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Elena FrancoWritten by: Reviews

Vevey, “città d’immagini”

Vevey, “città d’immagini”

La cittadina svizzera affacciata sul lago Lemano ospita fino al 2 ottobre la quinta edizione del Festival “Images Vevey”, che la trasforma in un museo a cielo aperto attraverso le installazioni di 70 artisti provenienti da 15 Paesi

 

VEVEY (SVIZZERA). Inaugurato il 10 settembre, il Festival “Images Vevey” trasforma, sino al 2 ottobre e per la quinta edizione consecutiva completamente gratuita, la cittadina elvetica in un vero museo a cielo aperto affacciato sul lago Lemano.

Il tema dell’edizione 2016 è quello dell’”immersione”, che il pubblico potrà scoprire nei parchi, nei giardini, nelle acque del lago, nei musei o sulle facciate degli edifici, declinato da opere di Hans-Peter Feldmann, Martin Parr, Alec Soth, Mat Collishaw, Graciela Iturbide, Guido Mocafico, Christian Patteson e James Casebere, per citare solo alcuni dei 70 artisti provenienti da 15 Paesi.

Vevey, “città d’immagini”, ha scelto da tempo il suo posizionamento strategico grazie a un programma di marketing urbano focalizzato sulle arti visive, a cui contribuisce anche questo festival biennale che ridisegna lo spazio pubblico con nuove scenografie e propone inedite modalità d’uso ed interazione ludica fra cittadini, visitatori e artisti.

Città di circa 18.000 abitanti, Vevey forma insieme a Montreux e altri comuni contermini un insieme unico abitato di 70.000 persone. Sede della Nestlé, che ne determina anche i destini urbanistici e il disegno urbano, si caratterizza durante i giorni del festival, diretto da Stefano Stoll, per una dimensione internazionale, confermata anche dal legame con i Rencontres della fotografia di Arles, con “Manifesta 11”, quest’anno a Zurigo, e con il Festival Jazz di Montreux, mostrando capacità di fare rete per ampliare i propri contenuti ma anche le possibilità di attrattività. Visitarla durante il Festival offre l’occasione di riflettere su come anche l’immagine di una città possa essere rafforzata da progetti di allestimento e scenografia urbana, seppur effimeri, e su come progetti artistici che riguardano spazi pubblici possano contribuire a stimolare fruizioni innovative e ludiche degli spazi. È forse questo, fra i festival che si occupano di arti visive, a legarsi di più con l’architettura e il paesaggio, potendolo concepire quasi come un’unica installazione complessiva a scala urbana, con continui rimandi al paesaggio circostante.

L’area intorno alla stazione, la città vecchia e il lungolago vengono trasformati dai progetti degli artisti invitati che, ancor più che nelle edizioni passate, spingono i visitatori all’interazione con le opere e lo spazio. Interessante è il progetto di Stephen Gill installato nella fontana del Jardin du Rivage dove gli spettatori sono invitati a bagnare le opere per rivelarne le immagini, così come “We splash”, progetto dell’italiano Edoardo Delille per il quale i visitatori sono invitati a giocare con le immagini grazie a una serie di canne da pesca in metallo realizzate ad hoc e posizionate lungo il Quai Perdonnet.

Fra i molti progetti che s’interrogano sul ruolo dell’immagine e delle nuove tecnologie, facendoci riflettere anche sulle nuove geografie urbane e territoriali, è divertente l’esercizio proposto dalla Summit Foundation che, con il progetto partecipativo Timealps, invita i visitatori a fotografare il paesaggio delle Alpi attraverso una serie di postazioni disposte lungo le rive del lago e a condividere le immagini che vengono immediatamente assemblate per comporre un panorama collettivo.

Una chicca, infine, è l’esposizione “Alien Camera” di Pascal Dufaux ospitata nella famosa Villa Le Lac di Le Corbusier, riconosciuta nel luglio 2016 come Patrimonio dell’umanità dall’Unesco: una serie di dispositivi di ripresa video sono posizionati negli ambienti della villa e captano i movimenti dei visitatori trasformandoli nel soggetto dell’esposizione… Tutto perfetto se il visitatore non è un architetto: in questo caso la dimora, che Le Corbusier aveva pensato come una vera e propria macchina per guardare il paesaggio, distrae ogni sguardo e gli intenti artistici contemporanei lasciano il passo a considerazioni su funzionalità e bellezza, ispirati da una personalità mai così viva come in questo luogo così intimo e senza tempo.

 

Autore

  • Elena Franco

    Nata a Torino (1973), è architetta e si occupa di valorizzazione urbana e del territorio. Della sua formazione in restauro al Politecnico di Torino conserva la capacità di leggere gli edifici e comprenderne le trasformazioni, anche grazie alla ricerca storica. E’ autrice di articoli e saggi sul tema della rivitalizzazione urbana e partecipa a convegni e workshop in Italia e all’estero, in particolare in materia di town centre management e place management. La fotografia – di documentazione e ricerca – occupa gran parte della sua attività e viene spesso utilizzata nei suoi progetti, anche a supporto del lavoro di costruzione dell’identità locale e di percorsi di messa in rete di potenzialità territoriali. Da gennaio 2016 è direttrice della Fondazione Arte Nova, per la valorizzazione della cultura Liberty e Art Nouveau. Fra le sue pubblicazioni: "La rinascita dell'ex ospedale di Sant'Andrea a Vercelli" (2016), "Hospitalia. O sul significato della cura" (2017)

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Last modified: 20 Settembre 2016