Tre libri offrono altrettante visioni per il progetto dei musei contemporanei, tra ecologia e democrazia
Un panorama variegato e complesso emerge da tre recenti pubblicazioni che tratteggiano la riflessione e la pratica museale ai nostri giorni. La buona notizia è che il museo è vivo e vegeto e che i semi gettati sono pronti a germogliare, anche grazie ad un’ampia partecipazione.
Infatti, che per fare un albero ci vuole un seme, è un fatto noto. Ma che anche per fare un museo ci volesse un seme lo è molto meno. In verità in Museum seed. The Futurability of Cultural Places (a cura di Mara Servetto e Ico Migliore, Electa, 2024, 160 pagine, 29 €) gli autori si spingono ben oltre postulando che il museo stesso sia un seme e suffragano l’affermazione con molti, brillanti, progetti realizzati dallo studio. Per i due designer l’immagine del seme “rappresenta una nuova concezione dei luoghi di cultura e aggregazione, che ruota attorno al concetto che amiamo definire museum seed. Una chiamata alla responsabilità culturale in termini di design: un luogo di cultura, come un seme, deve essere capace di innestarsi nel tessuto urbano e sociale del territorio circostante per rendersi attivatore di nuovi comportamenti”. Emerge un ruolo attivo del museo che, da istituzione volta alla raccolta e alla conservazione e che nasce dove i giacimenti sono presenti, diventa catalizzatore contribuendo, addirittura, a far emergere in un luogo e in una comunità la necessità di un’istituzione identitaria. Il museo, quindi, cresce come il seme in una versione aumentata in cui una nuova progettualità̀ integra “architettura, design e grafica nell’incontro con l’evoluzione delle tecnologie, delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale”. In otto capitoli si articola un vero e proprio manifesto, sostenuto dai contributi di noti protagonisti della materia sia nel campo del design che in quello più generale dell’offerta culturale. Siamo di fronte ad una riflessione teorica che sistematizza un’esperienza maturata sul campo che ha visto i due autori (circostanza non comune e apprezzabile) misurarsi con vari tipi d’istituzioni museali in differenti contesti e culture.
Porta nel dibattito una visione molto più radicale Museums at the Ecological Turn (a cura di Caterina Riva e Laura Tripaldi, AMACI e NERO, 2024, 232 pagine, 18 €), esito dell’omonimo convegno internazionale organizzato a Bergamo nel novembre 2023 per affrontare il rapporto tra ecologia, arte e istituzioni museali. Il volume riunisce “voci e prospettive dall’interno e dall’esterno delle istituzioni artistiche per intercettare e amplificare il dibattito su questi temi” e per riflettere “sul ruolo dei musei e su come essi debbano abbracciare nuove forme di responsabilità e consapevolezza”. Molto articolate le posizioni espresse. Anche se “negli ultimi anni, il rapporto tra pensiero ecologico e produzione artistica ha dato luogo a una riflessione generativa tra sostenibilità, conservazione e sopravvivenza”, secondo iLiana Fokianaki, “il ruolo dell’istituzione artistica e della sua programmazione” è da ritrovarsi in “modalità sostenibili e pratiche artistiche che sostengono la decrescita”. Ma, osserva Stella Succi, “uno dei punti dolenti che mina la credibilità dell’istituzione museale scoprendo il fianco a intenzioni distruttive è la contraddizione tra molti dei valori che sono al centro delle loro mostre o iniziative educative e l’origine dei finanziamenti che li sostengono”. Così se artwashing e greenwashing rappresentano pratiche non più tollerabili, non si può non arrivare al paradosso che esprime James Bridle: “Sappiamo di dover coltivare più cose verdi, lasciare più spazio agli animali, ma è difficile farlo in un white cube climatizzato, la cui unica ragion d’essere è la separazione modernista dalla Terra e dalle sue sporche distrazioni. […] Molto di ciò che si dovrebbe fare non è possibile all’interno delle strutture – fisiche, legali, sociali – dell’arte contemporanea. Eppure, è vitale che siano gli artisti e le istituzioni a farlo”. La denuncia è ferma e circostanziata, la soluzione tutta da scrivere in termini progettuali oltre che ideali.
Che il museo sia necessario rimane un fatto, purché “reclami il ruolo che gli spetta quale attore cruciale nella sfera pubblica, spazio di democrazia e presidio di pluralità”. Questa la tesi articolata e dettagliata in Il Museo necessario. Mappe per tempi complessi (a cura di Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli, Nomos Edizioni 2023, 264 pagine, 24,90 €), nella sua seconda edizione aggiornata. Autorevoli voci nazionali e internazionali della museologia delineano un museo necessario e radicale che abbandona i miti della neutralità e dell’universalità e che non imponga un’interpretazione a priori, che sia al servizio della collettività avendo al centro i diritti delle persone. Una rivoluzione copernicana, si potrebbe dire, che prende forma in diversi filoni. Il museo prende posizione soprattutto rispetto ai temi di giustizia sociale: i professionisti museali sono attivisti, si vedano i contributi di Janes e Sandell (tradotti in italiano). Ma il museo non è salvifico né samaritano secondo Bodo, è anzi solidale e socialmente utile. Il concetto e la pratica della cura sono posti al centro quale benessere della collettività, come illustrato nell’esperienza del Manchester Museum attraverso le parole della sua direttrice Esme Ward. Giulia Grechi porta l’attenzione sulla restituzione quale strumento della decolonizzazione perché “il museo non è innocente” e l’attività espositiva non è neutrale, intrecciandosi alle dinamiche dei poteri che sovrintendono all’elaborazione dei saperi. Il museo è anche una casa quando scende alla scala del quartiere e della comunità. Il saggio di Anna Chiara Cimoli traccia una mappa dei musei dell’abitare approfondendo il caso studio del MUBIG, il museo di comunità del quartiere di Greco a Milano, museo “diffuso, del presente, partecipato” al quale ha partecipato la Pinacoteca di Brera, come testimoniato da James Bradburne. Significative sono anche le esperienze internazionali: dal museo di quartiere di Trešnjevka a Zagabria (votato alle marginalità) a quello di Aubervilliers, vicino a Parigi (che dà voce all’altra storia in contrapposizione a quella nazionale ufficiale).
In copertina: Migliore e Servetto, allestimento del Museo di Storia Naturale a Milano (foto Alessandro Colombo)
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compatibilità ambientale , democrazia , libri , musei
Last modified: 5 Luglio 2024