). Personalità come Michael Bloomberg, Olafur Eliasson, Nicholas Negroponte o Janice Perlman tra tante altre hanno sfilato nei successivi incontri a Madrid. In parallelo, lo studio dedicato a elaborare progetti, piani e design all’interno della Fondazione ha superato con successo la brillante fase di decollo, identificata con il prototipo del Droneport per il Rwanda presentato alla Biennale di Venezia del 2016. Nel suo work in progress, lo studio Foster dispiega una quasi scontata combinazione tra impegnate “missioni” globali per la trasformazione di slum e aree sottosviluppate in paesi come India o Messico, o per la costruzione di scuole in Nigeria, e raffinati progetti per l’alta cultura e società (Waddesdon Stables con la Rothschild Foundation, padiglione di ritiro a Martha’s Vineyard, restauro del Teatro Verde a Venezia).
Tra questi ultimi si potrebbe anche includere il progetto della sede madrilena della Fondazione, elaborato dopo il 2011. Valicate le turbolenze prodotte dallo scontro con i regolamenti e la burocrazia municipale nel 2014, che misero a rischio la fattibilità del progetto (ancora oggi si parla di un aneddoto apocrifo sugli scarabocchi di un architetto municipale nei disegni di Lord Foster, con le perplessità e l’indignazione conseguenti), l’architettura della Fondazione Foster si presenta oggi come la più completa realizzazione del suo stesso studio di progettazione. D’altra parte, l’atterraggio dell’architetto britannico a Madrid, impossibile da capire senza tenere in conto il ruolo della moglie Elena Ochoa, era stato anticipato in opere come il grattacielo “Cepsa” sui terreni del Real Madrid, i progetti per la mancata Città della Giustizia o la galleria di arte e libreria Ivorypress. Ma l’emergenza di Foster nell’architettura locale è entrata ormai in una diversa fase, con la vittoria nel concorso per l’ampliamento del Museo del Prado nel cosiddetto Salón de Reinos come pietra miliare (2016), replicata recentemente nel concorso per trasformare il Museo de Bellas Artes di Bilbao.
La visita
Insomma, grazie all’attività della Fondazione Norman Foster e del suo fondatore, Madrid può vantare di essersi rafforzata come punto di riferimento per la cultura architettonica mondiale. Il valore di un tale contributo è palpabile nella visita, sempre previo appuntamento, alla sede, dove si celano i tesori degli archivi e delle collezioni della Fondazione. Il percorso inizia all’interno della villetta del 1912 progettata da Joaquín Saldaña per il duca di Plasencia, attentamente restaurata e raggiungibile attraverso un cortile-giardino d’ingresso. Negli spazi principali dell’edificio si offre una generosa selezione di disegni, modellini e opere d’arte organizzata in otto “collezioni” che spiegano l’opera di Foster: Heritage, Back to Basics, Skin & Bones, High-Rise, The City, Infrastructure, Flight, Beyond. Il piano interrato della villetta, usato come camera blindata dalla banca che aveva acquistato l’edificio prima dell’attuale trasformazione, è il vero sancta sanctorum dove lo staff s’impegna nella sfida di catalogare e digitalizzare i più di 120.000 oggetti dell’archivio. Tra gli altri spazi, che comprendono quelli dedicati alle attività dei workshop, incontri e progetti, si presenta anche un piccolo studio personale di Norman Foster. Quest’ultima stanza è attrezzata con contenuti più intimi quali il suo progetto per la tesi di laurea a Yale, le matite a colori con le quali continua a riempire di schizzi i suoi quaderni, o il gioco infantile “The Sensational New Erector”, il cui titolo può essere interpretato come una simpatica allegoria in questo contesto. Il percorso finisce nel nuovo padiglione vetrato costruito accanto alla villetta, una sorta di Wunderkammer dove si accostano opere d’arte, ingegneria e architettura: dalla pensilina esterna della scultrice Cristina Iglesias e il tavolo disegnato da Maya Lin, ai modellini di tutti gli aerei pilotati dal fondatore, appassionato del volo, uno dei modelli originali della Dymaxion House o, per finire, la mitica vettura Voisin di Le Corbusier. Presentati come ritratto di una personalità umanista e geniale, i riflessi di questi oggetti si moltiplicano sui vetri e sul grande specchio che fa da soffitto alla sala, evocando la leggerezza dell’ala d’un aeroplano.
Autocostruire la propria immagine
Anche se si avverte che la Fondazione non è un museo, il percorso si presenta come risultato di un progetto espositivo perfettamente controllato che costruisce un racconto preciso sulla figura del fondatore e i leitmotiv della sua immensa produzione
, non a caso curato da un prestigioso critico d’architettura. Definire il racconto che farà la storia della propria opera non è una questione estranea agli architetti, educati al mestiere del progetto, e quindi al controllo sul futuro. Lo sfacciato narcisismo di alcuni maestri mitici della modernità (Frank Lloyd Wright o Le Corbusier) sembra oggi lontano, ma una simile volontà di controllo sulla comunicazione e la narrazione storica è presente anche oggi, seppur in modalità diversissime (da Rafael Moneo a Rem Koolhaas). Alla Fondazione Foster si deve riconoscere, in questo senso, chiarezza e generosità: il suo archivio aperto a studiosi e ricercatori permetterà di costruire tanti altri racconti e sguardi critici, anche a lungo termine.
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archivi digitali , Foster + Partners , madrid , spagna
Last modified: 3 Settembre 2019