Il Premio Mies van der Rohe è diventato un’occasione che ha aiutato a cogliere la centralità culturale, sociale e simbolica in un’Europa che ancora stenta a fissare un’identità forte e comune
Trent’anni e quindici edizioni. Il Premio Mies van der Rohe è diventato una di quelle occasioni che hanno aiutato a cogliere la centralità culturale, sociale e simbolica in un’Europa che ancora stenta a fissare un’identità forte e comune. Cadenza biennale, dedicata solo a opere costruite nel nostro vecchio continente nel biennio precedente, sempre accompagnato da giurie prestigiose che mescolano progettisti e critici, un criterio di selezione e lavoro capillare che parte da segnalazioni di decine di esperti sparsi in tutta Europa fino ad arrivare a un gruppo di opere che poi compongono la mostra finale e il mazzo magico da cui estrarre il vincitore.
Scorrere le opere vincitrici aiuta a leggere un frammento di occasioni importanti per il miglioramento della qualità urbana di uno dei tessuti metropolitani più importanti e densi del mondo: Banco Borges e Irmao a Vila Conde di Alvaro Siza (1988), New Terminal di Stansted a Londra di Norman Foster (1990), Padiglione Olimpico di Badalona di Bonell e Rius (1992), Waterloo Station a Londra di Nicholas Grimshaw (1994), Biblioteca Nazionale di Parigi di Dominique Perrault (1996), Museo d’Arte di Bregenz di Peter Zumthor (1998), Centro Kursaal a San Sebastian di Rafael Moneo (2001), l’ampliamento del Terminal Hoenheim a Strasburgo di Zaha Hadid (2003), Ambasciata Olandese a Berlino di Rem Koolhaas (2005), MUSAC di Castiglia e Leon di Mansilla & Tunon (2007), Teatro dell’Opera di Oslo di Snøhetta (2009), restauro del Neues Museum di Berlino di David Chipperfield (2011), Concert Hall di Reykjavik di Batteriid+Henning Larsen e Olafur Eliasson (2013) e la Philarmonic Hall di Szczecin in Polonia di Barozzi/Veiga (2015; nella foto di copertina). Dal 2001 si è anche aggiunto il premio per gli autori under 40 che ha acceso una forte attenzione all’architettura emergente in un continente che ha anche inventato le borse di studio Erasmus e i concorsi Europan, dando una spinta clamorosa e unica al mondo alla progettazione giovane.
Predilezione per grandi opere istituzionali e dominio incontrastato dei grandi studi main-stream in aria di Pritzker (8 su 15), 4 vincitori inglesi e spagnoli, poi uno per Svizzera, Portogallo, Islanda/Danimarca, Olanda, Francia e Norvegia. Italia a secco malgrado alcuni ottimi progetti finalisti e la metà dello studio vincitore dell’ultima edizione (magra consolazione). Ma la selezione allargata di ogni edizione e i libri che le accompagnano in realtà ha aperto progressivamente le porte alla conoscenza delle prime, importanti opere di architettura contemporanea negli ex Paesi dell’Est, di realtà praticamente invisibili alla critica e di molti autori che non avrebbero mai avuto tanta evidenza.
Non si è mai attesa da questo premio l’individuazione di opere eccessivamente sperimentali ma piuttosto quella di una qualità media evoluta che spesso ha fatto da traino ad altre ricerche, soprattutto in quei Paesi in cui l’architettura moderna era considerata ancora un problema. Per questo il Premio Mies van der Rohe ha ancora tanta rilevanza simbolica e a ogni ciclo si gioca l’attenzione pubblica e critica insieme al più ricco Pritzker e all’Aga Khan Award, entrambi più dotati economicamente e con storia più lunga.
Il Premio Mies van der Rohe, Europan ed Erasmus hanno reso l’Europa il continente che investe più di ogni altra realtà mondiale nel riconoscimento pubblico dell’architettura e della sua centralità nel contribuire al miglioramento della nostra vita quotidiana e collettiva. Un valore di cui essere consapevoli e da difendere a tutti i costi.
Premio Mies, i numeri e la mostra alla Triennale di Milano (di Arianna Panarella)
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Last modified: 16 Gennaio 2017
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