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Emanuele PiccardoWritten by: Forum

Schumacherismo (ovvero un’assenza di idee portate all’estremo)

Le recenti affermazioni di Patrick Schumacher, nuovo responsabile di Zaha Hadid Architects dopo la scomparsa della fondatrice anglo-irachena, meritano una riflessione sul rapporto tra mercato, media e architettura

 

Nella conferenza tenuta in occasione del recente World Architecture Festival di Berlino, Patrick Schumacher ha usato toni aspri nei confronti delle regole urbanistiche imposte dal governo britannico, nella speranza che le nostre città siano sempre più libertarie e prive di regole, in modo da consentire agli immobiliaristi il totale governo del territorio. Come se questo fatto non fosse già abbastanza preponderante nelle scelte di politica urbanistica pubblica. Costruire città sempre più ghetto con nette separazioni di classe dove si attua l’esclusione sociale.

Il portale inglese Dezeen ha per primo, come sottolineano con orgoglio, rilanciato le deliranti visioni in stile Trump di Schumacher. Privatizzare la città, inveire contro chi occupa zone centrali di pregio in favore di una gentrificazione, abolire leggi per facilitare le speculazioni senza un progetto organico d’interventi ma ponendo al centro sempre e comunque il mercato. Costruire dentro a Hyde Park, abolire l’housing sociale, dimenticando la lezione londinese del New Brutalism promossa da Alison e Peter Smithson negli anni cinquanta. In questo cortocircuito s’inserisce il commento dell’autorevole Guardian che stigmatizza l’intervento di Schumacher definendolo libertario e anarco-capitalista.

Le dichiarazioni rese alla platea berlinese hanno suscitato molte critiche, soprattutto online, da parte della cultura architettonica. È il caso del critico olandese Bart Lootsma che ha evidenziato le contraddizioni di Dezeen per aver prima osannato Schumacher, e successivamente aver rettificato la propria posizione per pulirsi la coscienza e pubblicare una serie di articoli critici. Tra i commenti più interessanti quello di Phineas Harper, direttore dell’Architecture Foundation e vice-direttore di “The Architectural Review”, intitolato It’s time to stop listening Patrick Schumacher. Pubblicato su Dezeen, conia il termine Schumacherismo, ovvero un’assenza di idee portate all’estremo: “Quello che dovremmo denunciare”, scrive Harper, “è il palcoscenico di alto livello che il mondo dell’architettura gli fornisce… Questa concessione che gli viene fatta dimostra la debolezza intellettuale della nostra professione, incapace di criticare duramente un’archistar”. Questo evidenzia il rapporto servile che testate giornalistiche di architettura come Dezeen, hanno nei confronti delle archistar, sottomettendosi al loro potere.

L’indignazione suscitata da Schumacher è culminata nelle proteste davanti allo studio londinese di Zaha Hadid, che ha prontamente preso le distanze dal suo direttore attraverso il seguente comunicato:

L’urban policy manifesto di Patrik Schumacher non riflette il passato di Zaha Hadid Architects e non sarà il nostro futuro.
Zaha Hadid non ha scritto manifesti. Lei li ha costruiti.
Zaha Hadid Architects ha consegnato 56 progetti destinati alla collettività in 45 città di tutto il mondo.
Rifiutando di essere confinata da limiti o frontiere, Zaha non ha mai riservato le sue ideologie per i proclami pubblici. Lei le ha vissute.
Ha profondamente creduto nel forte collaborazione internazionale e siamo molto orgogliosi di avere nel nostro ufficio di Londra un team di grandi talenti di 50 nazionalità diverse, compresi quasi tutti i paesi dell’UE. Il 43% degli architetti di ZHA appartengono a una minoranza etnica e il 40% dei nostri architetti sono donne.
Zaha Hadid non solo ha frantumato tutte le barriere, ma ha invitato i frantumi – di qualsiasi razza, sesso, religione o orientamento fossero – a unirsi a lei nel suo viaggio.
Innestando la cultura della ricerca collettiva in ogni aspetto del nostro lavoro, Zaha ha costruito una squadra di talenti e discipline diversificati, e noi continueremo ad innovarci verso un’architettura di inclusività.
Architetti di tutto il mondo stanno lanciando appelli perché la professione diventi più inclusiva. Anche la stampa nazionale e internazionale ha fatto un ottimo lavoro mettendo in evidenza le criticità del tema degli alloggi e le minacce per gli spazi pubblici vitali.
Attraverso la sua determinazione e il duro lavoro, Zaha ha mostrato a tutti noi che l’architettura può essere democratica. Lei ha ispirato nuove generazioni in tutto il mondo a interagire con il loro ambiente, a non smettere mai di mettersi in discussione e di aprirsi all’immaginazione.
Collaborando con committenti e comunità di tutto il mondo che condividono questa visione, tutti i membri di Zaha Hadid Architects sono impegnati ad onorare l’eredità di Zaha, lavorando con passione e impegno per progettare e fornire progetti più progressivi per tutti.

 

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 4 Dicembre 2016