Una mostra e un convegno internazionale festeggiano i 50 anni del MASP, il Museo di Arte di San Paolo progettato da Lina Bo e Pietro Maria Bardi
SAN PAOLO DEL BRASILE. «Lina Bardi, soltanto oggi ho visitato il suo museo. E’ molto bello. Il migliore e più bel museo che conosca». Dalla data di questa nota manoscritta di Oscar Niemeyer a Lina Bo Bardi apprendiamo che la prima visita di Niemeyer al MASP avviene appunto il 16 ottobre 1987, diciannove anni dopo l’apertura. Parte della mostra alla Casa de Vidro-Instituto Bardi per le celebrazioni dei 50 anni del MASP, questo documento è contributo interessante sia per il dibattito sulle questioni di genere in architettura, sia per comprendere il contesto culturale brasiliano, con Niemeyer in esilio dal 1967 al 1980.
Il MASP, a cui le due iniziative di mostra (fino al 17 novembre) e convegno (il 5 novembre) sono dedicate, è frutto dell’attività congiunta di Lina Bo con il marito Pietro Maria Bardi – del quale ultimo è fondamentale proseguire il recupero storiografico, dopo il successo internazionale raggiunto da Lina, oggi perfino mitizzata. Si tratta di un lavoro sviluppato attraverso una serie di articolazioni sperimentali (a partire dal cosiddetto MASP Sete de Abril, che Bo & Bardi montano già dal 1947 nella sede del giornale Diários Associados di Assis Chateaubriand), a loro volta riferendosi alle riflessioni su Musei senza limiti formalmente cominciate da Pietro nel 1946 e proseguite da Lina nel 1951. Dalla data di inizio protocollare (1957) il progetto del MASP attraversa fasi di stanca ma anche di nuova energia, con una serie di accumulazioni di senso negli anni 1959-1964 quando Lina a Salvador de Bahia incontra l’Afro-Brasil, per sviluppare una pionieristica ricerca oltre l’eurocentrismo modernista. Sponsorizzato appunto dal magnate della comunicazione Chateaubriand, il MASP viene concepito come il più importante museo di arte – ove per arte s’intende quella d’Occidente – in America Latina. Ciò arriva ad esito nel contesto di un Brasile già in mano ai militari e nell’imminenza dell’esplicitazione della dittatura attraverso l’AI-5 (Atto Istituzionale n.5 del 14 dicembre 1968, al quale è dedicata un’interessantissima mostra): il 7 novembre 1968 è infatti la massima erede del colonialismo, la regina Elisabetta II di Gran Bretagna, ad aprire il museo in occasione della sua visita ufficiale.
Resta a tutt’oggi forte il contrasto tra il volume sospeso lungo la Avenida Paulista, unanimemente riconosciuto come eredità del modernismo internazionale – ed il suo allestimento interno immersivo, con le opere a formare un paesaggio che vive insieme ai visitatori facendo pensare ad uno sguardo “democratico” che attraversa e connette, secondo il tempo non-lineare di cui Lina scriveva, le opere d’arte dell’altra parte del mondo. Tecnicamente, grazie alla collaborazione dell’ingegner José Carlos Figueiredo Ferraz, è il cemento armato precompresso – come nel Ponte Morandi di Genova ma, a differenza di quello, oggi attentamente monitorato grazie al progetto “Keeping It Modern” di Getty Foundation – che permette i 70 metri di luce libera del MASP. E non è un caso che, dietro al titolo mutuato da una famosa canzone di Gilberto Gil, la mostra “Infinito vão – 90 anni di architettura in Brasile” nella Casa dell’Architettura di Matosinhos in Portogallo, oggi riconosca proprio questo spazio pubblico del MASP inventato dai migranti Bo & Bardi come facente parte del DNA dell’architettura brasiliana.
Infine, vedremo se, dopo le recentissime elezioni che hanno portato l’ultradestra al potere anche qui in Brasile, si avvererà l’auspicio della curatrice Fernanda Brenner – scritto a margine di una mostra al MASP – secondo la quale i musei brasiliani dovranno divenire centri per la promozione di valori democratici.
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anniversari , brasile , congressi , mostre , musei
Last modified: 5 Novembre 2018
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