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Luca GibelloWritten by: Professione e Formazione

Lavorare da Zaha: come prima, più di prima

Lavorare da Zaha: come prima, più di prima

Maurizio Meossi, Associate di Zaha Hadid Architects, ci spiega come proseguirà l’attività dello studio e, attraverso la sua esperienza ultradecennale, ci svela qualche retroscena. Però, è ancora troppo presto per tracciare un bilancio del lascito della Grande Dame

 

Dal 2002 (12 anni effettivi, considerando un’interruzione) Maurizio Meossi lavora per Zaha Hadid Architects, da alcuni anni in qualità di Associate. Per ZHA ha partecipato, tra gli altri, al progetto per il MAXXI a Roma ed ha seguito le residenze Citylife a Milano. Attualmente è impegnato in un vasto progetto residenziale in Messico, oltre ad un intervento (sempre residenziale) in Australia, mentre l’intero studio sta seguendo 36 progetti in 21 Paesi del mondo. 45 anni, nato a Siena (ma cresciuto nel Valdarno aretino) e laureato alla Facoltà di Architettura di Firenze nel 1998, Meossi ha poi conseguito un Master in Progettazione architettonica presso l’Architectural Association di Londra. In precedenza, nel 1999 ha fondato con Filippo Innocenti lo studio Spinplus, esperienza di ricerca progettuale che nei primi anni 2000 ha ottenuto vari riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale.

 

Architetto Meossi, la prima domanda sorge spontanea: e ora, come si riorganizzerà lo studio?

Da un punto di vista organizzativo di fatto niente è cambiato. Zaha aveva già designato Patrik Schumaker come suo “erede” in qualità di Principal dello studio, e negli anni abbiamo consolidato la nostra struttura organizzativa; abbiamo un CEO (Mouzhan Majidi), 4 Directors, vari Associates ed uno staff di oltre 300 architetti (tra Lead, Seniors, Architects ed Assistants) suddivisi in 3 Clusters. Al momento ci sono 36 progetti attivi – sia in costruzione che in fasi molto avanzate di progettazione – ed è stato rincuorante ricevere sin da subito messaggi, non solo di cordoglio ma anche e soprattutto di rassicurazione e incitamento da parte dei nostri clienti. Le acquisizioni procedono come di consueto, tra concorsi (prevalentemente su invito) e contatti diretti. Mi lasci dire che da parte mia ho un’enorme fiducia nelle persone che dirigono l’ufficio, Patrik e Mouzhan in primis, ma anche Gianluca Racana, o colleghi come Paola Cattarin, o lo stesso Filippo Innocenti, e molti altri che non cito, tutti professionisti straordinari con cui sono orgoglioso di lavorare e spero di continuare a farlo per molto tempo.

 

Più in particolare, nell’ambito della ricerca progettuale, saranno riviste alcune linee d’approccio? In altre parole, cambierà in parte la filosofia, la “poetica” di concezione architettonica?

Decisamente no. Abbiamo un’enorme eredità culturale e siamo fortemente motivati a portarla avanti. Bisogna capire che uno studio di architettura con oltre 400 professionisti, attivo a livello internazionale da decenni, non può funzionare come la bottega di un artigiano che interviene di mano propria su ogni singolo progetto; Zaha sapeva benissimo che non si può far tutto da soli – credeva fermamente nel lavoro di squadra, nel contributo da parte di tutti i membri del team – e ci lasciava ampio spazio espressivo, sebbene comunque avesse sempre l’ultima parola ed il suo giudizio fosse insindacabile. Questo ha fatto sì che negli anni si sia delineato un ristretto numero di persone capaci di esprimere ed interpretare il suo approccio progettuale. Aggiungo che negli anni è sicuramente maturata anche la nostra competenza tecnica, la capacità di gestire la complessità: elementi indispensabili per tradurre in progetti concreti e sostenibili la ricerca formale da lei avviata. Certo, Zaha è sempre stata una grandissima fonte d’ispirazione per tutti noi, ma il punto è che non cesserà di esserlo: l’espressione architettonica dello studio si è sviluppata negli anni secondo percorsi di ricerca tutt’altro che esauriti, così come radicata è la propensione all’innovazione e alla sperimentazione. Si tratta di caratteristiche intrinseche della persona Zaha che tutti noi abbiamo ereditato, che fanno parte del nostro DNA professionale.

 

Oltre ad essere una straordinaria personalità, Hadid era inevitabilmente anche un brand di grande richiamo per la committenza. Quanto pensa che la sua assenza condizionerà i rapporti di lavoro e gli incarichi futuri?

Di questo ne siamo pienamente coscienti, sarà la nostra sfida principale per i prossimi anni. Però, vede, lei stesso parla di “Brand”, non di “Maestro”, “Artista” o, termine tanto in voga negli ultimi anni, “Rockstar dell’architettura”: il punto è esattamente questo, il “Brand” non cessa, siamo e saremo “Zaha Hadid Architects”, ed il nostro sforzo nei prossimi anni sarà di far capire questo, e far capire che siamo in grado di continuare a produrre architetture di qualità come abbiamo fatto negli ultimi decenni. Sono molte le aziende, nei settori più diversi, nate per mano di personaggi visionari ed ispirati i quali hanno formato un solido gruppo di persone in grado di traghettare l’azienda nella fase successiva, riuscendo a mantenere viva e prolifica l’eredità culturale del fondatore; cito Ove Arup solo ad esempio. Certo, mancherà l’impatto mediatico della sua persona, questo è innegabile. Zaha era una figura da prima pagina, faceva notizia. È però anche vero che questo l’ha esposta negli anni a facili attacchi e sterili critiche. Forse essere meno sotto la luce dei riflettori ci procurerà meno distrazioni nel nostro lavoro: ispirazione certo, ma anche e soprattutto professionalità devono essere le nostre chiavi per proseguire.

 

Hadid era nota anche per il suo carattere burbero. Risultava difficile lavorare al suo fianco? Quale esperienza Lei ne ha tratto?

È riduttivo etichettarla come carattere burbero. Era una persona estremamente esigente, questo è certo, ma lo era prima di tutto con sé stessa, non solo con gli altri. Diciamo che poteva permettersi di far intendere chiaramente quando qualcosa non era di suo gradimento! Era soprattutto una persona giusta ed equa: non esitava a farti notare i tuoi errori, ma era sempre la prima a difenderti quando eri in difficoltá. Era una persona a cui piaceva ridere e aveva la battuta facile, sapeva far ridere gli altri e si divertiva a farlo; in studio “ribattezzava” tutti con nomignoli e soprannomi, io sono stato fortunato in quanto la difficile pronuncia del mio nome (in inglese) aveva fatto sì che fossi semplicemente “Mau”.

Se poteva essere impegnativo lavorare con lei? Spesso sì, non lo nego. Ma in tutta sincerità, e senza timor di smentita, posso dire che mi è mancato non aver lavorato per più tempo a stretto contatto con lei (ho passato molti anni in Italia, tra lo studio di Roma ed il cantiere di Milano). Persona non facile, certo, ma anche straordinaria. Sul piano umano ci manca moltissimo.

 

Qualche aneddoto?

Eh, qui ne avrei molti, e sono sicuro che persone che hanno avuto maggiori rapporti con lei (PA, responsabili stampa, o soprattutto lo stesso Patrik) ne avrebbero da scriverci libri! Uno a me personalmente caro risale a poco dopo il mio arrivo in ufficio. Stavamo facendo un concorso, forse la sede BMW a Lipsia (che vincemmo, per la cronaca); lei arriva in studio intorno alle 7 di sera, si profila una lunga nottata… ed invece, intorno alle 8, si alza e ci dice: “Basta lavorare ragazzi, non fa bene che vi spremiate così”, e decide di portarci tutti a cena fuori in un ristorante di classe. Specifico che si trattava del 14 febbraio: fu divertente mandare sms ai miei amici (ed in effetti anche alla mia ragazza di allora) per dire che stavo andando a cena fuori con Zaha Hadid per San Valentino!

Oppure una volta che la raggiunsi a Parigi per presentare un altro concorso (Citroen showroom sugli Champs. Élysées, quello purtroppo non lo vincemmo…): partii da Londra sull’Eurostar alle 5 del mattino, portando il plastico, dopo non aver dormito nelle ultime 3 notti. Arrivato in stazione a Parigi lei mi aspettava in taxi insieme a Patrik ed un altro collega, con quest’ultimo che mi chiede: “Allora Maurizio, come stai?”; e lei: “Come vuoi che stia, si vede che non dorme da giorni! Ricordo come stavo io quando facevo concorsi…”. Zaha era così; poteva anche avere dei momenti di “durezza” ma erano controbilanciati dai sinceri slanci di simpatia ed affetto nei confronti delle persone.

 

Per concludere, qual è secondo Lei il più grande lascito di Hadid?

La morte di Zaha è stata così improvvisa che credo sia necessario far passare un po’ di tempo prima di affrontare una tematica tanto ampia, ovvero il suo lascito, non solo in ambito architettonico. Hadid ha sconvolto il modo di fare architettura; è riuscita a coniugare avant garde con prodotto di mercato, ha “sedotto” generazioni di studenti, architetti e committenti ma anche persone comuni o totalmente estranee al mondo dell’architettura – basti notare quanto si sia protratto il “funerale mediatico” sui social network. Sul piano personale non posso che inserirla tra le poche persone che hanno radicalmente cambiato la mia vita: m’innamorai dell’architettura sfogliando il suo primo «El Croquis», quando ancora ero in dubbio se mollare l’università e fare il bassista (e di questo devo ringraziarla!). Mi mancherà molto, mi sono sentito più solo appena appresa la notizia.

 

Foto di copertina: Maurizio Meossi davanti alle residenze CityLife a Milano

 

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Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 9 Luglio 2018