Sul lago di Como, restaurata dal FAI la casa-barca progettata dallo studio BBPR negli anni ’50, raro esempio di architettura galleggiante
TREMEZZINA (COMO). Tutti abbiamo, prima o poi, pensato di vivere in barca; pochi hanno avuto l’occasione di provarci; pochissimi ci sono riusciti. Soprattutto quando la barca andava costruita in “forma di casa”.
La genesi della Velarca
Negli anni ’50 i coniugi Fiammetta ed Emilio Norsa, rapiti dalla bellezza del borgo di Tremezzina che, incastonato sulla sponda occidentale del lago di Como, guardava l’Isola comacina che nella notte di San Giovanni s’incendiava di fuochi d’artificio, decidono di comprare una striscia di terreno sulla sponda lacustre. Esperita l’impossibilità di costruire una casa sull’acqua, dirottano sull’idea della casa-barca per avere la possibilità di soggiornare in loco, ambedue possibilità suggerite dall’amico Roberto Sambonet. Ma se in Francia o in Olanda tutto sommato abitare a bordo di un natante è pratica abbastanza diffusa, in Italia sarebbe stato un unicum e l’incarico fu testé affidato allo studio BBPR, nella persona dell’amico Ernesto Nathan Rogers.
Non sembrano esserci stati riferimenti: la barca-studio di Ralph Erskine ancorata a Drottningholm (Stoccolma) era troppo lontana e del resto il “Verona”, questo il nome del veliero, nel 1955 era stato allestito dall’architetto anglo-svedese con tavoli da disegno solo al suo interno. Così gli spunti diventano la torre Velasca, inaugurata nel 1957, per il nome Velarca, e il tram, già storico, di Milano per la perlinatura in legno e per la forma delle finestre – tali erano in quanto casa – facendo in modo che il tutto fosse semplicemente appoggiato sulla gloriosa gondola che per anni aveva servito da corriera acquea fra Tremezzina e Como.
Architettura e amicizia, una combo vincente
A dare compimento all’ardita avventura di guadagnare una residenza sul lago, in quel della Zoca de l’Oli – questo il nome della piccola insenatura sulla quale si affacciava lo stretto lotto dei Norsa – compare, nel 1959, lo strano oggetto galleggiante: a contatto con l’acqua barca, immerso nell’aria casa, con al posto del tetto un tendalino che, dal cilindro della scala a chiocciola che emerge sulla coperta, si estende a dare riparo a tutto il ponte, ma forse dovremmo dire al terrazzo.
In fondo una vicenda minima, ancorché di grande qualità, ma proprio perché limitata nello spazio e nelle dimensioni esemplificativa di un mondo, quello dell’imprenditoria milanese della rinascita, che riusciva a concentrare le migliori energie anche nelle piccole cose. Piccole imprese che diventavano grandi in mano agli amici, in questo caso i BBPR – ma nella cerchia oltre ai già citati architetti si potrebbero annoverare Gio Ponti, Gillo Dorfles, Eugenio Montale, Lucio Fontana, Umberto Eco, Cesare Musatti – che non lesinavano il loro talento per disegnare un minuto rifugio per le vacanze e il tempo libero.
Il restauro del FAI
Un episodio certo costruito grazie alla sapienza artigiana di chi lavorava allora sul lago, il cui spirito e maestria sono state fatte rivivere da chi ha reso oggi possibile un restauro difficile, eseguito nello spirito del com’era dov’era sotto la committenza del Fondo Ambiente Italiano. Perché è il FAI che ha preso il testimone e la barca dai discendenti della famiglia Norsa, Aldo e Maria Luisa, per arrivare ad avere nel piccolo comune di Ossuccio Tremezzina ben tre beni aperti al pubblico.
Sì, perché la Velarca si aggiunge alla Villa del Balbianello e alla Torre del Soccorso, a completare un patrimonio storico architettonico che nel piccolo comune annovera anche Villa Leoni, disegnata da Pietro Lingeri nel 1938, architetto che firma anche le case per artista sull’Isola comacina completate nel 1940 e, tornando indietro nella storia, la chiesa romanica di Santa Maria Maddalena dell’XI secolo, a riprova della densità straordinaria di beni artistici che l’Italia offre anche nelle sue più remote comunità.
L’operazione è stata portata a termine grazie al finanziamento dell’Autorità di bacino e di Regione Lombardia che ha permesso la realizzazione del sistema dei pontili, quello esistente e quello nuovo, che consentirà ai visitatori di raggiungere la Velarca via lago.
Il restauro apre interessanti temi. La gondola di 19 metri, la parte più antica e galleggiante, è stata ricostruita dai cantieri Riva di Maslianico utilizzando elementi in castagno reperiti in Veneto da antiche botti, seguendo una prassi, quella della sostituzione degli elementi non più performanti, che nella nautica è metodologia comune in quanto si devono garantire la funzionalità e la sicurezza. Nella parte abitativa la ricerca e sostituzione degli elementi non più adatti si è spinta fino al minino dettaglio e il risultato è notevole nell’offrire un’immagine di “nuovo d’epoca” che arriva a popolare la casa di libri, suppellettili, vasellame, posati qui e là con una naturalezza da studiatissimo still life che risulta, forse, sino eccessivo. Si veda, ad esempio, la rubrica telefonica con i numeri del tempo ricollocata accanto al telefono in bachelite nera che torna ad essere appeso nel sottoscala.
Non si può che convenire con la presentazione di Marco Magnifico, presidente del FAI: la Velarca è un dettaglio della storia che rappresenta un piccolo capolavoro dell’architettura del secondo dopoguerra italiano.
Immagine copertina: la Velarca, presso Ossuccio-Tremezzina, sul lago di Como (© Roberto Morelli e FAI)
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imbarcazioni , lombardia , restauro del moderno
Last modified: 17 Settembre 2024