Riceviamo e pubblichiamo una riflessione che confronta la situazione italiana a quella soprattutto elvetica
A seguito delle vicende di Milano il primo pensiero va alle vittime di questa situazione, imprenditori, architetti, a chi ha perso il posto di lavoro. Il blocco dei cantieri edili per un ammontare di circa 12 miliardi per via dell’interpretazione delle norme edilizie è un evento abnorme. Esprimo l’opinione che sia necessario sostituire larga parte dell’apparato normativo, o tutto, al fine di salvaguardare gli obiettivi, i valori e l’economia.
Comparato con sistemi normativi di altri stati, il diritto italiano in materia di governo del territorio appare vessatorio, criminalizzante (asseverazioni), irragionevole nella mole e nella quantità delle casistiche, spesso privo di schizzi illustrativi, oneroso (in termini di tempo e quindi offensivo della dignità), lesivo d’interessi e diritti, privo di oggettivi presupposti di utilità rispetto a sistemi più semplici, dunque fondamentalmente da rigettare, o addirittura illecito; in sintesi, un inaccettabile generatore di rischi, di controversie e di oppressione, che sembra quasi costringere ad operare in una sola regione.
Rispetto alla Svizzera, in Italia la competenza legislativa regionale in materia urbanistico edilizia sembra generare delle gabbie (esulo da una valutazione della disciplina paesaggistica). La legge Svizzera 700, legge federale sulla pianificazione del territorio, è più chiara e semplice del Testo Unico (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), ed il grado di differenziazione delle leggi cantonali l’una dall’altra, e rispetto alla legge federale, è certamente minore del sistema italiano. Dato il risultato italico, ritengo utile valutare l’abolizione degli attuali poteri regionali e delle leggi regionali in materia.
Andando oltre allo schema di regolamento edilizio tipo, si potrebbero sostituire tutti i regolamenti edilizi e tutte i regolamenti delle norme generali dei PUC, con un unico regolamento nazionale urbanistico-edilizio, accompagnato da schede o integrazioni specifiche per le tipicità locali, compilate localmente, ma potrebbero anche essere le prescrizioni a) per specifiche delle aree di edificato storico a livello comunale – penso alle schede per le “conservation areas” -, e b) per specifiche tipologie quali gli edifici a corte, tipici di una regione. Si tratteggia un disegno di un sistema normativo funzionale ad un mercato nazionale, ispirato all’utilità delle “building regulations”, valide in tutta l’Inghilterra. La prolissità genera enormi rischi ed è gravissimo elemento ostativo alla libertà personale.
Altresì, si potrebbe semplificare il Testo Unico, riducendo a due, come in Svizzera, le casistiche edificatorie – attività di edilizia libera o permesso di costruire – e adottando pedissequamente ed uniformemente in tutta Italia, un modulo unico di permesso di costruire (penso alla semplicità del modulo di Zurigo, ove da giugno la procedura per il permesso di costruire è solo digitale). Si potrebbero ridurre a due le definizioni degli interventi edilizi, nuova costruzione o ristrutturazione, prevedendo nel modulo unico nazionale caselle, per esempio per i restauri, etc. Forse, le risorse spese per produrre norme irragionevoli andrebbero destinate agli apparati amministrativi, migliorando il servizio agli utenti, il controllo delle procedure, il controllo dei cantieri e dei luoghi di lavoro, riducendo il rischio sistemico (impossibile con le gare al ribasso) e ottenendo una migliore risultante complessiva.
In prospettiva storica, con piani estremamente più semplici sono state costruite intere parti delle nostre città. L’urbanistica italiana, la città disegnata, ordinata, quella tradizione urbanistica italiana che precede il fascismo, è finita nel 1945. A tutela dell’identità nazionale rimangono la zonizzazione e la tutela del paesaggio; sembra veramente carente l’aggiornamento degli edifici vincolati e sottoposti a tutela; per cui un’opera architettonica di pregio, degli anni 60, commissionata da un privato, non è vincolata, ma una mediocre Casa del fascio e una chiesa sì, quasi l’elenco degli immobili vincolati rappresentasse la superiorità, anche morale, dello stato sull’individuo, una delle caratteristiche precipue del fascismo. Tuttavia, non so se sia lecito affermare che nella progettazione di edifici residenziali privati c’era forse più libertà sotto il fascismo che non nell’Italia di adesso, ma andrebbe discusso l’argomento, tenendo conto che l’unica cosa che non si poteva presentare era uno sconcio. Si potevano presentare e costruire progetti in stile rustico, classicista, internazionalista (rivoluzionario) o altro, ma non uno sconcio.
Immagine di copertina: Foster & Partners, 6 More London Place (© Massimo Torre 2024)
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lettere al Giornale , normativa
Last modified: 11 Novembre 2024