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Giovanni BellucciWritten by: Professione e Formazione

Sappiamo ancora costruire chiese?

Sappiamo ancora costruire chiese?

Gli esiti del convegno internazionale “The Churches and the City” a Bologna: al centro, i temi dell’inclusione e integrazione

 

BOLOGNA. Siracusa, Napoli, Viareggio, Carpi e Ivrea in Italia; Londra, Vigo, Lisbona, Lipsia e Dortmund all’estero. Sono solo alcune tra le mete idealmente toccate dalla conferenza internazionale “The Churches and the City” svoltasi, con la media partnership di questa testata, il 7 e l’8 marzo scorsi nella prestigiosa cornice di Palazzo Magnani, sotto gli affreschi dei Carracci.

 

Due temi per due giornate di convegno

Il primo era enunciato già nel titolo della relazione del professor Albert Gerhards, dell’Università di Bonn: “Forma, ruolo e progetto dei centri parrocchiali per oggi e domani”. Si pone il delicato problema della relazione con la fisionomia sociale delle città contemporanee, materia dell’intervento del professor Luca Diotallevi, autore del recente volume La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019 (Rubettino, 2024). La seconda giornata del convegno voleva invece individuare trame comuni nelle esperienze europee degli anni della ricostruzione postbellica, con testimonianze dalla Spagna (Esteban Fernández Cobián dell’Università de La Coruña), dal Portogallo (João Alves da Cunha del Centro De Estudos de Historía Religiosa), ed anche dall’Inghilterra anglicana, ove la relazione di Lorenzo Grieco (Università di Roma Tor Vergata) ha dimostrato nell’architettura delle chiese l’assorbimento dell’istanza partecipativa del Movimento liturgico oltremanica. Ampio il dibattito che ha consentito di evidenziare i principali nodi tematici sui quali si misurano le difficoltà contemporanee nel progetto delle chiese.

 

Architettura ecclesiastica: inclusione, integrazione

Anzitutto il modello di presenza del religioso nella città contemporanea: particellare e disperso, oppure puntuale e aggregato? Da un lato, i nuovi modelli di pastorale, la scarsità dei sacerdoti e l’aumento dei volontari e dei laici impegnati premiano innesti particellari nella città contemporanea, luoghi multiuso per la comunità che si realizzano nello spazio di un dehors, come minimo presidio d’incontro, di giorno, e di ospitalità per i più fragili, di notte. Dall’altro, invece, il religioso come elemento residuale nella città post-secolare diventa mall “Multi-fede”, “house of religions” sull’esempio di Berna, ampio edificio monolitico e autonomo destinato a coloro che ancora professano una fede e che entrano dunque tutti da un’unica porta, per poi separarsi nella chiesa, nella moschea o nel tempio indù, salvo ricongiungersi negli “spazi neutri”, offerti per l’accoglienza di tutti, intorno ad un ristorante Halal e Kosher altrettanto capace di gustosi piatti vegetariani o vegani.

Se l’edilizia religiosa può essere utilizzata come paradigma dello stato dei tempi, il centro parrocchiale, che diversi relatori definiscono mai pienamente ed efficacemente sviluppato anche in Italia nonostante l’importanza trasversalmente riconosciuta della sua funzione, avrebbe soprattutto oggi un ruolo chiave nei complessi contesti sociali in cui si auspica l’innesto di dinamiche di appartenenza e inclusione, integrazione e coesione sociale. Le città, insomma, invocano luoghi di pace, intergenerazionali, spazi di costruzione delle comunità umane sfilacciate che le popolano. Bisogna verificare allora se i centri parrocchiali possano essere tali luoghi, se a questo scopo possa essere ricondotta la loro funzione e, quindi, la loro articolazione spaziale.

Se in città ci s’interroga sul ruolo, sulla forma e sulla posizione dei luoghi di culto, la moltitudine delle chiese abbandonate nelle aree interne o in contesti di progressivo spopolamento testimonia una debolezza intrinseca alla committenza, che dimostra ridotte capacità di gestione del patrimonio ereditato dalla storia in funzione sociale o carismatica. Non mancano i documenti d’indirizzo (le linee guida della Santa Sede del 2018), quanto piuttosto gli strumenti, i casi virtuosi e le prassi.

Chiese contemporanee, chiese future

Altrettanto, nelle nuove edificazioni, si conferma non marginale la decifrazione delle connessioni tra architettura sacra e arte, tra progetto architettonico e ruolo urbanistico, tra valenze compositive e spazio liturgico: temi rispetto ai quali la committenza clericale pare avere perduto monoliticità e quella laica non essere ancora sufficientemente formata, nonostante l’impegno e le iniziative dell’Ufficio nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e l’Edilizia di culto della CEI, volte al coinvolgimento delle comunità parrocchiali in processi partecipativi che infatti, ove si svolgono, incidono tanto sull’architettura quanto sul rafforzamento dell’appartenenza, come ha osservato don Luca Franceschini, direttore dell’Ufficio.

Efficace in tal senso la visita guidata proposta ai congressisti alla chiesa di San Disma, ultimo edificio di culto realizzato in diocesi di Bologna da una giovane squadra di progettisti (Inout architettura, Lado architetti e Lamber+Lamber) e inaugurato nell’estate 2019 dopo un iter decennale di progettazione condivisa con i parrocchiani. Una chiesa in forma di casa, sotto un grande tetto a capanna fesso da una lama di luce, che delle abitazioni all’intorno perde tuttavia il colore e la massa, sposando, come molti edifici di culto contemporanei, il candore e lo splendore del bianco. Si tratta di tensione escatologica, come nelle architetture di Rudolf Schwarz, o un ammiccamento all’iconicità contemporanea?

Più che tracciare conclusioni, l’appuntamento bolognese ha aperto, ripreso e ordinato questioni, in parte già presenti nella letteratura (della quale si devono almeno qui ricordare i convegni liturgici internazionali della comunità monastica di Bose, i congressi internazionali di Venezia, “Arte e liturgia nel Novecento. Esperienze Europee a Confronto” e, con questi, monsignor Giancarlo Santi, loro infaticabile promotore, recentemente scomparso), in parte in attesa di nuove acquisizioni alle quali solo una ricerca corale e interdisciplinare potrà ambire. 

 

Immagine di copertina © Simone Bossi

 

 

Autore

  • Giovanni Bellucci

    Dopo avere conseguito la laurea in Ingegneria edile-architettura e il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, dal 2014 conduce parallelamente all’attività di docente a contratto numerose ricerche in archivi italiani e stranieri sulla storia dell’architettura contemporanea, con particolare riferimento ai legami con l’ingegneria e alle relazioni tra architettura italiana e svedese. Membro di AAA Italia e dell’Associazione Italiana di Storia dell’Architettura (Aistarch), è autore di pubblicazioni in volumi e riviste e relatore in numerosi convegni nazionali e internazionali.

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Last modified: 2 Aprile 2024