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Ugo CarughiWritten by: Patrimonio

La legge sul diritto d’autore non funziona

La legge sul diritto d’autore non funziona

Analizzando sui pochi casi concreti di applicazione, il presidente di DoCoMoMo Italia riflette sui limiti della legge n. 633 del 1941

 

Lungo la penisola i casi d’architetture del secondo ‘900 sottoposte alla legge sul ‘diritto d’autore’ sono qualche decina. Alcune datate, come il Grattacielo Pirelli (1959) e l’Istituto Marchiondi (1957), a Milano. Altre più recenti, come la Facoltà d’Ingegneria a Napoli (1972), l’ex colonia marina Enel a Riccione (1961-63), o la Facoltà di Magistero a Urbino (1968-76). Ma troviamo anche opere meno note, come il modenese cinema Olympia (1954), o l’Arcispedale di Santa Maria Nuova a Reggio Emilia (1965). Talune, sottoposte alla legge addirittura a pochi anni dalla realizzazione, come l’Auditorium Paganini a Parma (2001) o lo stadio di Bari (1987-1990), oppure la filiale del Banco di Roma (1985) o il nuovo Palazzo municipale di Fiumicino (2003).

Sembra che la nuova Direzione del MiBACT per l’Arte e l’Architettura contemporanee e le Periferie punti prevalentemente su questa legge come opportunità di tutela delle architetture più recenti. Ma, vista la sua ben scarsa efficacia, non se ne comprende la ragione.

 

Quando, ad esempio, nel 2006, il Comune di Segrate decise di trasformare il Centro civico di Guido Canella, Michele Achilli e altri (1963-66, un’opera avulsa dalle indeterminatezze dell’hinterland milanese e anzi concepita per “creare contesto”) in Centro sociale di formazione per le arti, Canella e Achilli predisposero un progetto di adeguamento, assumendo la direzione dei lavori nel dicembre 2009. Ma nel 2010 la società Valore Reale SGR, soggetto attuatore, annullò il contratto con i professionisti. Seguirono gli appelli del mondo culturale e le “raccomandazioni” della stessa Soprintendenza. Tutto inutile: l’aspetto esterno è stato alterato. Il Centro per le Arti “Giuseppe Verdi” è stato inaugurato nel 2013 ma la causa intentata dallo Studio Canella-Achilli nel 2012 è ancora in corso. Non pensava all’opera, il giudice, quando ha formulato il seguente quesito: “Le opere eseguite recano un pregiudizio agli autori?”.

L’autore può anche essere il diretto artefice della distruzione della propria creatura: emblematico il caso dell’Arena Flegrea, opera di straordinario valore architettonico e paesaggistico, realizzata a Napoli nel 1940 da Giulio De Luca nel complesso della Mostra d’Oltremare, cui era storicamente legata. Lo stesso autore per interessi economici accettò di distruggerla nel 1990 per realizzarne una nuova versione.

All’estero succede talvolta il contrario: l’Opera House a Sydney (1973), dopo un primo stravolgente progetto di adeguamento, nel 1998 fu oggetto di un nuovo piano di aggiornamento dell’architetto Richard Johnson che coinvolse l’anziano artefice Jørn Utzon; il che garantì il rispetto dell’opera.

L’autore, insomma, può risultare provvidenziale o pericoloso, ma difficilmente rappresenta una durevole garanzia per gli interessi pubblicistici correlati a una sua architettura: è pur sempre un privato.

Ricapitolando, i limiti strutturali della legge n. 633/41 sono tre:

1- il provvedimento di tutela nasce solo su iniziativa privata; e la giurisprudenza sembra aver escluso che anche gli eredi dell’autore possano farne richiesta, come invece previsto dall’articolo 23 della legge;

2- esso, inoltre, tutela direttamente i diritti dell’autore e solo indirettamente i valori dell’opera;

3- la legge non prevede che gli interventi sull’opera riconosciuta vadano presentati alle soprintendenze, ma solo all’autore, finché è in vita. Chi controlla, dopo la sua morte?

Infine, un limite gestionale. Nella maggior parte dei casi l’autore non riesce a far applicare la legge su una sua opera. E quando ciò avviene, difficilmente essa è attuata in modo adeguato.

In conclusione, non è questa la strada per tutelare l’architettura del secondo ‘900.

 

 

Leggi la replica dell’architetto Federica Galloni, direttore della Direzione Generale per l’arte, l’architettura e le periferie urbane del Mibact, e la controreplica di Ugo Carughi, presidente di Docomomo Italia

 

 

Autore

  • Ugo Carughi

    Nato a Napoli (1948), vi si laurea in Architettura nel 1973. Direttore presso la Soprintendenza BAP di Napoli e provincia dal 1979 al 2013 e Soprintendente reggente nel 2000. Componente del comitato tecnico per il Piano nazionale per gli archivi e l’architettura del Novecento del MiBACT (2001-2013). Membro del comitato scientifico dell’Associazione Dimore Storiche - Campania. Past-President e responsabile del settore editoriale di Do.Co.Mo.Mo. Italia ONLUS. Membro dell’ICOMOS Italian National Council. Autore di numerosi restauri e di allestimenti di mostre di architettura e arte. Premio ex-aequo al concorso per progetti pilota per la conservazione dei monumenti tra Paesi membri CEE con il progetto per la chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli (1988). Dal 1996, docenze a contratto presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, l’Università degli studi della Basilicata e l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa. Componente gruppo di redazione del Piano di Conservazione dello stadio Flaminio in Roma, per conto della Getty Foundation (Keeping it modern architectural conservation grants 2017). Componente gruppo di redazione dell’Atlante architettura contemporanea (Do.Co.Mo.Mo. Italia e Sapienza Università di Roma per MiC). Tra le principali pubblicazioni recenti: “L’area metropolitana di Napoli. 50 anni di sogni utopie realtà” (curatela con M. Visone; Napoli 2010); “Maledetti vincoli. La tutela dell’architettura contemporanea”, Torino 2012; “Time Frames: Conservation Policies for Twentieth-Century Architectural Heritage (curatela con M. Visone; Londra-New York 2017)

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Last modified: 11 Ottobre 2016