Considerazioni a margine della presentazione dell’esecrabile modello di CPR dei migranti irregolari del Ministero della Difesa
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate,
ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”
(Martin Luther King)
Il 24 ottobre scorso, sul quotidiano d’informazione “Domani” è stato a grandi linee illustrato il nuovo modello architettonico di Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), in capo al Ministero della Difesa. Il Governo intenderebbe realizzare con quell’unico modello, almeno una per regione, ulteriori strutture per la detenzione amministrativa dei migranti ai fini dell’espulsione. Ciascuna struttura verrebbe posizionata all’interno di siti demaniali dismessi, come ad esempio le caserme, il più possibile lontano dai centri abitati, in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili per evitare le fughe.
L’impianto planimetrico del nuovo modello è presentato in forma d’ideogramma che esplicita la volontà di risolvere l’edificazione dei futuri CPR esclusivamente in funzione della sicurezza e della funzionalità operativa e gestionale.
La parte riservata all’alloggiamento dei migranti detenuti è composta da prefabbricati rinforzati con blindature, così da renderli più resistenti ad eventuali rivolte e tentativi di vandalizzarli. Non si fa cenno all’arredamento né si hanno informazioni circa ulteriori dotazioni spaziali per una permanenza attiva e socializzante, che non appartiene peraltro ai centri in funzione. Sono invece indicati ulteriori prefabbricati per contenere i locali per la polizia di stato, per il corpo di guardia, per i vigili del fuoco e per il personale dell’azienda (privata) che otterrà la gestione del centro.
L’impianto planimetrico del CPR è a raggera ed evoca la tipologia del penitenziario cellulare ottocentesco. Le sole aree esterne presenti, prive di elementi vegetali, sembrerebbero essere quelle per la viabilità interna e per i cortili recintati in uso ai reclusi.
Accoglienza insensibile, un ossimoro
Quell’ideogramma è la rappresentazione dell’insipienza generalizzata che caratterizza il fare architettonico nazionale in tema di carceri. Esso ignora i criteri dell’architettura e, nello specifico, le tendenze evolutive dell’architettura penitenziaria nel mondo, che negli ultimi decenni si è arricchita dei contributi scientifici della psicologia ambientale con il supporto delle neuroscienze applicate allo spazio.
Nei venticinque anni di vita del sistema della detenzione amministrativa, si è continuato a costruire per questo tipo di detenzione senza un modello tipologico preciso di riferimento. Di volta in volta sono state adattate strutture dismesse quali caserme, piccole carceri ed edifici non meglio definibili, localizzati in aree più o meno periferiche. Prevalgono complessi il cui impianto evoca le strutture concentrazionarie o addirittura quelle per animali in cattività.
Completamente estranei al contesto d’insediamento, sono luoghi insensibili per accogliere uomini e donne, mentre sembrerebbero destinati a cose inanimate. Si passa da situazioni claustrofobiche in alcuni casi, all’indeterminatezza di ambienti che non hanno pareti. Per tutti lo spazio prossemico si caratterizza per la debole prossimità che esiste tra reclusi e personale.
È ormai ampiamente acclarato che la privazione della libertà delle persone migranti nei CPR rimane un nodo problematico, che interpella diversi livelli ed eterogenee responsabilità: carenze legislative, vuoti di regolazione, criticità strutturali, opacità sistemiche e inadeguatezze gestionali, come ancora ultimamente hanno denunciato il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e l’Associazione Antigone insieme alla Coalizione Italiana per la Libertà e i Diritti civili (CILD).
La dimensione architettonica delle strutture sinora realizzate e utilizzate non si concilia con il rispetto della dignità e i diritti inalienabili della persona. In tal senso si è più volte espresso il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti.
Non è da meno il nuovo modello che palesa una completa assenza di volontà o capacità di progettare secondo i crismi dell’architettura, ignorando totalmente i principi costituzionali di umanità che dovrebbero considerarsi inderogabili.
CPR vs Maggie’s Centres: l’architettura può essere salvifica
Nell’accingermi a scrivere queste osservazioni critiche, sollecitato in particolare da quell’ideogramma, il caso ha voluto che mi capitasse tra le mani la pregevole guida ai Maggie’s Centres, a cura di Caterina Frisone (Forma Edizioni, 2022). I Maggie’s Centres sono piccole dimore progettate da celebri architetti che offrono sostegno psicologico e pratico alle persone malate di cancro, alle loro famiglie e ai loro amici. In essi sono considerati i numerosi fattori ambientali attraverso i quali un individuo può “sentirsi a proprio agio” in uno spazio: lo scenario che lo avvolge, le dimensioni armoniche, i materiali, i colori, la natura, le luci e gli oggetti. I loro ambienti “emotivamente sani”, che tendono al benessere materiale e psicologico di chi li utilizza, sono concepiti avvalendosi del ruolo salvifico dell’architettura, capace di fornire, in questo caso, preziose esperienze sensoriali a persone che vivono una condizione esistenziale di estrema e drammatica criticità.
La lezione che apprendiamo dai Maggie’s è che l’edificio deve avere il potere di comunicare e parlarci di sensazioni, oltre che di funzioni. L’accostare i Maggie’s ai CPR significa poter prospettare un modus operandi del progettista, il cui obbligo morale è pensare l’architettura imprescindibilmente ancorata ai suoi utenti, per la progettazione dei luoghi privativi della libertà personale.
Aboliamo il nuovo modello di CPR
Per questo, sarebbe opportuno che il nuovo modello di CPR fosse abolito, anche per salvaguardare la dignità della pubblica amministrazione che lo ha concepito. Pur con la consapevolezza dei limiti in campo, l’auspicio è quello di realizzare soluzioni progettuali in grado di configurare luoghi che diventino comunque sostegno per donne e uomini per lo più esistenzialmente devastati e dal futuro drammaticamente incerto.
In questo dovrebbe risiedere il valore di un edificio, nonché la civiltà di una nazione. E, per chi lo vuole, anche la carità cristiana.
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accoglienza , emergenza carceri , migranti , prefabbricazione
Last modified: 6 Novembre 2023