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Il nuovo Palagiustizia di Firenze: postumo e spaesato

Il nuovo Palagiustizia di Firenze: postumo e spaesato

Con i trasferimenti degli ultimi uffici a maggio, si conclude una tormentata vicenda, dibattuta da due critici caustici e impietosi

 

PINO BRUGELLIS. La cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore ti fa sognare, ti porta in alto, in un altro mondo; mentre il nuovo Palazzo di giustizia infrange quel sogno. Cioè non solo quello, ma anche quanto aveva nel cuore il progettista Leonardo Ricci, il sogno dell’architettura sociale. Ciò premesso, e ciò nonostante, oggi questa nuova figura diventa una vera protagonista, proprio insieme alla cupola del Brunelleschi, della skyline cittadina. E quasi identifica l’inizio stesso della piana fiorentina.

GIACOMO PIRAZ. Com’è noto Ricci (1918-1994; uno dei non numerosi architetti italiani del Novecento a vantare un’esperienza di ricerca internazionale) qualche tempo dopo l’incarico per realizzare il Palazzo di giustizia della sua città, avrebbe terminato quello di Savona, edificio nemmeno quello brillante di esito, eppure stilisticamente simile. Nonostante ciò la committenza (tipicamente inadeguata, come spesso in Italia, salvo eccezioni rarissime) ha finito col mandare avanti la realizzazione di un edificio di quella complessità e costo, per giunta basandosi sui (non molti) disegni che Ricci lasciò prima di morire. Generando così un esito imprevedibile, che somiglia solo in parte a quello che l’architetto vivente avrebbe potuto darci.

PB. In effetti il progetto è di quasi 30 anni fa e si vede tutto. Il masterplan per cui era stato pensato prevedeva una diagonale sulla cattedrale che non c’è più, e perdendo quell’elemento contestuale originario, il nuovo Palagiustizia è diventato un oggetto astruso. Vero è che resta come miglior pregio (superstite) la grande navata che riprende l’idea della sacralità della giustizia, ma davvero forse era meglio lasciar perdere quel progetto, anche perché se all’epoca rispondeva ai canoni estetici e sociali vigenti, oggi la società è cambiata, come anche le funzioni e l’ordinamento giudiziario, e dalla filosofia delle megastrutture siamo passati a una società che pensa a strutture «liquide».

GP. …mentre la Commissione nazionale IOPAGO (Inventiamo occasioni per altre grandi opereinutili) ha sempre agito noncurante di un territorio adatto solo a ORA (Opere ragionevolmente appropriate). In questo contesto, per prassi di «ineluttabilità» quando i lavori cominciano poi in qualche caso arrivano a esito, spesso dimenticandone i tempi, i veri costi, e appunto l’utilità. Chissà se è anche per queste ragioni che il rapporto con la contemporaneità è restato fermo ai tempi dell’allora proficuo dibattito tra Antonioni e la compagine neorealista. E chissà se vale al riguardo il paragone con il ricciano Palagiustizia e l’adiacente sede della Banca CR Firenze.

PB. Dal punto di vista estetico il Palagiustizia è, nonostante tutto, il pezzo migliore dell’intera area ex Fiat di Novoli; pur essendo stato quasi trasfigurato rispetto all’idea originale, anche perché è cambiato il contesto e Novoli dopo il passaggio di Krier è diventato un vero quartiere Frankenstein.

GP. Certamente a fronte della cospicua letteratura urbanistica e architettonica, Novoli appare oggi un collage a tratti curioso, a tratti improbabile. Un’amica non così addetta ai lavori, eppure rara conoscitrice e amante delle architetture e delle città, lo definisce con fiorentin sarcasmo «l’Iba Berlin 1984 dei poveri di spirito».

PB. Già! E se non adeguatamente riconsiderata a livello di masterplan, tutta l’area rischia di congestionarsi dato il carico urbanistico: sarà ora fondamentale che la tramvia arrivi presto. Per quanto riguarda ancora il Palagiustizia, che potrà contribuire a vivificare il quartiere, non credo funzionerà male dal punto di vista dell’organizzazione giudiziaria, anzi. Del resto Ricci rimane per me il più grande architetto fiorentino degli ultimi anni, ed è per questo che non penso che avrebbe scelto quel tipo di materiali per le facciate esterne, credo ne avrebbe utilizzati di più grezzi e rustici, più brutalist. E poi a sua difesa va detto che i volumi interni sono stati quasi raddoppiati rispetto a quello che aveva previsto. Certo, di tutta la sua opera, questa è l’architettura meno riuscita.

GP. Al solito, nel web le opinioni sono molteplici, da www.youtube.com/watch?v=d_JGiWfVL7E&feature=related fino al quinto posto in una delle molte classifiche dei dieci edifici più brutti del mondo. Personalmente, avrei preferito parlare con felicità di una architettura d’oggi in un ben riuscito quartiere contemporaneo. Invece ci tocca un’opera postuma, sorta di non-archeologico resto d’improbabile volontà di committenza. Opera pagata da tutti noi, peraltro poco sustainable se appena si ragiona sui costi energetici e di manutenzione che sembra di poter intravedere.

Autori

  • Pino Brugellis
  • Giacomo "Piraz" Pirazzoli

    Nato nel 1965, laureato in architettura a Firenze, PhD Roma-Sapienza e post-doc FAU-Universidade Mackenzie São Paulo. Dopo aver realizzato in Italia alcune architetture in collaborazione con Paolo Zermani, Fabrizio Rossi Prodi e Francesco Collotti, lavora in ambito interculturale tra musei, mostre e sostenibilità applicando le ricerche Site-Specific Museums e GreenUP - A Smart City che ha diretto, essendo dal 2000 professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Già presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, è stato consulente presso ACE-CAE (Architects Council of Europe, Bruxelles), UN-UNOPS etc. Oltre che per mezzo di progetti, opere e relative conferenze, svolge attività internazionale anche come visiting professor e vanta oltre duecento pubblicazioni. Vive tra Firenze, l’Umbria e Rio de Janeiro.

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Last modified: 23 Ottobre 2024