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Giancarlo ConsonniWritten by: Inchieste

Expo, occasione mancata per la città

Expo, occasione mancata per la città

Prosegue la pubblicazione degli abstract del libro Expo dopo Expo. Progettare Milano oltre il 2015 (a cura del Master Architettura Paesaggio, www.paesaggio.it)

 

L’errore di impostazione dell’operazione Expo è evidente. In primo luogo perché si è scelto di dislocare l’Esposizione su terreni agricoli, quando c’erano aree dismesse (ex industrie, scali, l’Ortomercato, ecc.) che avrebbero potuto essere recuperate, con vantaggio per la collettività. In secondo luogo perché, in ogni caso, al dopo Expo si sarebbe dovuto pensare fin da subito, rendendo il prima (l’Esposizione) compatibile con il dopo (il riuso). Si è invece puntato sulla mera creazione di rendita fondiaria. È opinione di molti che, nel contesto metropolitano, una volta assicurata l’accessibilità trasportistica, una localizzazione valga l’altra. Eppure un ampio ventaglio di fallimenti accumulati negli ultimi decenni proprio nell’area milanese smentisce questo luogo comune […]. Fatta questa scelta sciagurata, a maggior ragione sarebbe stata necessaria un’impostazione capace di assegnare all’area Expo una prospettiva che evitasse la sua assimilazione a quell’immane edificato privo di qualità urbana che è, in molta parte, l’hinterland metropolitano. C’è invece da dubitare che su quest’area possa sorgere un insediamento dotato di qualità urbana: difficilmente quanto è stato fatto è adattabile a un disegno urbano degno del nome. Si prenda la piastra “cardodecumanica”, un’infrastruttura di reti primarie (fognatura, acqua, elettricità, ecc.) su cui è basato il masterplan. Bene: questa “armatura”, la cui elevata concezione tecnologica è stata celebrata da più parti, finirà per condizionare non poco l’assetto futuro, a cominciare dalla dislocazione del verde in una posizione marginale […]. Si mette l’accento su un’emergenza economica: il recupero dell’investimento per la piastra (costata 165 milioni) fatto da Arexpo spa, la società proprietaria dell’area in cui figurano il Comune di Milano e la Regione Lombardia (34,67% entrambe), Fondazione Fiera (27,66 % di pura rendita), l’ex Provincia di Milano (2%) e il Comune di Rho (1%). Preoccupa soprattutto la forte esposizione di Arexpo verso le banche (160 milioni), dopo che la prima asta del novembre 2014 – in cui si partiva da una base di 315,4 milioni – ha registrato la risposta negativa del mercato […].
Stando alle proposte fin qui emerse, non si va oltre l’idea di un’iperspecializzazione funzionale coltivata a scala metropolitana. La stessa, per intenderci, che ha dato vita alle “città mercato” e da cui è venuta una forte spinta antiurbana. Che altro è l’idea di una “città della scienza”, avanzata dalla cordata che vede l’Università statale di Milano alleata di Assolombarda? Ben diversamente da quanto appare nei resoconti trionfali dei media, le cose non sono affatto semplici. Il rettore Gianluca Vago gioca d’azzardo: pensa che l’ingresso nel risiko immobiliare possa portare quelle risorse che le scellerate politiche governative degli ultimi decenni hanno negato al suo Ateneo (come le hanno negate agli altri atenei d’Italia e all’intero sistema dell’istruzione). Ma già sulla carta […] i conti non tornano. Se ci atteniamo alle stime di massima fornite dallo stesso rettore Vago, lo spostamento della Statale costerebbe 400 milioni, una cifra che, per la metà verrebbe coperta dalla vendita delle aree di proprietà dell’Università a Città studi. Qui la semplificazione lascia interdetti su più di un aspetto. L’Università statale, soggetto pubblico, si attribuisce il compito di mettere in campo una gigantesca trasformazione urbana, qual è la dismissione degli edifici oggi ospitanti i comparti scientifici dell’Ateneo situati a Città studi. […] In altri termini: per rendere appetibile agli investitori privati il vasto comparto di Città studi, si finirà per concedere densità insediative piuttosto alte, innescando un processo difficile da controllare negli esiti […]. È elevato il rischio che, ancora una volta, non si facciano i conti con la bolla immobiliare cronica in cui siamo immersi e con lo stallo derivante: i capitali fermi sull’orizzonte della rendita, indisponibili per investimenti strategici che diano nuove energie al contesto metropolitano. Così come è elevato il rischio che l’area Expo si aggiunga al lungo elenco degli interventi non conclusi a Milano e nell’hinterland.

Si dirà che l’area lasciata dall’Esposizione andrà ad arricchire il policentrismo metropolitano. In realtà, si tratta di una visione superficiale: il policentrismo storico era quello delle città e dei borghi e delle loro aree di influenza: una struttura gerarchica, dove la multifocalità era essenzialmente legata all’abitare. Le concentrazioni di attività in agglomerati specializzati di cui è disseminato il contesto metropolitano costituiscono dei frammenti, dove l’energia vitale si dissolve all’interno di contenitori anonimi e non irrora l’insediamento: non fa città […].

Che fare allora dell’area, una volta finita l’Esposizione? Una possibilità potrebbe essere quella di legare il loisir metropolitano a un’agricoltura di qualità che sappia fare del verde periurbano un ambito di riqualificazione paesaggistica. Si tratterebbe di reinterpretare il tema “Nutrire il pianeta” facendone sia il perno del rilancio della ricerca specialistica, sia un terreno di presa di coscienza collettiva. Lo richiede, tra l’altro, l’uso oculato della risorsa acqua. Per come il masterplan di Expo è concepito, c’è il rischio di un elevato spreco di risorse idriche, oltretutto sottratte proprio all’agricoltura. L’acqua fatta arrivare all’Esposizione, con adeguati adattamenti, potrebbe fare da sostegno all’innesto di elementi neoagricoli […].

Alla domanda se Milano sia riuscita a cogliere le opportunità che sono state offerte da un grande evento come Expo la risposta è negativa. L’Esposizione poteva essere un’occasione per creare risorse per la città. Come ho detto, l’unica valorizzazione considerata è stata quella riguardante la rendita immobiliare. In trent’anni Milano ha accumulato una sequela di interventi a cui corrispondono altrettante occasioni mancate. Ma quello che fa specie è vedere l’Università entrare nell’arena delle trasformazioni urbane e metropolitane senza mettere in campo idee e idealità. In altri termini, senza una strategia civile. Ed è non meno deludente vedere gli amministratori della cosa pubblica ritagliarsi un ruolo di semplici facilitatori di quanto viene proposto da altri soggetti.

 

 

Articoli precedenti:

Expo dopo Expo

 (di Antonio Angelillo)

Le aree dismesse faranno la Milano del futuro (di Sebastiano Brandolini)

João Nunes: per il post Expo pensiamo a funzioni temporanee (di Antonio Angelillo)

Vittorio Gregotti: l’area Expo come cuore multifunzionale di Milano Città metropolitana (di Antonio Angelillo)

Il dopo Expo doveva cominciare prima (di Luca Beltrami)

Come valutare gli impatti di Expo (di Francesco Memo)

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Last modified: 9 Dicembre 2015