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Architettura instabile, la performance di Diller Scofidio+Renfro

Architettura instabile, la performance di Diller Scofidio+Renfro

Due mostre al MAXXI tra cinetica e stasi: dalla rassegna di “edifici inquieti” selezionati dallo studio americano all’icona milanese dei BBPR

 

ROMA. Lo scorso 25 ottobre il MAXXI ha inaugurato “Architettura instabile” curata e allestita da Diller Scofidio+Renfro (fino al 16 marzo 2025) e “La Torre Velasca dei BBPR” (fino al 23 febbraio 2025) a cura del Centro Archivi Architettura e Design contemporaneo (con la consulenza scientifica di Maria Vittoria Capitanucci e Tullia Iori). Due mostre, quasi antitetiche, che raccontano dell’instabilità degli edifici, ovvero del movimento come “proprietà interna dell’architettura”, e della genealogia del grattacielo milanese, interessato dal recente restauro in fase di conclusione.

 

“Architettura instabile” tra panneggi mobili

All’interno della galleria KME (primo piano del museo) Diller Scofidio+Renfro (DS+R) progettano un allestimento cinetico nel quale il percorso espositivo diviene instabile e cangiante, proprio come le architetture in mostra. Scandito da un sistema di tende mobili, lo spazio allestito dallo studio newyorchese è pienamente inscrivibile all’interno della dimensione dell’arte contemporanea in cui, parafrasando lo storico dell’arte Renato Barilli, la circolarità del “medium tecnologico” (l’energia elettrica) ha posto fine a ogni tipo di rappresentazione prospettica. Le partizioni tessili esaltano la galleria anticlassica dello spazio concepito da Zaha Hadid Architects, creando stanze virtuali (o ambienti in potenza) che ciclicamente costruiscono e negano i limiti spaziali attraverso uno scorrimento automatizzato a soffitto.

L’allestimento di DS+R è una promenade tra modelli, disegni, immagini e proiezioni filtrati dai tessuti semitrasparenti, che interagiscono sia con gli oggetti in mostra che con i visitatori (soggetti attivati dalle opere esposte ma anche dal moto tessile). L’allestimento fonde la ricerca progettuale sul movimento, portata avanti dallo studio, con la tradizione effimera dei panneggi barocchi che vagano tra le inquietudini dello spazio contemporaneo.

“Architettura instabile” è una mostra che mette in crisi il principio della firmitas architettonica per relazionarsi, come afferma lo studio DS+R, “al susseguirsi di sconvolgimenti politici, fluttuazioni economiche, riforme sociali, cambiamenti climatici e innovazioni tecnologiche”. Per rispondere al “mondo in continuo movimento” l’architettura contemporanea deve ambire a liberarsi dalla stasi provando a essere adattiva, mobile, azionabile ed ecodinamica. A queste quattro qualità corrispondono le sezioni della mostra.

L’architettura “Adattiva”, capace di adeguarsi alle funzioni di domani, è quella del Fun Palace di Cedric Price (1964), della Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa (1970) ma anche quella di The Shed (2019), unico progetto dello studio DS+R esposto, il cui sforzo costruttivo-cinetico, oltre a essere presentato attraverso un video e un modello, è raccontato da un interessante book di disegni esecutivi consultabile liberamente.

Gli edifici della sezione “Mobile” sono architetture trasportabili che rispondono a catastrofi ed emergenze, come l’Ark Nova Concert Hall di Anish Kapoor e Arata Isozaki (2013), ma sono anche ripari temporanei per rifugiati e senza tetto (tra questi la Family Tent dell’UNHCR o l’Homeless Vehicle di Krzysztof Wodiczko). L’oggetto più iconico di questa sezione è senza dubbio il Mobile Office di Hans Hollein (1969): un ufficio gonfiabile contenente un tavolo da disegno, un telefono e una macchina da scrivere; vera e propria anticipazione del nomadismo digitale degli anni duemila.

La sezione “Azionabile” presenta architetture che soddisfano esigenze diverse attraverso l’attivazione di un dispositivo tecnologico (meccanico o digitale). Tra queste il celebre ufficio mobile della Torre Bata di Vladimir Karfik (1939) e la Maison di OMA a Bordeaux (1988).

Infine, la sezione “Ecodinamica” raccoglie esempi di architetture che assecondano le forze della natura per muoversi di conseguenza come la celebre Villa Girasole di Angelo Invernizzi a Marcellise (1935), l’Istituto del mondo arabo di Jean Nouvel a Parigi (1987) o il Madinah Piazza Shading Project di SL Rasch (2011).

Tra i tanti materiali esposti colpiscono alcuni disegni che, a differenza delle proiezioni immediatamente comunicative del dinamismo architettonico, restituiscono lo sforzo della mano nel cristallizzare l’idea di movimento e instabilità. Esemplari in tal senso i disegni di Maurizio Sacripanti e Coop Himmelb(l)au.

La mostra è una grande installazione dalla forma aperta, nella quale le sezioni non si configurano come ambiti chiusi ma come realtà sincroniche interagenti con i visitatori che partecipano alla performance. Come afferma Elizabet Diller nell’intervista rilasciata a Emmanuel Olunkwa: «Nessun edificio è costruito nel vuoto, ma interagisce con gli esseri umani e con i corpi in uno scambio continuo. Questa idea ha ispirato il mio pensiero in generale e ancora oggi non riesco a pensare all’architettura se non come a una forma d’arte performativa».

Immagine copertina: Gruppo Archigram, Instant City (1970) (Collezione FRAC Centre – Val De Loire)

La fissità della torre Velasca

Se la galleria KME è dominata dall’instabilità di DS+R, al Centro Archivi primeggiano la fissità e la stasi di uno dei monumenti più significativi del secondo Novecento italiano. Qui il viaggio espositivo si sviluppa attorno ai documenti dell’Archivio BBPR per concludersi con un percorso di realtà aumentata (Velasca Virtual). Partendo dalle lettere d’incarico, la mostra ripercorre la gestazione progettuale, dai primi studi di fattibilità (sviluppati con simulazioni analogiche) fino all’eco della stampa restituito dagli articoli successivi la costruzione.

Interessanti i carteggi del dibattito milanese dell’epoca: tra i sostenitori dei BBPR vi furono Philip Johnson, Marcel Breuer, Walter Gropius e Le Corbusier. Nell’iter costruttivo della torre Velasca la questione della tecnica è di fondamentale importanza e nella mostra emerge la discussione tra sistema costruttivo in acciaio e cemento propria di quegli anni. Superata la fase preliminare, esposta nel deambulatorio d’accesso del Centro Archivi, lo spazio principale accoglie il modello della Velasca, i disegni definitivi-esecutivi e l’approfondimento sui materiali. In conclusione, le foto di Giacomo Albo sul recente restauro curato dalla società globale d’investimento Hines.

Autore

  • Alessandro Brunelli

    Architetto, PhD in Architettura Teorie e Progetto (DiAP - Sapienza Roma) e ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Ferrara. Si è formato tra l'Italia e il Portogallo, è stato professore a contratto di progettazione architettonica presso l'Università di Parma (DIA) e assegnista presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre. Tra i suoi libri, "Intuizioni sulla forma architettonica. Alessandro Anselmi dopo il GRAU" (2019) e "Dez Obras. Arx Portugal Arquitectos" (2020). É fondatore dello studio Brunelli Ann Minciacchi (Roma - Fano).

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Last modified: 30 Ottobre 2024