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Francesca SordiWritten by: Progetti

Quelle scatole, nelle scatole. Innesti contemporanei di successo

Quelle scatole, nelle scatole. Innesti contemporanei di successo
Una strategia progettuale sempre più applicata. E premiata, soprattutto in contesti di recupero di architetture minime

 

La strategia dell’innesto “scatola nella scatola” è al centro del dibattito e diventa la cifra di numerosi progetti recenti. Involucri storici accolgono volumi autonomi in legno, acciaio o vetro: sono interventi che mettono in dialogo passato e presente, sostenibilità e narrazione, economia di mezzi e intensificazione d’uso. Gesti progettuali tanto sottili quanto radicali, capaci di ridare vita autonoma agli edifici ospiti.

Convincono, oltre ai progettisti, le giurie come quella del Wood Architecture Prize 2025 (menzione alle Casermette di Moncenisio) e quella del Premio Abitare minimo in montagna (riconoscimento alla Scatola nel Convento), tanto da conferire grande attualità al tema.

 

Pezzi di futuro in contenitori del passato

Se, già negli anni sessanta, Cedric Price intuiva che un edificio potesse essere più software che struttura, la scatola autonoma traduce quel pensiero in prassi. L’architettura è pensata non come oggetto immutabile, ma come supporto capace di accogliere trasformazioni reversibili. Price applicava il concetto a un maxi-telaio urbano: la strategia della “scatola nella scatola” viene applicata a volumi vuoti, infilandovi un “pezzo di futuro” dentro “contenitori del passato”. Il nuovo oggetto, prefabbricato e indipendente, atterra dentro il guscio esistente lasciando un sottile margine d’aria che separa, e insieme collega, le due epoche. 

Questa distanza diventa materia compositiva. La geometria libera della scatola può attraversare navate, lambire capriate, ritagliare coni di luce inediti. Non è un caso che si interpreti la “scatola” sempre più come un “parassita virtuoso”: non predatore, ma ospite che riattiva il corpo che lo accoglie, valorizzando spazi marginali. 

 

Dal gesto al metodo

Trent’anni dopo, Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal trasformavano quella provocazione in metodo: “mai sostituire, sempre aggiungere”. La veranda abitabile della Maison Latapie (Floirac, 1993) e la “città provvisoria” del Palais de Tokyo (Parigi, 2001) non toccavano il tessuto portante, ma lo potenziavano all’interno. Con S(ch)austall (Naumann Architektur, FNP Architekten, Eiswoog, 2005), il lessico diventa più preciso: un parallelepipedo ligneo si distacca di pochi centimetri dai muri di una stalla, concentrando struttura, isolamento e impianti in un unico corpo. Poco dopo, Didden Village (MVRDV, Rotterdam, 2006) moltiplica e porta le scatole sui tetti, dimostrando che il contenitore storico può persino diventare piedistallo di un “villaggio” blu elettrico.

 

Il lessico dell’ibridazione

L’elenco delle declinazioni si va via via ampliando. A Pianezzo, in Svizzera, nella Casa-atelier per un artista (Michele Arnaboldi, 2003) un modulo ligneo indipendente si inserisce fra rustici in pietra, staccandosi dalle murature per far “respirare” il salto di epoca. 

Ad Afsnee, in Belgio, Ruin Afsnee (NERO architecten, 2017) si configura come un cubo nei resti di una stalla e trasforma la rovina in giardino d’inverno. Nel Suffolk, Dovecote Studio (Haworth Tompkins, 2010) cala un mantello di acciaio corten dentro un vecchio colombaio, lasciando che la ruggine ravvivi la pietra. Ovunque compaia, la “scatola” si comporta come un narratore: illumina il contenitore, ne rivela le ferite e fa risuonare la materia. Il contrasto – di colore, texture e dettaglio – serve a rendere visibile il tempo e accresce il valore costruttivo. In Italia, a Paraloup (di Giovanni Barberis, Dario Castellino, Valeria Cottino, Daniele Regis, a Rittana, Cuneo, 2008), borgata partigiana sospesa a 1.360 metri di altitudine, ogni baita in rovina accoglie la propria “micro-scatola”. Il risultato non è un museo a cielo aperto, ma un piccolo ecosistema abitato: residenze d’artista, un teatro ricavato nel pendio, orti condivisi e stalle riconvertite, oggi coordinati dalla cooperativa agricola Germinale. Qui il box-in-box non è episodio: è un alfabeto replicabile che intreccia paesaggio e nuova quotidianità alpina.

 

Tre declinazioni italiane 

Negli ultimi anni, la strategia della “scatola nella scatola” ha trovato in Italia un terreno fertile per sperimentazioni misurate e intelligenti, capaci di intrecciare nuovo ed esistente in modi sempre diversi. In contesti eterogenei per altitudine, tipologia e scala, la logica della scatola autonoma inserita in un involucro storico si rivela sorprendentemente adattabile, mantenendo chiarezza costruttiva e precisione spaziale.

Casermette, Moncenisio, Torino

Progetto: Coutan Studio Architetti con Politecnico di Torino (Antonio De Rossi, Laura Mascino, Matteo Tempestini) | Costruzione: 2024 | Immagini: © Edoardo Schiari

Nelle Casermette di Moncenisio, comunità montana a 1.500 metri di quota, l’inserto ligneo è quasi una lanterna: due piccoli corpi in larice, distribuiti attorno a un patio all’aperto e montati a secco, scivolano dentro un guscio ottocentesco – un tempo sede della Guardia di Finanza – sfiorando le murature e facendo vibrare la tessitura ruvida dei conci.
All’esterno si distinguono, oltre all’involucro ligneo di cui affiora la copertura, alcune bucature che incorniciano il paesaggio montano; all’interno si apre una micro-foresteria con atelier e cucine comuni, pensata come residenza per artisti, affiancata da una sala polifunzionale destinata alla comunità.
“L’intervento è silenzioso, rispettoso del contesto, ma innesca un processo di rinascita per l’intera comunità montana”, spiegano i progettisti, un team composto da Coutan Studio Architetti (Maicol Guiguet e Edoardo Schiari), insieme ad Antonio De Rossi, Laura Mascino e Matteo Tempestini del Politecnico di Torino. La ricerca si spinge inoltre verso un approccio sostenibile e attento alla materia, utilizzando esclusivamente abete e larice della Val di Susa, di filiera locale. Il nuovo si accosta al costruito esistente con misura, lasciando che siano i materiali a costruire un legame sottile tra memoria e scenografia contemporanea.

 

La Scatola nel Convento, Valle Maira, Cuneo

Progetto: Dario Castellino Architetto | Costruzione: 2025 | Immagini: © Dario Castellino

Più a sud, in Valle Maira, La Scatola nel Convento, un progetto di Dario Castellino, trasforma un ex complesso cappuccino, in seguito adibito a fienile e ricovero per animali, in un “rifugio-bonsai” di appena 35 metri quadrati. L’involucro originale rimane a vista: pietra locale grezza, con monofore e sedili ricavati nello spessore delle murature. Al centro dello spazio si inserisce una capsula in legno lamellare e vetro, sollevata da terra e distaccata dalle pareti, sorretta da due telai metallici nascosti nei muri.
Una leggera scala in acciaio consente l’accesso al volume abitabile, attraversando il vuoto tra la soglia e il pavimento storico. L’intercapedine diventa cuscino climatico e passaggio impiantistico, ma soprattutto una sorta di quinta teatrale: la luce filtra lungo tutto il perimetro e mette in risalto le cicatrici della pietra. L’interno, compatto ma funzionale, ospita zona giorno, letto e servizi in un unico ambiente raccolto. La scelta, in risposta a un budget minimo, nasce dal desiderio di abitare solo lo spazio essenziale, lasciando che il resto continui a raccontare la propria storia.

 

Studio, Arzignano, Vicenza

Progetto: AMAA Collaborative Architecture Office For Research And Development | Costruzione: 2025 | Immagini: © Mikael Olsson

Non solo montagna. Anche nella pianura veneta, la sede AMAA ad Arzignano dimostra che la grammatica della “scatola nella scatola” può estendersi alla scala industriale. Dentro l’ex fabbrica meccanica delle Officine Pellizzari (anni cinquanta), lo studio AMAA (Marcello Galiotto e Alessandra Rampazzo) cala un volume in acciaio brunito distanziato da muri e capriate: la scatola non tocca il guscio, lo riscrive per prossimità. Questo vuoto periferico genera un anello‐promenade che corre lungo tutto il perimetro, permettendo una lettura ininterrotta dello spazio originario e mettendo in dialogo le superfici grezze della fabbrica con la trasparenza del nuovo volume.
L’intervento rivendica la propria natura di parassita virtuoso: si alimenta dell’infrastruttura esistente – carroponte, shed, pilastri – mentre introduce un lessico in divenire. Se il piano superiore si protende verso le pareti, quello terra si ritrae, innescando un gioco di pieni e vuoti che enfatizza la verticalità della navata. Al centro, una scala massiccia in calcestruzzo armato, sospesa, collega i due livelli e diventa fulcro scultoreo. Impianti, tubazioni e canaline restano a vista, dichiarando la condizione di work-in-progress dell’intero complesso.

 

La strategia della “scatola nella scatola” accompagna la trasformazione dell’esistente. La logica è costante – aggiungere anziché sostituire, mantenendo reversibilità e controllo dei costi – ma gli obiettivi evolvono: dall’estensione funzionale all’impatto ambientale, dalla valorizzazione del patrimonio alla flessibilità d’uso. Da strategia, un tempo oggetto di sperimentazione, oggi è un attualissimo metodo – o, meglio, uno strumento – per la rigenerazione di vecchi edifici, capace di rispondere a vincoli tecnici, ambientali e sociali. 

 

Immagine copertina: La Scatola nel Convento, progetto di Dario Castellino, Valle Maira, Cuneo (© Dario Castellino)

Autore

  • Francesca Sordi

    Si è laureata in Architettura presso il Politecnico di Milano, completando parte del percorso alla Manchester School of Architecture. Ha partecipato a progetti e concorsi internazionali, tra cui Europan17, dove ha ricevuto una menzione speciale nel 2024.

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Last modified: 28 Maggio 2025