Introduzione di un report a puntate, curato da Maria Paola Repellino, sugli interventi nei tessuti consolidati delle grandi città: Shenzhen, Shanghai, Pechino
L’incredibile processo di urbanizzazione che sta investendo la Cina è solitamente descritto per velocità e dimensione delle trasformazioni in corso. Lo sappiamo, la rapida infrastrutturazione del Paese, l’aumento della popolazione urbana, con il conseguente boom edilizio e la straordinaria crescita delle città, fanno oggi della Cina “il più grande cantiere del mondo”. Tutto questo veicola le descrizioni e i racconti che vanno ad enfatizzare da un lato le forme della modernizzazione e l’assenza di una loro misura, con il fascino che ne consegue, e dall’altro la perdita di tutto ciò che la trasformazione rapidamente cancella, venando di nostalgia il diluvio di cronache e reportage.
Ad osservare con un po’ più di attenzione le politiche ed i progetti in corso, questi racconti appaiono datati e poco capaci di rilevare le attuali condizioni. Molte cose sono cambiate: una crescita a ritmi più moderati e orientata all’inclusione sociale, la necessità di lavorare sul tema della continuità culturale; il recupero e sviluppo delle risorse locali; l’emergere di piccoli studi professionali indipendenti. Tanto che pare necessario riportare lo sguardo su una Cina più ordinaria e forse più complessa.
Uno spazio d’indagine capace di rilevare questa complessità è quello dei tessuti consolidati delle città (nicchie vitali che difendono forme e usi tradizionali dello spazio). Qui sono spesso in atto politiche attente a praticare forme di conservazione critica, attente alla tutela di alcuni sedimenti e alla ri-tessitura di storie, senza assumere posizioni di rigida patrimonializzazione. Prendendo come osservatorio tre grandi città – Shenzhen, Shanghai, Pechino – in alcuni loro contesti consolidati si scoprono laboratori di progettazione urbana aperti alla sperimentazione di pratiche ibride tra rinnovamento e conservazione, tra approcci tesi al recupero di tradizioni locali e aperture alle culture più sofisticate del progetto internazionale di architettura.
Tra i chengzhongcun (villaggi urbani) di Shenzhen, i lilong di Shanghai e gli hutong di Pechino, alcune architetture sperimentano soluzioni ibride, capaci di muoversi agevolmente tra conservazione e valorizzazione economica. Si osserva allora qui non solo la capacità delle politiche di governare il cambiamento, ma anche come una nuova generazione di giovani progettisti cinesi – che solitamente si sono organizzati in realtà piccole, strategicamente lontane dalle istituzioni governative dei Local Design Institute – riesce ad interagire criticamente con le esigenze del committente e con il contesto. Si tratta d’interventi puntuali, attenti a leggere la città come una stratificazione di forme ed usi, come ad un palinsesto, per richiamare le parole di André Corboz, operazioni fondate su un’argomentabile selezione di cosa possa essere conservato e cosa modificato o demolito, sull’inserimento di nuove forme e organizzazioni spaziali capaci di dialogare con la preesistenza, che stabiliscono un nuovo legame tra spazi, usi, funzioni e significati.
Gli articoli raccolti in questa indagine guardano così alle forme di una conservazione critica in un momento (ancora) di forte sviluppo economico e infrastrutturale. Quale tipo di conservazione si promuove? Che uso si fa delle cose che si conservano e patrimonializzano? Attraverso queste domande, e nella persistente tensione tra un pragmatismo rampante e i valori implicati dall’eredità del passato, i progetti presentati nei contributi che seguiranno s’interrogano infine su come alcune recenti esperienze di progettazione costruiscano meccanismi d’inclusione del tessuto storico nella città che cresce, o se al contrario determinino tradizionali fenomeni di patrimonializzazione e gentrificazione analoghi a quelli conosciuti in Occidente.
Immagine di copertina: disegno di Nan Luo Gu Xiang (© 绘造社 Drawing Architecture Studio)
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cina , cronache cinesi
Last modified: 13 Febbraio 2019
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