Intervista all’architetto che, per la ricostruzione post sismica, ha messo a punto procedure che puntassero ad accrescere la residenzialità come servizio e valore collettivo
Per il suo impegno in prima linea nei territori colpiti dal sisma, Mauro Frate ha definito un approccio utile ad introdurre elementi d’innovazione nei difficili e spesso dubbi processi della ricostruzione. Tra la opere realizzate si segnalano: il nuovo Centro diurno per anziani a Mirandola e otto interventi di microresidenza a bassa assistenza in diversi comuni del cratere. Ad oggi sono stati realizzati quelli di Medolla, Mirandola e San Felice; in procinto San Prospero e Finale Emilia, a cui seguiranno quelli di Cavezzo, Concordia e Camposanto.
Qual è stato il Suo approccio al territorio in questione, al di là dell’evento catastrofico?
Ho iniziato ad occuparmi concretamente del progetto delle trasformazioni territoriali della Bassa Modenese immediatamente prima del terremoto del maggio 2012, tentando di tradurre le istanze di un piccolo gruppo di persone interessate, più o meno consapevolmente, all’applicazione dei paradigmi della sostenibilità alle loro abitazioni. In seguito, sono stato coinvolto nella progettazione di un piccolo piano particolareggiato d’iniziativa privata in una frazione di Mirandola. La serata di presentazione pubblica, voluta dall’amministrazione comunale, fu sorprendente per partecipazione e per la qualità del dibattito sollecitato da un uditorio di cittadini sinceramente interessati alle sorti del loro territorio. Insistetti molto sull’idea di utilizzare per il progetto una strategia adattiva capace d’innovare la tradizione, suggerendo un atteggiamento che avrebbe consentito di produrre una azione di upgrading sulle prassi del buon costruire senza negare la continuità con la storia e le geografie locali. D’altro canto se la società mostra con assoluta evidenza i suoi cambiamenti, l’immaginario riguardo alle trasformazioni dei suoi spazi pare fatichi ad adeguarsi. Chi si occupa del progetto delle trasformazioni territoriali pare scontare la grave assenza di un interlocutore capace d’interpretare queste nuove istanze: non sembra esistere o essere condivisa un’idea di comunità entro la quale convogliare i cambiamenti. Nel Modenese tali questioni, già di per sé complesse, hanno subito, come sempre accade, la sferzante accelerazione degli eventi legati al sisma con tutte le conseguenze derivanti in termini di gerarchia nelle urgenze.
Ha costruito diverse opere, indubbiamente tra le poche di qualità nella vasta area colpita dal sisma. Potrebbe sintetizzare le procedure, i lati positivi e negativi, la velocità degli interventi?
Com’è giusto, nella fase iniziale immediatamente dopo il sisma, energie e risorse sono state spese per dar risposta alle tante emergenze, rendendo le prassi sorprendenti per celerità ed efficacia, rispolverando o inventando procedure ad hoc. Al diradarsi delle impellenze primarie è iniziata la riflessione sulle questioni della ricostruzione con quella concretezza che obbliga ad immaginare una tragedia come opportunità. Nelle vicende umane sono state spesso le grandi tragedie a fare da volano di trasformazione rispetto all’inerzia delle situazioni. Da questo punto di vista, una vicenda esemplare riguarda il gruppo di progetti e realizzazioni per strutture residenziali e semiresidenziali elaborato per la Bassa Modenese.
I progetti del Suo studio, appunto…
Nei giorni immediatamente successivi al sisma, la dirigenza di ASP (Azienda pubblica di servizi alla persona dei comuni modenesi area nord) ha organizzato un gruppo di lavoro (informale) con l’obiettivo di definire i caratteri di una sorta di prototipo/modello di social housing da proporre ai sindaci del cratere per la ricostruzione. I requisiti da perseguire fissati in quella sede ruotavano intorno ad un’idea di welfare capace di alimentarsi attraverso i paradigmi della sostenibilità: un’idea di resilienza a tutto tondo (sociale, economica, procedurale, ecc) con una finalità concreta: realizzare edifici meno costosi e più intelligenti, forse meno sofisticati di altri ma capaci di elevate prestazioni offerte agli ospiti in termini di comfort, accoglienti e funzionali. Si è immaginata la progressiva costruzione di un nuovo patrimonio di edifici residenziali e di servizio rispondenti alle nuove istanze. Il problema della residenza per la persona anziana si presenta molto complesso, sia per la sua rilevanza umana e sociale, sia per la scarsità di soluzioni sperimentate e realizzate. La casa rimane uno dei servizi meno disponibili, mentre sarebbe la soluzione ideale per una fascia fragile di utenti. Ovviamente la gravità del problema si è acuita nell’ambito territoriale investito dal sisma, e ha richiesto soluzioni che rappresentassero un’alternativa alla residenzialità protetta, convenzionalmente intesa, che deve rimanere riservata agli utenti non autosufficienti, gravi e gravissimi. La forte e crescente presenza della popolazione disabile e di quella anziana con patologie collegate all’età, collocata dopo l’evento sismico in alberghi e residenze fuori dal territorio di origine, oppure abbandonata al sistema di “badantato”, deve portare alla ricerca di soluzioni residenziali alternative all’istituzionalizzazione, in grado di offrire prestazioni assistenziali ad intensità variabile e graduate sui bisogni individuali. Nel corso dell’esperienza ci si è resi conto che anche un piccolo intervento di social housing, se collocato con soppesata attenzione, con un sistema di manufatti, attrezzature, servizi, parchi, giardini e spazi collettivi che rappresentano la parte “collettivamente abitabile”, reca in sè un grande potenziale di trasformazione. Possiamo utilmente immaginare di concorrere, con un rapsodico intervento di scala minuta, in una sorta di grande “infrastruttura dell’abitare” in combinazione con un numero assai più vasto ed interessante d’infrastrutture collettive: infrastrutture dei servizi (istruzione, sanità, cultura), della mobilità (trasporti pubblici, ferrovie, linee tramviarie, piste ciclabili), ambientali (parchi, giardini, corridoi ecologici, sistemi di smaltimento e raccolta delle acque).
Le stesse infrastrutture che ritroviamo nella città europea del Novecento…
Si tratta di mettere in atto un sistema urbano che funzioni come un organismo capace di rinnovare il proprio equilibro al mutare delle condizioni al contorno; in grado di adattarsi alle sollecitazioni che derivano dal cambiamento climatico e di esprimere risposte sul piano sociale, economico e ambientale. La resilienza costituisce una funzione della sostenibilità che richiede una profonda revisione dei modelli organizzativi e gestionali su cui si basa la convivenza urbana: una città resiliente è anche in grado di pianificare e realizzare una strategia di lungo periodo che garantisca l’omeostasi sociale attraverso una governance intelligente e condivisa. Costruendo, anche attraverso la realizzazione di piccolissime attrezzature collettive, un contributo di sostanza alla ricostruzione di un territorio senza rinunciare, anche nell’emergenza, a risposte dotate di una prospettiva.
Chi è Mauro Frate
Veneziano (1962), si laurea in Architettura allo IUAV nel 1989, dove svolge attività di ricerca e didattica (dal 2008 insegna di Composizione architettonica nel corso di laurea in Architettura per la sostenibilità). Tiene conferenze e seminari e partecipa a giurie di concorsi di architettura in Italia e all’estero. Ha partecipato a diverse ricerche universitarie tra cui: “Studi per il progetto architettonico del sistema universitario a Venezia e Mestre” (1994); “Venezia città degli studi” (1995); “Studi per il piano strutturale di Cesena: progetto per l’area Barriera Secante” (1998); “Venezia: infrastrutture e città metropolitana” (2000); “Progetti per Sarajevo” (2002). È stato membro del comitato tecnico scientifico di Chi-Quadrato, ricerca sugli spazi dell’apprendimento sostenibili (Trento 2010-12). Il suo lavoro è stato esposto in diverse mostre (Biennale di Venezia, 2002; Biennale delle Canarie, 2009).
Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali ed ha progettato spazi ed edifici pubblici, residenziali e commerciali, oltre al ridisegno di aree agricole, industriali e storiche. Nel 1996 ha fondato lo studio Architer (con C. Magnani, D. Paccone e P. Vincenti). Tra i principali progetti si ricordano: il Piano particolareggiato del centro storico di Cittadella (PD); la Variante generale del PRG del Comune di Due Carrare; il Piano particolareggiato per il centro storico di Montebelluna (TV), il progetto per la nuova sede del Museo di arte orientale di Venezia. Con Architer ha vinto, tra gli altri, il concorso appalto per il Piano di recupero di via dello stadio a Conegliano; il concorso per un’area residenziale pubblica a Montebelluna; il concorso appalto per un edificio residenziale per il Contratto di quartiere II Mestre-Altobello, il concorso per il nuovo polo scolastico di Noventa Padovana; il concorso per la nuova scuola materna di Prato-Ponzano, il concorso per la riqualificazione dell’edificio ospitante l’asilo nido “Il Girotondo” di Terni.
Dal 2009 svolge la sua attività in MFa (Mauro Frate architetto). Tra i suoi lavori più recenti si ricordano il polo scolastico “Anna Frank“ a Noventa Padovana, il Centro diurno per anziani a Mirandola, i Nuclei residenziali a bassa assistenza per anziani a Medolla, Mirandola e San Felice. È stato insignito del Premio Ecoluogo 2011 dal Ministero dell’Ambiente per il progetto Network Rururbano Sostenibile. Gli è stato conferito il Premio Sostenibilità 2015 organizzato dall’Agenzia per l’energia e lo sviluppo sostenibile di Modena per la categoria “Edilizia residenziale ex novo” con il progetto “Casa insieme” a San Felice sul Panaro (Mo).
Le puntate precedenti dell’inchiesta (a cura di Matteo Agnoletto, Luigi Bartolomei e Paola Bianco)
Emilia, a che punto è la ricostruzione? (di Matteo Agnoletto, Luigi Bartolomei e Paola Bianco)
Ricostruzione in Emilia: i numeri e le procedure (di Paola Bianco)
“Spaesati a casa nostra”: glossario della ricostruzione in Emilia (di Sandra Losi)
Ricostruzione in Emilia: occasione persa di riassetto territoriale (di Paolo Campagnoli)
La ricostruzione in Emilia, un affare per le mafie (intervista di Paola Bianco a Federico Lacche)
Ricostruzione in Emilia: il ruolo della partecipazione (di Monia Guarino)
Ricostruzione in Emilia: l’impegno del volontariato tecnico (di Paola Bianco)
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Last modified: 19 Aprile 2016
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