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Subhash MukerjeeWritten by: Progetti

MAP di Bangalore: contraddizioni e ambiguità dell’India

MAP di Bangalore: contraddizioni e ambiguità dell’India

Su progetto dello studio Mathew & Ghosh e supervisione da Rahul Mehrotra, quello di Arte e Fotografia è uno dei rari nuovi musei indiani

 

BENGALURU (INDIA). Il 18 febbraio ha aperto al pubblico uno dei rari nuovi musei indiani degli ultimi anni: il Museum for Art and Photography (MAP) di Bengaluru, la capitale dello stato meridionale del Karnataka più nota all’estero come Bangalore, la città del software. A partire dagli anni novanta, parallelamente alla crescita del settore tecnologico, la scena artistica locale ha avuto un grande impulso, con l’apertura di atelier e gallerie e, nel 2009, della Galleria nazionale d’arte moderna.

 

Un museo privato

A differenza di questa, il MAP è un museo privato, come ormai frequente per molte importanti istituzioni artistiche e culturali, promosse e finanziate da fondazioni, quando non direttamente da aziende o filantropi. Quest’ultimo è il caso del MAP, che infatti è quasi interamente occupato dalla collezione personale di Abhishek Poddar, uno dei principali collezionisti del subcontinente e discendente di una nota famiglia d’imprenditori con interessi nel campo degli esplosivi.

L’eclettica collezione ospitata all’interno, che va dall’arte contemporanea all’artigianato tradizionale, è divisa in sei sezioni: fotografia, pittura, arte moderna e contemporanea, arte popolare, scultura e oggetti, tessuti. In realtà, le opere erano già visibili online dal 2016, infatti il MAP è nato come piattaforma digitale e solo ora, dopo ritardi dovuti anche alla pandemia, si è concretizzata l’intenzione del suo finanziatore di portare la propria collezione in città, “nel cuore della comunità” secondo le parole della curatrice Kamini Sawhney: la quale, però, in un contesto sociale complesso come quello della città indiana, non specifica a quale comunità faccia riferimento.

Disegnato dallo studio locale Mathew & Ghosh sotto la supervisione di un “comitato architettonico” guidato dal quasi onnipresente Rahul Mehrotra, l’edificio, nei suoi 4.000 mq ospita molte funzioni ormai abituali nei musei: cinque gallerie di cui una dedicata all’arte multimediale, una biblioteca, un auditorium, un technology centre, un learning centre, un laboratorio di restauro, oltre a un gift shop, una caffetteria e un ristorante sul tetto.

 

Un’architettura distaccata e chiusa

Dall’esterno il MAP si presenta come un parallelepipedo sospeso, in posizione leggermente arretrata rispetto alla strada. Se è vero che esporre una collezione in un museo piuttosto che custodirla in una casa privata ne moltiplica le possibilità di visita, l’immagine architettonica dell’edificio appare un po’ distaccata, contraddicendo a un primo sguardo la retorica dei curatori e dei progettisti sulla democratizzazione dell’arte e il suo avvicinamento al pubblico. Le condizioni ambientali e sociali della città rappresentano forse una sfida insormontabile: per ragioni di climatizzazione e di sicurezza, il volume principale dell’edificio è quasi interamente cieco.

L’ispirazione dichiarata, proveniente dalle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana frequenti nel paesaggio locale, non sembra sufficiente a spiegare un’architettura così chiusa, per di più rivestita di freddi pannelli in acciaio inox e protetta da un’alta recinzione. Ciò che più di tutto sembra porre il museo in relazione alla vita urbana è la presenza della caffetteria e del fine dining restaurant all’ultimo piano: risulta così piuttosto evidente quale sia l’idea di pubblico che s’intende avvicinare all’arte.

 

Interni spartani ma intimi

All’interno, gli ambienti espositivi sono piuttosto compatti e spartani: i soffitti molto bassi in lamiera grecata e con gli impianti a vista provocano un senso di disordine e di compressione degli spazi inusuale per un museo ma che, inaspettatamente, riesce a valorizzare le opere esposte, rendendone in un certo senso intima l’osservazione.

Oltre all’interesse per il fatto di essere la prima nuova costruzione museale in India dopo anni, con la sua forte ma distante presenza nel centro della città, il MAP è ancor più interessante come occasione per mettere in luce alcune delle contraddizioni e delle ambiguità dell’India recente: la filantropia che sfocia nell’autocelebrazione, l’apertura rigidamente controllata, l’inclusività limitata. Vicino, ma non troppo, alla città.

Immagine di copertina: © Iwan Baan

 

 

Autore

  • Subhash Mukerjee

    Architetto, nato in India nel 1974, ha aperto nel 2016 il suo studio a Torino, dopo essere stato cofondatore di Studio MARC, con il quale ha ottenuto riconoscimenti internazionali, e il cui lavoro è stato pubblicato su riviste come Abitare, Casabella, Domus, nonché esposto alla Biennale di Venezia (2004, 2010, 2012) e alla Royal Academy of Arts (Londra, 2011). Insegna progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino e Interior Design presso la NABA (Milano) e presso lo IAAD (Torino). Dal 2017 al 2019 è stato vicepresidente della Fondazione per l’Architettura di Torino.

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Last modified: 21 Febbraio 2023