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Nella Cupola: l’architettura ai tempi di Google (1)

Nella Cupola: l’architettura ai tempi di Google (1)
Prima parte di una riflessione sul progetto del nuovo campus di Google, firmato da Bjarke Ingels e Thomas Heatherwick, alla luce della mutata concezione della socialità del lavoro presso i colossi tecnologici digitali della Silicon Valley

 

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un nuovo fenomeno nella Silicon Valley: i tech giants hanno cominciato a investire nella costruzione di una mitologia che non si limita più alla dimensione dell’immateriale ma si estende alle strutture fisiche con cui si presenta al mondo. Le sedi dei vecchi uffici, edifici grigi e anonimi generalmente concessi in leasing, dovranno cedere il passo a una nuova e potente visione architettonica – la creazione di un nuovo modello di vita per la comunità dei Googlers. Per anni la sua presenza nel piccolo Comune di Mountain View si era limitata alla grande casa madre chiamata “Googleplex” ma, dal 2015, i fondatori Larry Page e Sergej Brin progettano una grandiosa espansione nel quartiere di North Bayshore.

La posta in gioco del nuovo campus è al tempo stesso un nuovo modello insediativo per la Silycon Valley e la ridefinizione dell’edificio per uffici. Visto l’impatto che Google ha sulla piccola Mountain View, il nuovo complesso di edifici non dovrà essere semplicemente uno spazio aziendale ma costituire una nuova neighbourhood per la cittadinanza. La scala del progetto lo richiede e anche la pressione della popolazione locale, che ha visto negli ultimi anni un preoccupante rialzo degli affitti: la gentrificazione portata dai tech giants della Sylicon Valley ha fatto schizzare i prezzi del 48% dal 2010 a oggi. Il programma della nuova Google comprenderà oltre agli uffici, strutture aperte al pubblico, housing, piste ciclabili, ristoranti, palestre, anche piccoli orti; il nuovo spazio necessario ai parcheggi verrà completamente interrato, per restaurare il paesaggio naturale della valle.

I progettisti chiamati a realizzare questo nuovo campus sono Bjarke Ingels (BIG) e Thomas Heatherwick. I fondatori di Google spiegano: «Quando hai qualcuno che pensa davvero a funzione e forma (Ingels) e lo accoppi a qualcuno che pensa davvero alla bellezza (Heatherwick), allora hai uno di quei team che farà cose abbastanza sorprendenti». E’ un momento storico per l’azienda che per la prima volta potrà costruire ex novo un edificio, realizzando pienamente la sua visione. La sifida architettonica sarà l’invenzione di un linguaggio che definisca il nuovo edificio per le tech companies: in che modo l’architettura organizzerà la nuova vita digitale?

Può tuttavia sembrare strano che proprio nel momento in cui Google progetta il suo primo vero esterno, questo assuma la forma di un gigantesco interno: la costruzione di un campus all’interno di una cupola che ricorda le strutture geodetiche di Buckminster Fuller. Il complesso programma verrà realizzato nei siti selezionati al riparo di enormi bolle vetrate: al di sotto, sovrapposizioni di scatole leggere e trasparenti, immerse in una vegetazione lussureggiante, forniranno gli spazi degli uffici. Questi volumi saranno facilmente spostabili a seconda delle esigenze dell’organizzazione, creando un cubo di Rubik della perpetua ristrutturazione aziendale, immerso in un contemporaneo Crystal Palace.

Nel 2015, sul blog ufficiale di Google, compare un post intitolato Rethinking Office Space che riporta la straordinaria ambizione di Google nel ripensare il luogo di lavoro. I mantra di Google sulla gestione dell’interazione tra persone e ambiente lavorativo sono: «La nostra missione è avere tutte le decisioni sulle persone informate da dati»; «… l’obiettivo è portare alla gestione delle risorse umane lo stesso livello di rigore che si ha nei processi ingegneristici».

Se c’è una cosa per cui l’azienda di Mountain View si è distinta negli anni è stato il meticoloso screening delle prestazioni dei suoi dipendenti e di come questi interagiscono con l’ambiente lavorativo. La sezione preposta al lavoro di raccolta di questa mole di informazioni è stata chiamata People Analytics.

Nel 2006 Lazslo Bock viene assunto come nuovo direttore della sezione. La sua ambizione nel rinnovamento della strategia delle risorse umane è sfrenata; la gamma degli obiettivi arriva fino a domandarsi: «Che cosa succederebbe se lavorando per Google potessi aumentare la lunghezza della tua vita di un anno?». Il suo progetto è Googlegeist, lo Spirito di Google, una gigantesca macchina da feedback che raccoglie i dati sui suoi dipendenti per analizzarli e trovare nuove ottimizzazioni. Lo scopo ultimo è determinare il grado di retention – trattenimentoin azienda di Google. Come ama ripetere Bock, «La nuova frontiera della produttività è conoscere i tuoi impiegati altrettanto bene di quanto conosci i tuoi consumatori».

Ma l’architettura è il luogo in cui avviene la traduzione dai big data alla realtà. Se la comunicazione interpiano risulta inefficace o scarsa, ecco apparire varchi nel pavimento per vere e proprie scale a pioli in stile nautico, o scivoli per arrivare più velocemente da un piano all’altro. La lunghezza della linea di servizio al self-service viene progettata per garantire un’interazione soddisfacente, il tempo di attesa deve essere sufficiente a non determinare una sensazione di frustrazione e facilitare l’interazione con nuovi colleghi. Viene dosata la quantità di M&M’s fornite nei punti pausa per avere un livello di salute fisica più alto e viene stabilita la grandezza dei piatti alla mensa. I pranzi e le cene sono gratuite, in modo da aumentare il tempo di presenza all’interno dell’ufficio. Vengono distribuite capsule insonorizzate dove potersi rilassare dal rumore circostante. Un’innumerevole serie di spazi comuni viene connotata da diverse identità: una micro-cucina che rievoca un mondo subacqueo, un tech-stop che deve generare felicità, un hub delle comunicazioni con identità: “divertiti!”, un pub interno in stile irlandese, uno spazio comune a tema “spiaggia”, un’area informale “amici & famiglia” e “sogni & fantasia”, uno spazio lounge “giungla” e uno “acqua”; e poi stanze massaggi, centri estetici, parrucchieri interni gratuiti, ristoranti con chef approdati dai quattro angoli del mondo, palestre all’avangardia, sale per la musica live, spazi per i TGIF party (Thank God It’s Friday), stanze segrete per avere momenti di solitudine e file di poltrone reclinate, immerse in una cerulea atmosfera onirica, in contemplazione di una gigantesca striscia di acquari a parete.

Tutto questo può certo contribuire a spiegare perché Google da anni compaia al primo posto tra le aziende migliori in cui lavorare secondo «Forbes Magazine». Google sembra così vicina all’esperienza di quella crociera da cui Foster Wallace trarrà il suo reportage Una cosa divertente che non farò mai più e allo stesso tempo ne risolve forse l’elemento più debole: l’incombente sensazione di stasi. Chi entra nella bolla vetrata di Google avrà lo stesso senso di rimozione dal mondo circostante dei passeggeri della MV Zenith. Tuttavia, questo ventre materno architettonico non produrrà gli effetti di estrema alienazione della noia dorata ma la frenesia di un perpetuo parto imminente. (continua)

Autore

  • Alessandro Piazza

    Tesista presso la Facoltà di Architettura di Torino. Il suo ambito disciplinare è lo studio delle implicazioni critiche e politiche degli strumenti del progetto architettonico. Attualmente la sua ricerca si concentra sulla semiotica del diagramma in Peter Eisenman e Rem Koolhaas e sulla definizione teorica dei limiti e possibilità di un'architettura diagrammatica. Nel 2012 ha fondato Farwaste, studio che spazia tra architettura, interior e graphic design, installazioni artistiche, allestimenti e workshop didattici. Il centro dell'attenzione progettuale è l'interazione tra componenti sociali, ecologiche ed economiche che negli anni lo hanno portato a collaborare con Fuorisalone Milano, Libera ONG, Scuola Holden e Fiera Internazionale del Libro di Torino

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Last modified: 19 Luglio 2016