Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sulla distruzione degli edifici storici e sulla necessità di ricostruire identità
In ogni conflitto, il pensiero va sempre alle vittime umane; civili innocenti che subiscono le scelte di altri. La guerra a Gaza è un genocidio, ma non è questo lo spazio editoriale per entrare in considerazioni politiche. Le guerre vanno evitate a prescindere.
Il tema che affrontiamo è quello delle vittime collaterali; dei luoghi, degli edifici e della memoria storica distrutta dalla guerra. Quando la guerra colpisce luoghi intrisi di storia e cultura, il suo impatto va oltre la distruzione fisica degli edifici. Come architetto, rifletto sull’impatto devastante che la guerra ha sulla storia architettonica e sulle identità culturali dei popoli cancellando la memoria.
Nel corso dei secoli, molte città hanno subito i flagelli della guerra, ma la sistematica distruzione cui stiamo assistendo degli edifici a Gaza ha raggiunto proporzioni senza precedenti nella storia moderna. L’incursione e i bombardamenti hanno cancellato non solo la struttura fisica degli edifici, ma anche i tessuti urbani e i paesaggi, distruggendo la ricca storia della regione. I dati, raccolti da analisi geografiche, rivelano un quadro desolante: una percentuale sbalorditiva di edifici distrutti o gravemente danneggiati, ospedali e scuole parzialmente funzionanti, moschee e chiese danneggiate, piazze, case ridotte a cumuli di macerie. L’ulteriore effetto è sulla distruzione di siti archeologici d’inestimabile valore, mettendo a rischio la conservazione della memoria storica di un’intera civiltà. Alcuni dati del primo mese dell’anno riportano ad esempio che gli edifici distrutti o danneggiati sono circa la metà del patrimonio esistente, percentuale che sfiora il 70% per gli edifici scolastici, mentre le moschee danneggiate sono oltre 140, e gli ospedali funzionanti solo 15 su 36. La tragedia si manifesta con particolare intensità quando si contemplano gli edifici storici e religiosi, testimoni silenziosi di secoli di storia e cultura. La moschea di Sayed al-Hashim, la grande moschea Omari, la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio sono solo alcuni dei luoghi emblematici ridotti in rovina dai bombardamenti.
Ogni pietra, ogni decorazione, ogni manufatto rappresentava un tassello prezioso del patrimonio culturale di Gaza, ora disperso per sempre. La perdita va oltre il valore materiale degli edifici. Ogni monumento, ogni struttura storica raccontava una storia, custodiva una parte dell’identità di un popolo. La distruzione di questi luoghi non è solo un atto di violenza contro il presente, ma anche un’offesa alla memoria collettiva e alle generazioni future. Immaginate di essere un bambino a Gaza, cresciuto intorno al giardino o alla piazza accanto a casa, nei vicoli intorno alla moschea dove con gli altri bambini ci s’incontrava per giocare a palla, magari trasformando un angolo di una casa nella porta del campo da gioco. Tutti questi luoghi intrisi di questa memoria di vita, cancellati per sempre annullati dalla distruzione della guerra. I riferimenti di quel bambino sono perduti per sempre. Ricordi che diventeranno sempre più deboli con il tempo.
Come architetto, mi rammarico per la perdita irreparabile di tutto questo patrimonio materiale ma sopratutto immateriale e credo che dovremmo riflettere anche su cosa voglia dire alla fine della guerra ricostruire. Perché il tema del futuro degli interessi internazionali sarà concentrato sulla ricostruzione.
Allora penso a quel bambino e penso che, per dare un aiuto a chi ha perso quei luoghi di vita dovremmo, prima di pensare ai progetti, ricostruire i luoghi e le memorie collettive. Ridare identità e significato ai valori memoriali come strategia urbana della ricostruzione. La guerra non solo distrugge edifici, ma anche le connessioni intangibili che legano le persone alla loro storia e ai loro luoghi. Se vogliamo creare un luogo di vita dobbiamo ricostruire pensando all’identità. È un monito che ci ricorda l’importanza non solo di preservare il nostro patrimonio architettonico e culturale, ma anche di riconsegnare l’identità dei luoghi e della memoria affinché si possa continuare a ispirare e a nutrire le generazioni future, per superare il dolore delle perdite e senza cadere vittime anche nella ricostruzione dei soliti interessi economici e della fretta.
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guerra , lettere al Giornale , Medio Oriente , memoria , monumenti
Last modified: 22 Maggio 2024