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Carlo OlmoWritten by: Professione e Formazione

Zaha Hadid (1950-2016). La forza di rischiare e saper ricominciare

Zaha Hadid (1950-2016). La forza di rischiare e saper ricominciare

Articolo pubblicato su “la Repubblica” l’1 aprile 2016. Riproduzione per gentile concessione

 

Chi domani entrerà al MAXXI a Roma, al London Acquatics Centre, alla stazione della funicolare di Innsbruck guarderà questi edifici strani, improbabili e pieni di fascino con occhi diversi. La morte trasforma opere molto discusse, a volte molto criticate, inizialmente in intoccabili simulacri, per poi spesso precipitarle nell’oblio. Eppure domani l’omaggio migliore a un architetto dalla storia improbabile, lo renderanno i visitatori qualunque che, magari non sapendo neanche della sua morte, visiteranno o, ancor meglio, utilizzeranno quegli edifici. Perché un’architettura esiste e rimane nell’immaginario dei cittadini, se il suo uso è quasi scontato. Certo è ancor più paradossale pensarlo per le opere di Zaha Hadid. Non solo perché ha percorso tutti i passi della strada, non certo lastricata solo di encomi, delle archistar: dall’insegnamento nella scuola europea più venerata, l’Architectural Association, al premio Pritzker. E neanche perché le sue opere segnino, con una volontà di forma quasi esasperata, piccole città come Jesolo o metropoli come Hong Kong.

Oggi il Maxxi, come altre sue opere, sono architetture frequentate e vissute anche, se non soprattutto, come spazi pubblici, come luoghi di incontro, come isole di urbanità in realtà cittadine che stanno perdendo la capacità di sorprendere i propri abitanti con l’incontro inatteso. E questo nonostante la forma che Hadid ha dato a queste, come ad altre architetture, sia fatta per colpire l’attenzione e la fantasia degli utenti. Contraddizione felice, che lo è ancor più per un’architetta che amava utilizzar disegno e pittura per studiare, provare e immaginare le sue opere e poi sperimentava le risorse di un’informatica ormai necessaria e omologante come mai nessuna “tecnica” lo è stata nella storia dell’architettura. Ma quei segni così forti non erano solo il frutto di una modellistica matematica ormai in grado di sfidare le leggi della fisica, spesso con l’aiuto di una scienza dei materiali che ha saputo usare come pochi altri architetti.

Le sue non erano prove muscolari di una nipotina di Nietzsche, nata a Baghdad. Hadid ha portato la sua ricerca formale sempre ai limiti di un gusto che forse non esiste più, ma che condanna chi lo sfida per un gioco puramente intellettuale. Come per altri figli di una generazione e di un contesto ricco di suggestioni – Londra dal 1972, il lavoro con Koolhaas, Zenghelis e Tschumi, OMA e il suo continuo gioco tra la capacità di raccontare la città contemporanea, il saper affascinare clienti e committenti, il rapporto strettissimo con chi quelle opere doveva poi realizzarle –, Hadid ha saputo trovare un suo equilibrio tra esaltazione della tecnica e volontà formale non prestissimo. Un equilibrio davvero difficile perché passare dall’invenzione alla bizzarria, dall’interpretazione di una contemporaneità all’apparenza senza canoni, ma con regole industriali, costruttive, persino linguistiche feroci, era facilissimo. A progettare in questo mondo in cui ballare con l’orso è davvero la prigione che suggerisce Ted Dekker, la ha accompagnata uno dei personaggi più influenti e meno conosciuti dal pubblico, Peter Rice, che già aveva fatto da Pangloss a Renzo Piano e Richard Rogers. Ma, insieme alla capacità di creare spazi che la gente vive, anche quando non sono felicissimi come il Burnham Pavillon a Chicago o la stazione marittima di Salerno, a evitare il più mortale dei rischi che corre la sua generazione e i suoi colleghi archistar – il manierismo di se stessi – la ha aiutata il ricominciare sempre da capo. Hadid non è mai caduta nello specchio di un narcisismo davvero formale e decadente che segna purtroppo lo scenario internazionale e i paesaggi metropolitani contemporanei; oltre che macchiare le brillanti uniformi di tante archistar contemporanee e soprattutto di chi aspira ad appartenere a quel mondo. L’assenza di codici condivisi da scuole o da comunità di architetti, il progressivo disfarsi dei canali che formavano il consenso ma garantivano, anzi costruivano il dissenso, come le riviste di architettura, non la ha portata a far delle sue opere i modelli da imitare: ha rischiato e oggi il rischio intellettuale è merce davvero rara.

Il suo è stato inoltre – e non è inutile ricordarlo – un diritto di cittadinanza conquistato in un universo sociale e professionale che era insieme il più internazionale e il più chiuso. Gli architetti sono davvero animali di un circo segnato da regole spietate e chiuso alle donne: anche se oggi per fortuna è sempre meno così. E forse per questo ancor più dispiace che Hadid ci abbia lasciato: da Pangloss poteva e doveva ormai farlo lei.

 

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 22 Aprile 2016