Le vicissitudini della sua riapertura e repentina nuova chiusura impongono riflessioni allargate sulla gestione del territorio
LA SPEZIA. La Via dell’amore, simbolo di bellezza e fragilità delle Cinque Terre, è tornata al centro dell’attenzione in seguito alla recente chiusura, appena tre mesi dopo la tanto attesa riapertura. Questo breve tratto di costa tra Riomaggiore e Manarola, lungo poco meno di un chilometro, è un concentrato di sfide: ingegneristiche, economiche e culturali, che mettono in discussione la sostenibilità della gestione di uno dei sentieri più iconici d’Italia.
La lunga attesa per la riapertura
Dopo il tragico episodio del 24 settembre 2012, quando una frana colpì quattro turiste australiane, il sentiero rimase chiuso per oltre un decennio. Questo evento drammatico mise in luce la vulnerabilità del territorio, caratterizzato da rocce friabili e instabili, e la necessità d’interventi straordinari per garantire la sicurezza dei visitatori.
La complessità del progetto di messa in sicurezza e le difficoltà nel reperire fondi adeguati hanno allungato i tempi di riapertura. Finalmente, nel 2019, la Regione Liguria, insieme al Ministero della Cultura e al Ministero dell’Ambiente, stanziò 21,9 milioni per un imponente intervento. I lavori, avviati nel 2022 e conclusi nel luglio 2024, comprendevano l’ampliamento della storica galleria paramassi degli anni ’70 – con una nuova semi-volta di protezione nel tratto verso Manarola -, il consolidamento delle pareti rocciose con reti metalliche, ancoraggi e drenaggi perforati, e la completa ristrutturazione di 750 metri di camminamento con ponticelli, parapetti, illuminazione e arredi urbani.
L’intervento avrebbe dovuto garantire un livello di sicurezza senza precedenti, ma non senza sacrifici. Dove un tempo si poteva godere di una vista libera sul mare, ora dominano reti e strutture protettive, inevitabile compromesso per preservare un sentiero fragile e frequentatissimo.
Nonostante ciò, la riapertura aveva acceso grandi speranze: la Via dell’amore era pronta ad accogliere nuovamente i turisti, riportando con sé non solo un flusso economico significativo, ma anche una promessa di rinascita culturale.
Un sogno durato poco
Tra il 19 e il 20 ottobre scorsi intense piogge hanno causato una nuova frana, costringendo la chiusura immediata del percorso. Il crollo ha travolto una delle reti paramassi di recente installazione, evidenziando ancora una volta la vulnerabilità del territorio. Fortunatamente, la sicurezza dei visitatori è stata garantita grazie alla chiusura preventiva della Via dell’amore per l’allerta meteo. Inoltre, la storica galleria paramassi degli anni ’70, nonostante i danni strutturali subiti, ha dimostrato ancora una volta la sua efficacia: al più, sulla testa di qualche sfortunato passante, sarebbe potuto cadere qualche calcinaccio, piuttosto che un masso di qualche metro cubo.
Questo episodio ha sollevato molte domande sull’efficacia delle soluzioni adottate e sulla gestione dei fondi pubblici: come è possibile che oltre 21 milioni siano bastati a garantire la sicurezza per appena tre mesi?
Sicurezza vs magia: un compromesso difficile
La riapertura del luglio 2024 aveva introdotto misure per combattere l’overtourism, come il limite di 400 visitatori all’ora, nel tentativo di preservare il sentiero e trasformarlo da set fotografico per i social network a destinazione paesaggistica e culturale. Tuttavia, la vera sfida non sta solo nel controllo dei flussi turistici, ma nella difficoltà di mantenere un equilibrio tra modernità e tradizione.
Come racconta Dario Capellini nel suo libro Cinque Terre e libertà, la fragilità del paesaggio è sempre stata affrontata con il lavoro umano: muretti a secco e terrazzamenti, un tempo mantenuti con cura dalla popolazione locale, garantivano stabilità al territorio. L’abbandono di queste pratiche, complice l’esplosione di un turismo “mordi e fuggi”, ha lasciato spazio al degrado. E mentre i turisti comprano fritti take-away (quanto di meno tipico in un luogo che viveva di agricoltura eroica più che di pesca) e scattano foto fugaci, la natura si riprende ciò che era stato conquistato con sudore. Nessuna rete o chiodo può sostituire la manutenzione costante del territorio.
Incentivare il recupero dei terrazzamenti e dei muretti a secco non è una bacchetta magica, ma rappresenta un primo passo verso una gestione più sostenibile. Se i problemi della Via dell’amore sono condivisi da tutto il territorio delle Cinque Terre, non possiamo pensare d’investire cifre astronomiche – circa 25 milioni di euro per chilometro – tra l’altro pubbliche, per mantenere un sentiero aperto per pochi mesi. Serve un approccio diverso.
Quale futuro?
La nuova chiusura del sentiero rappresenta un campanello d’allarme. Continuare a investire in interventi straordinari senza affrontare le cause profonde della fragilità del territorio rischia di essere uno sforzo vano. La Via dell’amore non è solo un simbolo delle Cinque Terre, ma anche uno specchio delle loro sfide più grandi: il dissesto idrogeologico, l’abbandono delle tradizioni agricole, e un turismo che spesso consuma più che valorizzare.
Ripensare la gestione del territorio con un approccio integrato, che combini opere ingegneristiche mirate, manutenzione tradizionale e valorizzazione culturale è l’unica strada per preservare non solo questo sentiero, ma l’intero patrimonio naturale e culturale delle Cinque Terre. La magia della Via dell’amore non sta solo nel suo panorama mozzafiato, ma nella capacità di raccontare una storia di resilienza e adattamento che il tempo non deve cancellare.
Immagine copertina: Sentiero della Via dell’Amore dopo la riapertura di Luglio 2024