Ecco i “Leoni” assegnati dal nostro Giornale: un criticabilissimo borsino semiserio
VENEZIA. Eleganti e cacofonici. Delicati e allusivi. Rumorosi e incomprensibili. Un festival d’idee (tante) e architettura (un po’ meno) le partecipazioni nazionali alla 18. Biennale. Tanto ampio il tema di fondo (il fantomatico Laboratorio del futuro), tanto diversificata la risposta dei paesi. Siamo andati alla scoperta dei padiglioni – in tutto 63 tra Arsenale, Giardini e sedi esterne – per dare i “nostri” Leoni, il criticabilissimo borsino semiserio dei top e dei flop.
Top, i 6 padiglioni da non perdere assolutamente
Argentina: El futuro del agua
Una sequenza di tavoli luminosi (21), a realizzare una geografia complessa costruendo un’identità spaziale grazie al contrasto tra muri in mattoni e pavimento blu. Restituiscono piccole architetture e infrastrutture che regolano il rapporto tra uomo, edificio, città e acqua. Misurato, didascalico ma non noioso, ispiratore.
Foto: Fabio Oggero
Cile: Moving Ecologies
Sono 250 le leggere ed eteree sfere di vetro, montate su sottili e fragili steli in ferro, che accolgono altrettanti germogli da una “banca dei semi” cilena. Il futuro è (anche) nella raccolta delle diverse forme di natura, vegetale e animale. Unisce ricerca scientifica ed estetica. Affascinanti ecologie di speranza.
Foto e immagine di copertina: Cristobal Palma (Courtesy La Biennale di Venezia)
Grecia: Bodies of water
Dimentichiamoci un paese di isole e di mare. La Grecia presenta un suo lato meno noto, collegato all’acqua sì, ma dolce. Un catalogo ragionato di dighe, riserve e laghi artificiali. Tra storia e attualità, è un percorso rilassante e capace di comunicare – con eleganza e misura – il senso dell’architettura pubblica.
Foto: Matteo de Mayda (Courtesy La Biennale di Venezia)
Lettonia: T/C LATVIJA (TCL)
Un piccolo supermarket con i diversi padiglioni nazionali esposti come prodotti: 506, nelle ultime 10 edizioni della Biennale. Comprando e giocando (un’esperienza divertente e coinvolgente) si riflette anche sul senso di scegliere un’idea, quella che si ritiene migliore. Provocatorio, colorato, spiazzante.
Foto: Andrea Avezzù (Courtesy La Biennale di Venezia)
Paesi Bassi: Plumbing the System
Tanto tecnico e pragmatico quanto metaforico ed evocativo. Il tubo diventa emblema delle connessioni sistemiche con l’acqua come elemento metaforico per eccellenza. Un padiglione composto: un po’ magazzino edile, un po’ atmosfere piranesiane (bellissimi i grandi disegni), un po’ (ardite) sovrapposizioni disciplinari. Tutto scorre.
Foto: Matteo de Mayda (Courtesy La Biennale di Venezia)
Uzbekistan: Unbuild Together: Archaism vs Modernity
La tradizione, il mattone, la luce, gli inserti di ceramica colorata. Un misterioso percorso labirintico racconta (mitizzandone le origini) l’architettura uzbeka. Ha la dimensione e l’ambizione di un’operazione culturale che – in un ambiente scuro e introverso – affascina e stimola. Possente e delicato. Peccato che al centro ci sia l’immancabile video…
Foto: Fabio Oggero
Flop, i 6 padiglioni che non ricorderemo
Australia: unsettling Queenstown
La finestra (chiusa) verso il Rio dei Giardini è l’emblema di uno spazio grande, ma sfilacciato e poco intenso. L’esposizione è complessa e stratificata. Troppo, così risulta difficilmente comprensibile, nelle relazioni e nelle allusioni con il passato coloniale che vorrebbe discutere. Oscuro.
Foto: Fabio Oggero
Francia: Ball Theater
Un grande teatro tondo, ricostruito nel padiglione storico. Evocativo, coinvolgente, a tratti divertente (con i suoi spettacoli, con tanto di drag queen). C’è anche la ricostruzione del dietro le quinte. Se questo è il Laboratorio del futuro, non serve venire a Venezia. Parigi va più che bene.
Foto: Schnepp Renou (Padiglione Francia)
Messico: Infraestructura utópica: la cancha de básquetbol campesina
Caotica ricostruzione di un playground di pallacanestro. Volutamente disordinato. Rumoroso, ma non solo per colpa dei palloni che rimbalzano sul pavimento e sul canestro. Palestra all’Arsenale, ha un valore di testimonianza in termini di coesione sociale per le comunità indigene. Ma offre pochi motivi per essere ricordato.
Foto: Marco Zorzanello (Courtesy La Biennale di Venezia)
Paesi Nordici: Joar Nango – Girjegumpi: The Sámi Architecture Library
Nessun dubbio sul valore etico e documentario di un percorso di ricerca e catalogazione di una cultura indigena straordinaria. Ma ospitare un “gran bazar” (ricco, colorato, rumoroso) nel tempio dell’eleganza e del rigore nordico disegnato da Sverre Fehn provoca spaesamento. Ibrido e complesso fa rima con cacofonico.
Foto: Fabio Oggero
Santa Sede: Social Friendship: Meeting in the Garden
Il risultato stride con l’ambizione e con il luogo, isolato e speciale, in cui si trova, l’Isola di San Giorgio. Un “giardinetto” arrangiato velocemente che fatica a dimostrare efficacemente quel “cambio di paradigma” suggerito delle Encicliche alle quali s’ispira. A San Giorgio le cose da visitare sono altre.
Foto: Alessandro Colombo
Stati Uniti: Everlasting Plastics
La piazzola ecologica statunitense è un inno alla raccolta differenziata. Il rifiuto al centro. Due anni fa era il legno che costruiva, oggi la plastica (in tutte le fogge) che inquina. Segno di tempi strani? L’intenso odore di plastica che accompagna il visitatore stimola la riflessione. Multisensoriale, almeno questo.
Foto: Fabio Oggero
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Biennale Venezia 2023 , premi
Last modified: 23 Maggio 2023