A margine di una criticabile legge della Regione Veneto, considerazioni sul «turismo esperienziale» e sulla montagna come parco a tema ludico
Il 27 febbraio la Regione Veneto ha approvato la legge che permette l’installazione di stanze panoramiche in vetro e legno, anche sopra i 1600 metri di quota, laddove sinora le norme urbanistiche ammettevano solo la presenza di bivacchi, rifugi alpini e malghe. Il testo di legge dispone che i manufatti possano ospitare due soli posti letto e siano eco-compatibili, sebbene non vengano indicate particolari restrizioni in termini d’impatto luminoso, acustico e ambientale. Le stanze panoramiche dovranno essere collocate stabilmente sul suolo, ma «facilmente rimovibili», e a non più di 100 metri in linea d’aria da una stazione d’impianto a fune o da una struttura ricettiva esistente, raggiungibile tramite la viabilità esistente. Nessun limite, invece, per quanto concerne superficie e altezza, o ubicazione nelle aree protette e nei parchi regionali e nazionali. Saranno le amministrazioni comunali ad autorizzare le nuove strutture ricettive, in deroga alla normativa vigente, ma nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Considerando che i Comuni montani veneti sono 86, e che sono consentite due strutture per comprensorio, si potrebbe arrivare a 172 stanze che permetteranno di trascorrere una romantica notte sotto la volta celeste.
Assalto alle Alpi: la città che sale
Mutuiamo i titoli di uno stimolante pamphlet di Marco Albino Ferrari (Einaudi, 2023, pp.130, euro 12) e di un quadro di Umberto Boccioni (1910-11) per rilevare un fenomeno di progressiva trasposizione di modelli urbani in montagna, che la trasformano sempre più in un’appendice della vita metropolitana, oppure in un divertimentificio (per non dire dell’accanimento terapeutico dei comprensori sciistici di bassa quota dove non nevica quasi più, mentre quella artificiale, per il rialzo delle temperature, resiste dalla sera alla mattina).
Se è vero che, da un lato, si registrano inversioni di tendenza per un ritorno alle aree interne in chiave di scelta di vita e lavorativa, non per forza dipendente dalle dinamiche del turismo di massa, dall’altra si assiste a una proliferazione d’infrastrutture ancora tutte figlie di un’idea novecentesca di «valorizzazione» della montagna. Percorsi avventura, ponti tibetani, passerelle a sbalzo su gole e dirupi [nella foto a fianco, quella nell’Orrido di Pré-Saint-Didier, Aosta], punti panoramici a 360° (si pensi al «catafalco» realizzato da NOA Network of Architecture su cima Grawand, a quota 3251 in Val Senales, Bolzano, per «valorizzare» il sito ove è stata rinvenuta la celebre mummia del Similaun); per tacere delle famigerate panchine giganti partorite dal car designer Chris Bangle, ormai una piaga a scala territoriale.
Le opere in aggetto vanno fortissimo: danno una scarica di adrenalina, di vertigine, come ci ricorda Davide Deriu, rappresentando un landmark straordinario: in tal senso furono antesignani, nel 2011, gli interventi di riqualificazione griffati Werner Tscholl per la strada del Passo del Rombo, tra Alto Adige e Tirolo. Pare, infatti, che il mero paesaggio da rimirare non basti più; per noi turisti distratti occorrono un riquadro, un cannocchiale, un balcone proteso nel vuoto da cui guardarlo. Per poi farsi un selfie (meglio se estremo: 259 «selficidi» tra 2011 e 2017) e rendere, così, sfondo indifferente quella che doveva essere la ragione dell’interesse. Risultato finale: un’avvilente scenario omologante di segni e paesaggi.
Col naso all’insù, ma senza protesi
Le stanze panoramiche s’inseriscono in questo solco. Nel 2008, le prime avvisaglie dell’attuale deriva, con la «capsula alpina» di Ross Lovegrove: un ovoide in acciaio e vetro specchiante (per veder fuori senza essere visti) che ospita un’alcova iper-accessoriata off grid (con energia prodotta da fonti rinnovabili, of course!). Fortunatamente, nei pressi del rifugio Club Moritzino, in Alta Badia (Bolzano), l’Ufo del designer britannico non è mai atterrato.
Poi, nel 2018, ecco le StarsBOX, concepite dal brillante studio cuneese Officina82: piccole capannette monovolume in legno, poggiate su paletti metallici, con tetto apribile per contemplare la volta celeste da un semplice giaciglio. Versione «francescana», low tech e reversibile del modello precedente, le StarsBOX stanno riscuotendo particolare successo, piazzate nelle vicinanze di alcuni rifugi alpini che, astutamente, hanno così ampliato l’offerta ricettiva, intercettando le tendenze del glamping.
In Veneto, una Starlight Room Dolomites esiste già: al Col Gallina (Belluno), gestita dall’omonimo rifugio. Il sito web [da cui sono tratte l’immagine di copertina e quella a fianco] informa che il prezzo di 700 euro a notte comprende trasporto, cena, pernottamento e colazione. Non proprio per tutti (perché, nelle narrazioni della montagna che piace, «esclusività» è un altro termine ricorrente, sebbene non esattamente sinonimo di «accessibilità» o «valorizzazione») e non proprio spartana. D’altronde, il turismo di lusso richiede comfort; quindi, spazi contenuti ma non troppo existenzminimum (non siamo mica lerci camminatori che si rintanano in un bivacco!), con l’alcova da una parte e il tavolo da pranzo dall’altra, distribuiti da un ingressino con toilette (e, dato il prezzo, non vogliamo pretendere il riscaldamento e una doccia calda, anche se fuori non c’è un filo d’acqua?). Se, poi, ci è permessa una nota stilistica, è pure bruttarella: un accrocchio di volumi che tra loro cozzano.
All’esempio veneto fa da controcanto, a Usseglio, in Valle di Lanzo (Torino), il «Rifugio dell’anima», operativo dal 2023: una luxury dependance di un albergo in fondovalle dove, grazie a una parte di pavimento vetrato, la camera garantisce la sensazione «mozzafiato» di sospensione sul vuoto, sebbene qui la copertura lignea impedisca la visione stellare.
Gli slogan parlano di «esperienza a contatto con la natura»; una condizione che accettiamo entusiasti solo se la natura ci viene somministrata in forma addomesticata. Si tratta infatti di un’immersione artificiale, filtrata, da praticare «in sicurezza»: attraverso la tecnologia digitale che ci guida come degli automi con il GPS (perché, senza, ormai ci perdiamo anche su un sentiero); oppure, nella fattispecie, attraverso gli involucri architettonici. Tutte «bolle» che ci tengono a debita distanza dalla wilderness, a cui noi «animali urbani» non siamo più avvezzi. Ecco servito il cosiddetto «turismo esperienziale»: fuoristrada o motoslitta che ci conducono a destinazione, pasti serviti al tavolo, bagno in camera, gabbia protettiva in legno e vetro (purché eco-friendly).
Per godere la meraviglia di una notte speciale in quota è sufficiente piantare una tenda, mentre per contemplare col naso all’insù un cielo stellato basta un sacco a pelo in un prato. Alessandro Gogna, protagonista d’imprese che han fatto la storia dell’alpinismo, dalle colonne del suo blog ha tuonato: «Basta con queste emozioni assistite dalle vostre protesi».
Sottoscriviamo. Buonanotte!
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abitare , alpi , architettura alpina , bolzano , montagna , paesaggio , Pianificazione , piemonte , turismo , urbanistica , veneto
Last modified: 20 Marzo 2024