Diario veneziano / giorno 1
VENEZIA. Scarpe sporche di fango e tanta politica negli occhi. Una politica che parla di futuro, di partecipazione, di parità e di coesione. Ma poco (o perlomeno non molto) di architettura.
Eccola la prima giornata della 18^ edizione della Biennale di Lesley Lokko.
Si intitola il Laboratorio del Futuro e ovviamente guarda lontano.
Poco (lontano) c’è il Mose che ha dovuto alzare proprio in queste ore le sue paratoie per contenere una sorprendente alta marea. In città c’è acqua ovunque, tra Arsenale e Giardini i percorsi in terra battuta sono diventati la patria del fango. Un padiglione diffuso. Pavimenti e superfici perfette, al momento dell’apertura, questa mattina, si sono sporcate in un amen. Meglio così, c’è più vita e più anima.
Poco più lontana è invece la Romagna devastata dalle piogge di questi giorni. Un dramma che rende ancora e sempre più attuali tante delle riflessioni che questa Biennale non può non porre, anche se non sempre in maniera chiara.
Il Laboratorio del Futuro dovrà produrre, urgentemente, soluzioni per l’emergenza climatica e per l’adattamento di città e territori. Non è più il tempo delle riflessioni teoriche e forse nemmeno delle posizioni ideologiche.
Ma delle risposte pragmatiche. Per trovarle, suggerisce Lokko, bisogna guardare all’Africa. Lo dice parlando con un linguaggio, appunto, politico. Spiega la sua visione del mondo e annuncia – nella conferenza stampa di domani mattina – non tanto una presentazione della Biennale quanto un vero Manifesto del futuro.
Tra video e materiali tradizionali, Arsenale e Giardini sono, fango a parte, un colorato e dinamico collage di tante cose diverse. L’Africa esprime tutta la sua complessità. Compresi i tantissimi paradossi e le facili retoriche.
Ma forse è anche una dimensione metaforica. L’Africa dell’architettura è una nuova generazione di practicioners (come li chiama la Lokko, e qualcuno potrebbe tradurre con praticoni). La Biennale23 è in questo senso un vero inno alla rottamazione. Altro che politica. Tutti i grandi nomi dell’architettura sono fuori. Eravamo abituati ad un quadro radicalmente diverso: cambiavano i curatori, cambiavano i temi ma – in fondo in fondo – trovavi sempre gli stessi autori e gli stessi progetti. Il who’s who biennalesco è sempre stato un gattopardesco “tutto cambia perché nulla cambi”.
Quest’anno no. Tranne qualche eccezione (Kéré e Adjaye su tutti) ci sono prevalentemente nomi poco (o per nulla) conosciuti. Giovani e giovanissimi. Architetti, certo, ma non solo. Anzi, prevalgono le figure ibride e le esperienze trasversali. Sono anche bravi? Per ora non importa.
È comunque la Biennale, bellezza.
Immagine di copertina: Padiglione Turchia (foto Arianna Panarella)
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Biennale Venezia 2023
Last modified: 17 Maggio 2023