Una mostra, un libro e un itinerario esplorano il tema della casa mediterranea nella declinazione delle isole Baleari
«L’impressione è abbagliante. Si vede l’azzurro, di un azzurro così intenso, che quasi somiglia a una maiolica: e all’improvviso, come se un raggio di luce ti fosse gettato negli occhi, una collina di case di un candore così limpido, che sembra che i tuoi occhi si aprano a un’armonia sconosciuta […] Dal bianco crema, al bianco agata; dal bianco gabbiano, al bianco neve; da quello del cigno, a quello del marmo; ogni casetta ha il suo bianco che le dà una propria fisionomia; e, visti nel loro insieme, a colpo d’occhio assomigliano a una tavola armonica accordata su un quarto di tono, che si potrebbe dire in chiave di sol». Il primo a scrivere di Ibiza come “isola bianca” è il pittore Santiago Rusiñol, autore di un particolare Glosari pubblicato nel settimanale satirico catalano “Esquella de la Torratxa”, nel 1913. È suo questo incisivo ritratto che contribuirà a fissarne il mito, un’immagine mentale destinata a ritornare più volte nel corso del Novecento in una moltitudine di testi teorici e reportage fotografici.
Sulla scia di “Imaginando la casa mediterránea. Italia y España en los años 50” (Fundación ICO, Madrid, 2019-20), di cui raccoglie e sviluppa alcuni esiti, “Habitar la ‘Isla blanca’” esplora il tema della casa mediterranea nella peculiare declinazione geografica e culturale dell’isola delle Baleari, destinazione di viaggio e ideale orizzonte esistenziale per più d’una generazione d’intellettuali europei.
L’esposizione, e il libro che l’accompagna, a cura di Antonio Pizza, dimostrano come molti dei segni di un’affinità elettiva tra modernità architettonica e Mediterraneo siano già tracciati almeno tre decenni prima di Architecture Without Architects. A Short Introduction to Non-Pedigreed Architecture, catalogo della mostra omonima curata nel 1964-65 da Bernard Rudofsky al MoMA di New York.
Ne sono interpreti un insieme di testi pubblicati tra Spagna e Italia a cavallo tra le due guerre. Ne citiamo alcuni: quello dell’architetto modernista Fernando García Mercadal, che nel 1930 dà alle stampe un volume sulla casa popolare spagnola in cui un intero capitolo è dedicato all’architettura del Mediterraneo; o gli articoli ospitati dalla rivista “AC. Documentos de Actividad Contemporánea”, organo del GATEPAC/GATCPAC. Dopo il numero 6, uscito nel 1932, in cui undici fotografie in bianco e nero ritraggono Ibiza come “la isla que no necesita renovación arquitectónica”, nel secondo semestre del 1935 esce un fascicolo interamente riservato alla costruzione popolare mediterranea: un’architettura, si scrive, “Senza stili, senza preoccupazioni decorative di scuola, praticata da gente che non ha avuto altra maestra che la tradizione ‘costruttiva’». Le casas de campo di Ibiza sono ancora oggetto del numero 21, stampato nei primi mesi del 1936, accanto agli studi fotografici e alle analisi etnografiche di Raoul Hausmann, esponente del movimento Dada stabilitosi qui tra il 1933 e il 1936, e alle testimonianze di Erwin Broner, architetto e pittore tedesco che a Ibiza ha trovato rifugio dalle persecuzioni antisemite del regime nazista.
Casa, modernità e Mediterraneo, gli episodi di una cronologia ideale
Ma un’ideale cronologia di quest’affascinante intreccio tra casa, modernità e bacino del Mediterraneo si completa d’altri imprescindibili episodi. S’inizia con la VI Triennale di Milano del 1936, in cui Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel concepiscono la mostra “Architettura rurale italiana”, mentre Figini e Pollini allestiscono un “Ambiente di soggiorno e terrazzo” arredato con mobili in paglia grezza, ceste, tinozze in terracotta e altri oggetti d’uso quotidiano, che può leggersi come un precoce tentativo di stemperare rigidità e astrattezza del modernismo più intransigente. Per giungere, nel novembre 1949, al breve editoriale di Gio Ponti sul numero 240 di “Domus”, Dalla Spagna, dove nelle costruzioni spontanee di Benicarlò e Ibiza si riconoscono suggestioni di autenticità e sorprendenti somiglianze con il gusto contemporaneo, tali da costituire un’esemplare lezione di aderenza alle necessità e di rinuncia al superfluo.
Per Luigi Figini, che aveva visitato l’isola delle Baleari nel settembre 1949, Ibiza è terra naturale della ”nuova architettura”. Nella cittadella ammurallada di Dalt Vila, nel barrio dei pescatori, nei pueblos di poche case bianche strette attorno a una chiesa, anch’essa bianca, l’architetto milanese scorgerà «Tutto un museo storico dell’architettura contemporanea concepita anti-lettera, all’infuori di ogni conoscenza, di ogni influsso e di ogni importazione».
A dar voce alle impressioni del Figini viaggiatore e fotografo saranno due scritti. Nel primo, Architettura naturale a Ibiza, uscito nel numero 8 (1950) dell’olivettiana “Comunità”, si esprime la profonda convinzione che l’architettura anonima e senza tempo fiorita nell’isola, esito di una logica connaturata ad un territorio che gode di uno speciale equilibrio ambientale, vada preservata da ogni ingerenza intellettualistica. Il suo Diario illustrato dell’Isla Blanca, pubblicato nel novembre 1951 su “Domus”, è un susseguirsi di scoperte e di emozioni: «Non è di Le Corbusier prima maniera quella lunga casa bassa ad un solo piano, dentro la città murata: volume elementare puro, copertura piana, sviluppo orizzontale. E neppure è dell’ultimo Breuer quell’altra piccola casa col tetto a falde ribassate contrariverse».
Quello stesso anno, nel numero 5 di “Spazio. Rassegna delle arti e dell’architettura”, Luigi Moretti firma otto pagine dal titolo Tradizione muraria a Ibiza. L’ispirazione proviene dalla sezione spagnola che Josep Antoni Coderch e Manuel Valls, con la collaborazione del critico d’arte Rafael Santos Torroella, hanno curato alla IX Triennale di Milano. Qui un assemblaggio eterogeneo di opere include lavori di artisti moderni (Jorge Oteiza, Angel Ferrant, Joan Miró) accanto a oggetti anonimi rappresentativi dell’artigianato spagnolo. Su di una struttura llambì, di persiane a stecche, sono montate trenta fotografie di Joaquim Gomis e Leopoldo Plasencia: i soggetti sono dettagli di opere di Gaudí e architetture contadine ibicenche.
La fuga dai regimi liberticidi, la ricerca di una dimensione esistenziale più autentica e in contatto con tradizioni incorrotte quale antidoto all’ideologia tecnicista e ai suoi effetti alienanti, è la cornice in cui si collocano, infine, le rispettive vicende di Erwin Bechtold (1925-2022) e Erwin Broner (1898-1971), approdati entrambi a Ibiza tra anni trenta e cinquanta.
“Habitar la ‘Isla Blanca’” ha introdotto le esperienze personali e artistiche di queste due figure lungo un itinerario di visite guidate alle rispettive case-studio e ad esempi di architettura tradizionale ibicenca nel territorio di San Llorenç de Balàfia: Can Cardona, una piccola casa di paese nei pressi di Santa Eulària des Riu, nel nord est dell’isola, acquistata nel 1959 parzialmente in rovina e successivamente ampliata in varie fasi; Casa Broner (1959-60) affacciata sulle scogliere di Sa Penya, nel nucleo storico di Ibiza, dichiarata nel 2001 bene d’interesse culturale con la categoria di monumento e parte del registro DOCOMOMO Ibérico.
Immagine di copertina: veduta di Casa Broner con Erwin e Gisela Broner e il bastione di Santa Lucia
“Habitar la ‘Isla Blanca’. Interpretaciones de la arquitectura ibicenca”
27 gennaio – 14 aprile 2023
Col·legi Oficial d’Arquitectes de les Illes Balears, Demarcació d’Eivissa i Formentera
A cura di: Antonio Pizza
Catalogo, bilingue spagnolo e inglese: Ediciones Asimétricas, Madrid, 2023
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architettura vernacolare , libri , mostre , movimento moderno , spagna
Last modified: 15 Febbraio 2023