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Giulia Annalinda NegliaWritten by: Patrimonio

Passaggio in Siria e Turchia, due mesi dopo il terremoto

Passaggio in Siria e Turchia, due mesi dopo il terremoto

Danni ingenti ma ancora difficili da quantificare, soprattutto in Siria, dove la condizione dei siti storici è avvolta da un silenzio assordante

 

A due mesi dal terremoto di magnitudo 7.8 che ha causato una nuova grave crisi umanitaria al confine tra Siria e Turchia, provocando più di 50.000 vittime accertate in Turchia e 7.000 in Siria, oltre a un elevato numero di dispersi e feriti, le dimensioni dell’emergenza non sono ancora del tutto chiare, specie in relazione ai rilevanti danni al patrimonio culturale nelle aree di difficile accesso, come nel nord della Siria.

 

La situazione in Turchia

Il sisma ha gravemente danneggiato alcune delle testimonianze più antiche della storia urbana della regione. Tra di esse la cittadella di Gaziantep, fortezza di origine ittita svettante sull’altopiano che domina la città dell’Anatolia sud-orientale, dove sono crollati parte delle mura e alcuni bastioni, oltre all’adiacente moschea Sirvani. Ad Antiochia sono stati riportati danni a numerosi edifici storici, tra i quali la moschea ottomana di Habib-i Neccar, la sinagoga, la chiesa greco-ortodossa e il museo archeologico. A Iskenderun il sisma ha danneggiato la chiesa dell’Annunciazione, mentre a Diyarbakır ha provocato il crollo delle mura basaltiche della cittadella fondata sulla riva occidentale del Tigri e di quelle della chiesa di San Giorgio.

 

Il silenzio assordante dalla Siria

Un silenzio assordante avvolge le condizioni di dozzine di siti in una regione di antichissima storia urbana, numerosi dei quali censiti come Patrimonio dell’umanità e dal 2013 inseriti nella lista dei beni in pericolo. Qui l’entità dei danni alle strutture storiche non è stata ancora definita, anche se la valutazione complessiva appare particolarmente preoccupante in quanto il sisma è stato registrato anche a sud, fino ad Hama sull’Oronte e alla fortezza di Saladino nella provincia di Latakia.

La situazione è resa ancora più drammatica dalle condizioni di degrado e abbandono in cui si trova, a dodici anni dall’inizio della devastante guerra civile, il patrimonio architettonico, urbano e archeologico siriano. Il conflitto, ormai lungamente protratto, ha distrutto o reso inagibili edifici, siti e interi insediamenti che testimoniano la storia millenaria che è insieme del paese, del Mediterraneo e del Medioriente. In una nazione ormai allo stremo e ancora senza una prospettiva reale di recupero e in cui sono state distrutte le infrastrutture fisiche e culturali di uno dei paesi più ricchi di storia urbana e architettonica di tutto il Mediterraneo, la prospettiva di ricostruzione appare ancora lontana. Forse, potrebbe essere ora il rombo sismico, il cupo e inquietante rumore prodotto dall’energia trasformata in onda acustica, a far risuonare il grido dell’emergenza prima di tutto umanitaria. Ma non solo.

 

Gli ingenti danni nelle province del nord

In seguito al sisma, il Directorate-General of Antiquities and Musems (DGAM) ha segnalato ingenti danni nelle province del nord: dalla grande moschea di Ma’arrat al-Nu’man nella zona di Idlib, a Qala’a al-Markab, al castello nei pressi di Baniyas, alla basilica di Qalb Loze nella regione delle “città morte” nel Massiccio calcareo. Non ultimo, il crollo parziale degli archi della chiesa di San Simeone lo stilita (Qal’at Sim’an), un martyrium bizantino composto da una camera centrale ottagonale con quattro bracci basilicale a tre navate, costruito attorno ai resti della colonna su cui si narra che sedette per quarant’anni San Simeone, non lontano da una strada romana che correva da Cyrrhus verso sud, e nei pressi dell’antica città di Telanissos (Deir Sim’an), che crebbe con l’afflusso di pellegrini nel V e VI secolo. Si tratta di un’area, quella tra Aleppo e Idlib, caratterizzata dalla presenza diffusa di resti di oltre 700 siti archeologici romano-bizantini legati alla produzione del vino e dell’olio, tra cui Deir Sim’an, che in questi dodici anni erano già stati reinsediati informalmente da parte di rifugiati interni spostatisi nel nord-ovest rispetto agli epicentri della guerra.

 

La rovina di Aleppo

Anche dalla città antica di Aleppo arrivano immagini di un paesaggio urbano in rovina. La città non è nuova a questo tipo di eventi: gli storici riportano notizie di terremoti devastanti risalenti al II secolo d.C., al 634, 951, 1139, 1159, 1170, 1343, 1404, 1408, 1822 e al 1844, e la città era in attesa da tempo di un terremoto della stessa entità di quello del 1822. Oggi il sisma è intervenuto però su di un tessuto urbano, benché di pietra, reso estremamente fragile da più di un decennio di abbandono causato dall’embargo e dall’impossibilità di avviare la ricostruzione post bellica.

Qui, oltre al crollo delle mura difensive e dei bastioni della Cittadella, sono state gravemente danneggiate le strutture del suo ingresso monumentale, del mulino ottomano e della Jami al Kabir al suo interno. Molti edifici del suq che erano stati risparmiati dal conflitto sono stati ora danneggiati, tra cui il Khan al Wazir e il Khan al Sabun, o l’hammam Yalbugha al Nasiri che era miracolosamente sopravvissuto alla distruzione delle aree a sud della Cittadella. Sono crollate anche sezioni delle mura occidentali a nord di Bab Antakia, su cui si “poggia” il Tell el-Akabe (il primo insediamento risalente a 5000 anni fa), nei pressi della Moschea al-Qiqan, e l’intera area è a rischio crollo. Non da ultimo, sono stati riportati danni al Museo nazionale e alle strutture di molti edifici residenziali e palazzi del quartiere cristiano di Al-Jdeideh, tra cui Beit Gazaleh e Beit Wakil, e a edifici commerciali e religiosi nell’area di Bab Quinnesrin.

A due mesi dal sisma e a dodici anni dall’inizio della guerra civile, ad Aleppo, e in Siria in generale, la situazione umanitaria e le condizioni del patrimonio sono particolarmente drammatiche, ma sembra che ora possa esserci qualche ripresa proprio in seguito al terremoto. A sette anni dalla fine della “battaglia di Aleppo”, finalmente l’Unesco ha inviato alcuni esperti dell’Icomos a eseguire una prima valutazione dei danni post-sisma. Speriamo sia l’inizio di qualche operazione di recupero.

Immagine di copertina: tende dei rifugiati tra i vecchi edifici del sito di Serjilla nella regione di Idlib, nel nord della Siria (© tünews INTERNATIONAL/Abdul Hai Muhammed)

 

Autore

  • Giulia Annalinda Neglia

    Laureata in Architettura nel 1999, è professoressa associata di Architettura del paesaggio presso il Politecnico di Bari, dove ha coordinato numerosi gruppi di ricerca in lavori sul campo e studi in Medioriente e Nord Africa. Autrice di oltre 150 pubblicazioni, tra cui 6 monografie e 3 curatele, ha ricevuto borse di studio da enti di ricerca internazionali (tra cui DAAD e Fondazione Max van Berchem) ed è stata borsista di post-dottorato presso l’Aga Khan Program for Islamic Architecture del Massachusetts Institute of Technology. Socia ICOMOS e AIAPP, svolge attività di consulenza scientifica per società ed enti internazionali tra cui UNESCO, UN-Habitat e ICOMOS

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Last modified: 5 Aprile 2023