Il direttore Ricerca e innovazione di Italcementi traccia un bilancio della partecipazione a Expo (con il varo del cemento biodinamico nel Palazzo Italia), parla della ricerca sui materiali e del rapporto con i progettisti: dal confronto presso l’i.lab alle collaborazioni con le grandi firme all’impegno nell’ArcVision Prize, che si concluderà il 7 aprile alla Triennale di Milano come evento della XXI mostra internazionale
Expo 2015 ha rappresentato per Italcementi una grossa presenza e successo. Una partecipazione estesa contraddistinta dalla qualità e dall’innovazione nei processi di produzione. Qual è il vostro bilancio?
È sicuramente positivo. Innanzitutto perché ha dato a Italcementi lo stimolo a sviluppare in i.lab, il centro ricerca e innovazione di Bergamo, un nuovo prodotto che, cogliendo proprio la grande occasione fornita da Expo, è stato lanciato sul mercato. In secondo luogo l’esposizione ha dato l’opportunità di fare vedere che con il cemento si possono realizzare strutture “belle”. Palazzo Italia è stato, ed è ancora oggi, un’icona, un esempio di costruzione esteticamente bella e performante a cui vanno aggiunte due caratteristiche importanti: l’abbattimento degli inquinanti e il mantenimento del colore. Terzo aspetto, ha rafforzato l’immagine di una società che innova ed è riuscita, di fatto, a creare un simbolo riconosciuto da tutti. Parlando di numeri, durante Expo abbiamo avuto contatti con 70 delegazioni, 1.600 tra architetti, clienti e ingegneri provenienti da 34 paesi diversi. Per Italcementi è stata un’Expo dentro l’Expo, con numerose occasioni per comunicare la nostra presenza anche a livello internazionale.
Quindi anche in termini di evoluzione dei processi interni d’innovazione Expo può essere vista come una sorta di “salto” in avanti?
Momenti come questo sono ciò che chiamiamo “milestones”. Nella storia di Italcementi, Expo sarà sicuramente ricordato come un momento importante, pietra miliare nella nostra crescita nell’ambito dell’innovazione di prodotto, di processo e con una forte attenzione al mercato.
Il cemento biodinamico, esposto proprio a Palazzo Italia e poi lanciato a livello internazionale, è una grossa novità. A distanza di qualche mese dal lancio, quali sviluppi prevedete nella ricerca sul prodotto e sulle sue applicazioni? Che risposta c’è stata, se è già possibile definirla?
In tutto il mondo, tra Stati Uniti, Egitto, Marocco, Australia, Svizzera, Cina e Abu Dhabi, ad oggi Italcementi ha otto contratti di lavoro per il cemento biodinamico, qualcuno già in fase esecutiva, altri in fase di negoziazione. La risposta proveniente da Expo, e dalla visibilità che ci ha dato, è forte come il riconoscimento del mercato verso un prodotto che piace e conferma che puntare su questo evento, con un prodotto di qualità, è stata una strategia vincente. Anche dal punto di vista del marketing di prodotto non era mai stata messa in atto un’azione così diffusa e questo è il primo risultato operativo. Ad esempio è stato realizzato uno spot televisivo che è andato in onda sui principali network. È sicuramente la prima volta che il cemento è protagonista di una pubblicità televisiva.
In linea generale, la strategia di Italcementi nella ricerca e sviluppo mira a realizzare prodotti sempre più sostenibili, che possano essere utilizzati dagli architetti come valore aggiunto sul mercato. Prodotti che devono consumare meno energia, meno acqua e meno materie prime, valorizzando quindi materiali riciclati. Il cemento biodinamico, ad esempio, è costituito dall’80% da materiale di recupero, quali aggregati provenienti dagli sfridi di lavorazione del marmo di Carrara, che conferiscono al prodotto una brillanza bianca superiore ai materiali cementizi tradizionali. Inoltre stiamo lavorando sulla facilità della messa in opera e sulle performance. Il mercato sta entrando sempre più nella logica di premiare le performance, per cui stiamo lavorando molto per rendere i nostri prodotti più fluidi, più facili da mettere in opera ed esteticamente belli. Una ricerca che può essere riassunta nelle parole sostenibilità e performance.
Il cemento biodinamico ha caratteristiche interessanti per gli architetti e Italcementi ha inoltre da sempre importanti collaborazioni con il mondo dell’architettura. Per il 2016 sono in previsione nuove collaborazioni, la prosecuzione di quelle in essere o l’attivazione di nuove linee di ricerca?
La collaborazione con gli architetti continua sempre. Avere l’opportunità di dialogare ed escogitare soluzioni per loro è un forte stimolo. Attualmente stiamo lavorando con vari architetti, tra i grandi nomi Daniel Libeskind, Renzo Piano, Mario Cucinella. Il mondo della progettazione chiede prodotti dalle performance sostenibili, fluidità nella messa in opera, un ruolo attivo nell’abbattimento degli inquinanti, un contributo all’effetto albedo con l’obiettivo di rendere più sostenibili le nostre città. Il mercato, dall’altra parte, ci chiede attenzione ai costi e per questo ci attrezziamo attraverso le innovazioni di processo nel ciclo di produzione del cemento. Abbiamo le conferme del successo di questa strada collaborativa dalla frequentazione di i.lab: dall’apertura abbiamo visite continue, siamo già oltre i 15.000 tra architetti, progettisti, designer e studenti. La nostra apertura continuerà perché riteniamo che possa essere un valore sia per chi ricerca che per gli architetti.
Parlando di architetti, il passaggio all’ArcVision Prize, il premio tutto al femminile che Italcementi promuove da 4 anni, è diretto. A brevissimo ci sarà la conclusione della quarta edizione. Come funziona la collaborazione tra azienda e architetti? E come si è svolta quella tra Italcementi e le vincitrici di ArcVision?
Italcementi punta sempre a un’interazione concreta. i.lab nasce anche per questo: centro di ricerca e innovazione ma anche riferimento per l’architettura e la progettazione. È realizzato con prodotti innovativi che permettono di percepire immediatamente cosa significa innovare e applicare l’innovazione. Grazie a i.lab abbiamo l’opportunità di avere contatti con il mondo dell’architettura, del design, delle costruzioni, che interagiscono con il nostro team di ricercatori. Le tre vincitrici dell’ArcVision Prize (Carla Juaçaba nel 2013, Ines Lobo nel 2014 e Angela Deuber nel 2015, ndr) hanno trascorso alcuni giorni in i.lab e continuano ad avere contatti con noi. Sentire le idee degli architetti, le loro opinioni e i loro desideri, incontrarli per parlare del materiale e, soprattutto, farglielo toccare, è estremamente importante per noi. Richard Meier, ad esempio, utilizza il nostro cemento fotocatalitico i.active per la qualità che si percepisce al tatto. Per il Palazzo Italia dell’Expo di Shanghai del 2010, i progettisti sono venuti in laboratorio, hanno visto e toccato il cemento trasparente e si sono convinti, così come Michele Molé e Susanna Tradati, progettisti di Palazzo Italia, hanno visto “crescere” insieme a noi il cemento biodinamico nei laboratori Italcementi. Lavoriamo molto sulle sensazioni come tatto e vista e vogliamo lasciare gli architetti a contatto diretto con i materiali perché ne colgano le caratteristiche fisiche e superficiali particolari (c’è chi vuole un cemento più liscio, chi invece meno, chi ama il calcestruzzo con un certo tipo di rugosità, chi lo vuole più fluido chi invece meno) che poi possano personalizzare. Durante Expo sono stato molte ore a Palazzo Italia a osservare le persone, vedevo che toccavano un materiale con stupore e ammirazione.
Il cemento biodinamico, e tutto il processo che gli sta dietro, è un salto nella storia di un materiale rimasto culturalmente fermo per molto tempo…
La nostra idea è portare il cemento ad essere visto – soprattutto nel nostro paese – come un materiale utile e sostenibile. La bellezza del cemento di Pier Luigi Nervi, ad esempio, era più ingegneristica, mentre il cemento che abbiamo sviluppato oggi punta anche a una bellezza estetica. Insisteremo parecchio su performance come la riflessione della luce, la trasparenza e la fluidità insieme all’abbattimento degli inquinanti e a tutto ciò che è sostenibilità. Il brevetto del cemento Portland ha 200 anni e il cemento come materiale da costruzione risale ai romani e ha 2100 anni di storia con regole costanti. Ora dobbiamo guardare a ciò che possiamo fare nei prossimi 200 anni, e Palazzo Italia rappresenta un elemento di forte discontinuità.
Io penso che il mondo degli architetti sia fondamentale per determinare un cambio. Grazie a Richard Meier, alle Expo di Shanghai 2010 e Milano 2015 e all’i.lab abbiamo acquisito un vantaggio competitivo sul mercato rispetto a chi non ha investito in innovazione. Abbiamo avuto la fortuna, la capacità e la visione aziendale di seguire una linea che continueremo a perseguire con forza, anche perché sta cominciando a incidere sulla nostra capacità di stare sul mercato. Il messaggio è continuare su questa strada, essere costantemente in prima linea, seguire i segnali che vengono dal mondo dell’architettura, stare con loro, discutere, non avere paura delle sfide.
Ciò che stiamo facendo, oltre all’innovazione, è trasferire una nuova cultura del “costruire” che passi attraverso le imprese di costruzioni, le maestranze, i centri di ricerca, le università, in grado di dare risposte. Quando un architetto individua un prodotto, vuole sapere quali sono le sue caratteristiche, come si produce e come si posa. L’obiettivo è la sostenibilità delle costruzioni, perché il mercato che si sta riprendendo, o si riprenderà, sarà qualcosa di diverso da quello di 10 anni fa e noi dovremo essere pronti.
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Last modified: 8 Marzo 2016
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