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Emanuele PiccardoWritten by: Città e Territorio Forum

La catastrofe permanente

La catastrofe permanente

Riflessione tra (in)cultura dell’emergenza, sovrapposizioni di ruoli e trasparenza delle procedure, a seguito del sequestro del Centro polivalente Norcia 4.0 progettato da Stefano Boeri Architetti

 

L’Italia subisce ogni anno molte catastrofi. In misura maggiore alluvioni e in misura minore terremoti, nel 2009 a L’Aquila, nel 2012 in Emilia Romagna e nel 2016 Marche, Umbria e Lazio. Uno stato che vive nell’emergenza. Emergenza che causa deroghe alle leggi urbanistiche ordinarie, spreco di denaro pubblico, corruzione e illegalità, come hanno dimostrato le inchieste sul terremoto aquilano, emiliano e quelle in corso sulla ricostruzione ad Amatrice ed Accumoli. In un articolo di Repubblica del luglio 2017 si evidenzia il problema dell’assegnazione degli appalti dei moduli abitativi ad una società appartenente al consorzio CNS, riferito all’ultimo terremoto umbro-marchigiano-laziale. 
Questa è la situazione del nostro paese quando deve affrontare la ricostruzione, letta dagli imprenditori come opportunità per speculare sulla pelle dei cittadini. Sono lontani i tempi in cui la politica riusciva a governare la ricostruzione con un progetto fortemente incentrato sull’architettura, come nel caso dell’Ina Casa, dove i migliori architetti italiani erano stati chiamati a fornire il loro contributo. Oggi questo non accade; nessun terremoto recente ha generato occasioni progettuali per le giovani generazioni di architetti, salvo rari casi. Come scrissero su questo giornale Matteo Agnoletto, Luigi Bartolomei, Paola Bianco introducendo l’inchiesta sulla ricostruzione emiliana: «I progetti con una riconoscibile forza “fondativa” dopo l’evento traumatico sono pochi e alla qualità ha prevalso decisamente la quantità».

La catastrofe è dunque un problema culturale. Se da un lato non si fa mai abbastanza prevenzione informando i cittadini sui comportamenti da tenere in caso di emergenza, dall’altro, quando si ricostruisce, la fretta pare essere l’unica regola certa pregiudicando il futuro assetto del territorio nel disinteresse di tutti: cittadini, media e politici. Non si fa formazione sulla catastrofe ai cittadini e agli addetti ai lavori, architetti, ingegneri, geometri, imprenditori, sindaci, sperando che il buon Dio ci protegga. L’assenza di una cultura della catastrofe insieme alla disorganizzazione dei piccoli comuni impreparati a fronteggiare fenomeni sconosciuti, terremoti e alluvioni, determina un’incapacità nel risolvere le emergenze. Nelle zone sismiche spesso non si hanno piani di protezione civile, né aree attrezzate da utilizzare per l’insediamento dei moduli di prima assistenza. Questi ultimi, inoltre, non sono mai allocati nel territorio soggetto alla catastrofe ma vengono sempre portati da Esercito e Protezione civile: un altro aspetto che andrebbe risolto. Invece si continuano a costituire sottostrutture come Casa Italia, la quale si sovrappone a Italia sicura.

Secondo Enzo Boschi, docente di Sismologia all’Università di Bologna, «Dal 1600 ad oggi in Italia si sono verificati 201 terremoti di magnitudo pari o superiore a 5.5; in media, uno ogni due anni. La magnitudo 5.5 non è scelta a caso: quella per cui da noi si cominciano ad avere danni importanti e anche vittime». Questo dipende dalle tecniche costruttive delle abitazioni, dall’assenza di un adeguamento strutturale che consenta agli edifici, privati e pubblici, di resistere alle scosse, ma occorrono incentivi economici per rendere sicure le nostre case, scuole e uffici. Fin dal terremoto irpino del 1980 il temporaneo si è trasformato in permanente, il container prima e la casetta prefabbricata poi. L’architettura è la grande assente dalla ricostruzione. I consorzi di cooperative come CNS, forniscono casette in serie che vengono installate senza una pianificazione che possa ricostruire la matrice urbana delle città e dei borghi dell’Italia centrale, bensì creando ghetti sociali, senza spazi pubblici e di culto, come invece accade in Giappone grazie ai progetti di Shigeru Ban, dal terremoto di Kobe (1995) fino a Onagawa (2011). Temi storicizzati nei due numeri monografici di “Opere” e “archphoto2.0”; il primo dal titolo eloquente Un terremoto ci salverà (a cura di Guido Incerti), mentre il secondo intitolato Disaster (a cura di chi scrive), pubblicati nel 2012-2013.

Il recente caso del sequestro del Centro polivalente Norcia 4.0 progettato da Stefano Boeri Architetti, ritenuto dall’ordinanza del Gip come opera permanente e non temporanea (nell’immagine a fianco; fonte udinetoday.it), evidenzia un cortocircuito legislativo tipicamente italiano. Un’Ordinanza di Protezione civile (n. 389 del 28 agosto 2016) ribadisce la legittimità dell’opera, come si evince dall’articolo 3 comma 2: «Per la realizzazione dei soli interventi urgenti finalizzati alle operazioni di  soccorso, alla messa in sicurezza dei beni danneggiati, all’allestimento di strutture temporanee di ricovero per l’assistenza alla popolazione nonché per l’esecuzione di strutture temporanee per assicurare la continuità dei servizi pubblici e del culto, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico della direttiva del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1 dell’Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile n 388 del 26 agosto 2016 possono provvedere, sulla base di apposita motivazione, in deroga alle disposizioni normative del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articoli 21, 22, 23, 26, 136, 142, 146, 147, 152, 159 e relative norme di attuazione». La deroga ai suddetti articoli al Dlgs 22 gennaio 2004 n. 42 riguarda proprio i vincoli paesaggistici. Così, in emergenza, l’Ordinanza della Protezione civile (che dipende dalla Presidenza del Consiglio) consente di costruire strutture temporanee senza seguire la normale prassi burocratica cui ogni progettista è tenuto attraverso la presentazione del progetto alla Soprintendenza per il rilascio, laddove necessaria, dell’autorizzazione paesaggistica. Quindi tre organi dello Stato, Protezione civile, Procura e MIBACT, hanno una diversa interpretazione della tutela dell’interesse pubblico. In mezzo stanno i terremotati, che subiscono passivamente la situazione. Il legislatore dovrà rivedere le norme per evitare che strutture temporanee come i moduli prefabbricati, all’Aquila come a Norcia, restino per vent’anni e si trasformino in permanenti, come la storia dei terremoti ha finora dimostrato.

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Architettura e potere

La relazione morbosa tra architettura e potere si è sempre manifestata

fin dalla costruzione della basilica di San Pietro, tra Giulio II e Donato Bramante nel 1505 [qui accanto, un dipinto di Horace Vernet del 1827 in cui Papa Giulio II ordina a Bramante, Michelangelo e Raffaello di costruire la Basilica di San Pietro a Roma], tra il barone Haussmann e Napoleone III, o con Marcello Piacentini e l’applicazione dell’ideologia fascista all’architettura. È un fenomeno che non si è mai attenuato: basti pensare ai rapporti opachi tra Le Corbusier, Stalin e Mussolini, quando l’architetto svizzero cercava chi potesse attuare i suoi progetti urbani. Ogni qualvolta un architetto si confronta con il potere politico, almeno in Italia, si crea un cortocircuito al limite della legalità, tra incarichi diretti, turbative d’asta, corruzione. L’incarico diretto è previsto ma non presuppone confronti con altri progettisti: è accaduto già al G8 mai aperto alla Maddalena. Un’inchiesta condotta dal giornalista di Repubblica Paolo Berizzi aveva evidenziato l’ennesimo problema degli appalti e il lievitare dei costi senza nessun beneficio per la collettività. Il mese scorso il Tribunale di Roma ha condannato alcuni dei protagonisti dell’epoca: Angelo Balducci, ex presidente alle Opere pubbliche e l’imprenditore Diego Anemone. In una nota del 2010 dello studio Boeri, a firma Michele Brunello (inviata a Luigi Prestinenza Puglisi, e a Luca Guido che aveva contestato l’operazione Maddalena su presstletter), si scrive che: «Stefano Boeri è stato chiamato da Guido Bertolaso e da Renato Soru a svolgere una consulenza circa la definizione degli assetti urbanistici ed architettonici del Summit G8. La condizione di urgenza era evidente, poiché mancavano solo 16 mesi all’evento e bisognava fare dei lavori enormi, e non c’erano i tempi per predisporre i progetti istruendo concorsi di idee e percorrendo un iter ordinario».

Dunque ancora una volta è l’urgenza il paradigma della ricostruzione: un’anomalia italiana consentita unicamente ad una ristretta cerchia di professionisti ed imprese, a fronte di migliaia di colleghi che faticosamente ogni giorno si confrontano con gli organismi dello Stato, comuni e soprintendenze, per ottenere l’approvazione dei loro progetti per via ordinaria. D’altronde noi siamo il paese dove si consente ad un altro architetto del potere, Massimiliano Fuksas, di sbagliare la misura del Centro congressi all’Eur e invadere per due metri Viale Europa a Roma, senza che nessuno paghi per l’errore, con un’incidenza economica per la collettività.

Non tutte le situazioni di emergenza sono uguali. Se ritorniamo al terremoto dell’Emilia, con i fondi raccolti da Confindustria, dai sindacati Cgil, Cisl, Uil, ai quali si è poi aggiunta Confservizi, è stato costituito il trust Nuova Polis che ha commissionato a Mario Cucinella Architects la Casa della Musica a Pieve di Cento, il Centro per lo sport e la cultura di Bondeno (Ferrara), la Scuola di danza a Reggiolo (Reggio Emilia), il Centro ricreativo a Quistello (Mantova), il Centro socio-sanitario a San Felice sul Panaro (Modena). Su 160 candidature, Cucinella ha selezionato sei giovani progettisti under 30 residenti nelle aree colpite dal sisma che hanno contribuito alla realizzazione delle opere, le quali hanno ricevuto autorizzazioni ordinarie. Un approccio diverso rispetto a quello attuato per la realizzazione del centro Norcia 4.0.

In questi giorni il rapporto architettura-potere viene enfatizzato a Norcia dal ruolo dei media, con un atteggiamento simile al disorientamento dell’opinione pubblica in Quarto potere di Orson Welles. In particolare “Il Corriere della Sera” e La7, committenti dell’opera, basata sulle donazioni degli italiani, hanno attuato una dura protesta contro la Procura, con articoli e servizi in difesa della loro immagine e del progettista, senza fornire un quadro esauriente della situazione, per dirimere la questione temporaneo/permanente, ma fornendo solo un punto di vista parziale e populista. In questo modo non si fa un buon servizio pubblico perché il potere difende sempre se stesso.

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 21 Marzo 2018