Visit Sponsor

Alessandra De CesarisWritten by: Città e Territorio

Tehran, distruzioni e contraddizioni

Tehran, distruzioni e contraddizioni
Nei giorni degli attacchi e delle bombe israeliane, un appassionato racconto della capitale iraniana. Vittima anche di uno sviluppo incoerente e di modelli illogici

 

Frammentata, incompleta, disarmonica, polverosa, inquinata, in movimento e in evoluzione, non bella ma seducente: Tehran è l’Iran. Così scrivevo nel 2022 sulla retrocopertina del mio libro “Attraverso Tehran” edito da Franco Angeli. 

 

Brutta ma sexy

Avrei voluto scrivere “brutta ma sexy” nel libro, ma mi fu sconsigliato. Brutta perché è una città cresciuta in modo estremamente disordinato, al di là di ogni regolamentazione, in cui tipologie edilizie di ogni tipo – quelle dei ricchi a nord e quelle dei poveri a sud – si affastellano l’una accanto all’altra, senza regia alcuna. È una città di 12 milioni di abitanti in cui tutti i tentativi di crescita e trasformazione sono stati improntati a modelli occidentali. Modelli criticati, ma fatti propri, contestati nei loro valori come portatori di “westintoxication” (o western-intoxication), ma adottati.

Nel 1964, infatti, l’architetto iraniano Abdolaziz Farmanfarmaian e l’architetto americano Victor Gruen – un ebreo di origine austriache emigrato a Los Angeles – vengono incaricati di redigere il TCP (Teheran Comprehensive Plan). Traspongono sulla città molti canoni dell’urbanistica moderna: una maglia di motorways e di rapid transit routes definisce lo scheletro portante l’assetto urbano per un totale di 150 km di autostrade spalmate su pendio inciso da valloni percorsi da vie d’acqua. Ma questo piano inclinato, che va dai 1.100 metri di altitudine ai margini del deserto fino ai 1.900 al confine dell’edificazione, male accoglie la rete di autostrade e di svincoli di losangelina memoria, maldestramente adagiati su di esso.

Dopo la Rivoluzione in assenza di un altro piano e con poche risorse finanziarie, il TCP continua a rappresentare l’unico, seppur debole, riferimento della crescita urbana. Ma, nonostante questo, è sexy perché è una città piena di vita, di gallerie d’arte frequentate da giovani, di feste clandestine, di ingorghi chilometrici e interminabili in cui si fa amicizia con il signore dell’auto accanto, di valli rinfrescate dallo scorrere dei rud (fiumi stagionali).

Tehran è una città dove tutto è vietato ma tutto è possibile.

 

Danni “collaterali”, in una città quasi deserta

In questi giorni è deserta, i 12 milioni di abitanti sono stati invitati ad evacuare. Ci sono code di auto interminabili, manca la benzina, alcune banche sono state hackerate, non si sa se da Israele o dall’opposizione interna. Chi è rimasto non esce di casa: sembra sia partita la caccia alle spie, reali o presunte.

Allo smog dell’inquinamento quotidiano si unisce il fumo dei bombardamenti dell’IDF (The Israel Defence Forces), sono piovute infatti centinaia di bombe, chirurgiche e non. Bombe che per quanto “intelligenti” non hanno risparmiato vite innocenti. La città si configura come un colabrodo attraversato da strade a scorrimento veloce. Non riesco ad avere nessun contatto con i miei amici, non c’è internet. Provo a ricostruire una mappa dei danni. Leggo che è stata colpita l’Università. Temo per la Teheran University che conosco bene. Ha edifici realizzati a partire dal 1937, di grandissima qualità architettonica: l’edificio della Facoltà di Fine Arts, il Club dei dipendenti, il portale d’ingresso. Per ora fortunatamente è salva.

Sono state colpite le università più legate alla Repubblica islamica, quelle che hanno formato l’attuale classe dirigente (la Shahid Beheshti e la Imam Hossein University). Sono stati colpiti edifici nel distretto 3 e 7, l’ingresso del famigerato carcere di Evin, decapitata la Jahan Koudak tower, 34 piani, possibile hub operativo delle guardie della Rivoluzione. È stato distrutto, nella centralissima Felestine square, l’Israel doomsday clock.  Leggo che è stato colpito il Ministero di Giustizia, mi auguro non sia il mirabile edificio progettato da Gabriel Geuvrekian negli anni trenta.

È stata sommersa dal fango e dall’acqua la piazza di Tajirish. Verosimilmente un missile ha colpito la vasca di laminazione atta a ricevere gli eventuali eccessi delle acque dei due rud che qui convergono. 

 

Nei mall, come a Dubai

Nel 2016 ho organizzato un workshop di progettazione per la riqualificazione di questa piazza: uno spazio piacevolissimo nella zona alta di Tehran, nodo di scambio di metro, bus, taxi con accesso al santuario dell’Imam Zadeh Saleh e al bazar che al suo interno ha un tekieh, uno spazio teatrale multitasking. La pedana di legno dove durante tutto l’anno viene esposta frutta e verdura nei giorni del Muhharram si trasforma infatti in un palco dove si va in scena la ta’ziyeh, rappresentazione teatrale che mette in scena la tragedia di Karbala. 

Colpite le sedi militari presenti capillarmente in ogni mahelleh (quartiere). Colpiti quindi, così sembra, i simboli della Repubblica islamica. Tra questi è l’Iran Mall, uno dei centri commerciali più grandi al mondo, sette piani: più di un milione di metri cubi in competizione con i mall emiratini. Si dice che nella cordata della imponente operazione ci sia uno dei figli di Khamenei. Un edificio di rara volgarità con fontane musicali, piste da hockey su giaccio, specchi, tanti specchi, riproposizioni hollywoodiane dei più famosi, e meravigliosi, giardini persiani.  

Nonostante, dunque, la continua propaganda del regime contro i modelli occidentali e la westoxificationmolti dei riferimenti, non solo urbanistici ma culturali in senso ampio, fanno proprio capo ai peggiori modelli occidentali, scimmiottano la contemporaneità americana o quella degli Emirati Arabi, quella Dubai – the world’s fastest city – dove gli iraniani benestanti si recano periodicamente per concedersi pause di libertà.

Come sia stato possibile abbandonare la tipologia del bazar, una delle espressioni più originali della civiltà islamica, in favore di quell’insipido internazionale che è lo shopping mall, resta per me un mistero. Soprattutto quando dietro all’operazione c’è, così si dice, il gotha della Repubblica Islamica. 

 

Un ciclo continuo di demolizioni e ricostruzioni

Tehran appare oggi dunque bucherellata, più o meno chirurgicamente, colpita nei simboli che rappresentano l’attuale regime. Del resto, le varie ondate politiche che si sono succedute nell’arco della breve vita della capitale hanno demolito e ricostruito.

L’azione della demolizione è parte integrante della storia della città. Ogni governo, regno, dinastia ha tentato di cancellare le tracce della precedente – anche se non sempre è riuscita nell’intento – e sul suolo urbano sono rimaste le tracce di queste maree che hanno distrutto, ricostruito per poi ancora demolire e riedificare. Non ho idea se l’attuale situazione evolverà verso un regime change.  Di certo la serie capillare di bombardamenti sta mettendo in atto un urban change ma la città anche questa volta risorgerà come la fenice dalle proprie ceneri. Più o meno brutta, secondo i canoni tradizionali della bellezza, ma sempre sexy e attraente nel suo coacervo di contraddizioni.

Immagine di copertina: Vista di Tehran (© Alessandra De Cesaris)

 

Alessandra De Cesaris è autrice del libro Attraverso Tehran. Spazi, luoghi, architetture, edito da Franco Angeli nel 2022. Si tratta di un intenso racconto della capitale iraniana, diviso in 12 capitoli che, come scrive l’autrice nella sua introduzione “si addentrano tra le architetture, le vicende e modi di vita di una città frammentata, caotica, incompleta, in movimento e in evoluzione, città dove un sì non è mai un sì e un no non è mai un no”.

Autore

  • Alessandra De Cesaris

    Architetta PhD, è docente associata presso il Dipartimento PDTA, Sapienza. È responsabile di accordi culturali con università dell’Iran, dove dal 2011 ha tenuto conferenze, workshop e laboratori di progettazione. Ha pubblicato scritti e progetti, tra l’altro su l’industria delle costruzioni, Limes, Italiani Europei; tra i suoi ultimi volumi si segnalano: Attraverso Teheran. Spazi, luoghi, architetture (2022), Case iraniane. Il valore del vuoto (2020), Attraverso l’Iran. Città, architetture, paesaggi (con G. Di Giorgio e L. V. Ferretti, 2017), Rigenerare le aree periferiche (con D. Mandolesi, 2014), Il progetto del suolo sottosuolo (2012)

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 330 times, 1 visits today)
Share

Tag


, , , , , , , ,
Last modified: 25 Giugno 2025