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La Turchia e la diga di Ilisu: cercasi argine disperatamente

La Turchia e la diga di Ilisu: cercasi argine disperatamente

Bilancio di una grande opera sul fiume Tigri che ha compromesso gli equilibri ecologici, annientando il patrimonio di Hasankeyf e la sua comunità civile

 

HASANKEYF (TURCHIA). A inizio ottobre 2022, il governatore della Municipalità, con il favore delle autorità centrali turche, ha pronunciato il discorso inaugurale per la prima edizione del Festival del turismo e della canoa di Hasankeyf, riferendosi a quest’ultimo come parte di un programma strategico volto alla valorizzazione del ricchissimo patrimonio culturale del sito. Il discorso, retoricamente costruito per presentare la recente erezione di una diga nelle vicinanze dell’insediamento come una risorsa per il territorio, non cela comunque gli innumerevoli impatti del progetto sulla preservazione del patrimonio culturale ed ecologico del sito. Infatti, il fiume Tigri (sul quale si attesta anche la città di Hasankeyf), già ferocemente sfruttato come infrastruttura a servizio della produzione agricola e industriale con il progetto della diga, sembra ora destinato a diventare infrastruttura per un turismo internazionale, pertanto una risorsa sempre meno accessibile agli abitanti locali.

Risalente a circa 300.000 anni fa, la parete rocciosa di Hasankeyf conserva tracce della storia assira, cristiana, abasside-islamica e osmana: uno dei lasciti più preziosi in termini di conservazione del patrimonio culturale e umano e della biodiversità naturale. I più recenti interventi, finalizzati a massimizzare lo sfruttamento delle risorse locali, hanno trasformato il Tigri, infrastruttura naturale che nel tempo ha garantito la sopravvivenza di una moltitudine di specie diverse, in una condanna: modificata dalle logiche del profitto, la stessa infrastruttura fluviale è vettore d’impatti negativi gravissimi su un territorio molto esteso.

 

La diga che allaga: geopolitica e impatti

Se l’idea dello sbarramento di Ilisu risale agli anni cinquanta del secolo scorso, dopo un complesso iter durato quasi trent’anni, il cantiere è stato aperto dal governo turco solo nel 2008, nonostante le numerose proteste soprattutto a partire dagli anni duemila. Con l’inizio dei lavori, numerosi villaggi e piccole città lungo il fiume sono stati inondati, compromettendo la quotidianità di oltre 20.000 abitanti.
In tempi più recenti, a partire dalla chiusura del cantiere nel 2018 e, in particolare, dal riempimento finale della diga nell’estate 2019, il progetto ha causato stravolgimenti diretti per la comunità di Hasankeyf. Gli abitanti sono stati costretti a evacuare in villaggi costruiti ex novo, prima che l’antica città mesopotamica venisse completamente sommersa.

Prima del 2020 il sito di Hasankeyf è stato segnalato alla World Monument Watch e si è insistito per la sua candidatura nella lista del patrimonio mondiale Unesco. Inoltre, alcune organizzazioni internazionali come Europa Nostra, sono state coinvolte per una sensibilizzazione riguardo ai gravi rischi in termini di perdita di patrimonio culturale e ambientale. Il progetto della diga, tuttavia, non ha subito modifiche né arresti, e le autorità centrali hanno approfittato della mancanza di efficaci politiche di conservazione e delle opacità nel coordinare attori e politiche internazionali, nazionali e territoriali.

La storia di Hasankeyf, quale emblema delle politiche autoritarie del governo turco che, con vari progetti di grandi dighe, mette a repentaglio in primo luogo i diritti di chi abita i territori, non è un caso isolato. Altri siti di valore storico, ecologico e culturale, tra cui quelli di Zeugma, Halfeti e Eğil, costituiscono tristi precedenti. Inoltre, la diga di Ilisu minaccia la sopravvivenza del ricchissimo sistema ecologico del Parco nazionale della Valle del Botan e dei Giardini di Hevsel e, riducendo il flusso d’acqua fino al 10% per tutto il corso del Tigri, pone le basi per un conflitto idrico internazionale.

 

Miopia sovranista

Costruita nell’interesse esclusivo del governo turco

, infatti, la diga diventa strumento per rafforzarne il controllo sui territori limitrofi della Siria, dell’Iraq e delle aree curde, le cui popolazioni da sempre fanno affidamento sul fiume e sul suo sistema ecologico. Le conseguenze dal punto di vista dell’impatto ecologico riguardano anche il peggioramento della qualità dell’acqua in sé, poiché, in seguito alla realizzazione di un impianto di trattamento delle acque fluviali da parte del governo centrale, la responsabilità della gestione dello stesso è stata delegata alla Municipalità di Hasankeyf, che, in assenza di risorse economiche, non ha potuto occuparsene efficacemente. Allo stesso tempo, l’esistenza della diga, causando modificazioni repentine e innaturali del livello del Tigri, comporta oggi la morte di molte specie ittiche per mancanza improvvisa di acqua. Inoltre, la vegetazione distrutta per consentire la costruzione della diga viene spesso sostituita con piante non autoctone, non in grado di sopravvivere a lungo in zone non adatte e, quindi, ciclicamente sostituite.

Le lacune del sistema legale a livello nazionale e una gestione accentratrice e manipolatoria da parte del governo turco hanno reso possibile l’intervento. Non rispondendo il progetto agli standard imposti dalla Banca Mondiale, e in totale assenza di un’analisi preventiva degli impatti ambientali, gli investitori internazionali si sono ritirati, lasciando campo libero ai soli poteri locali. A oggi, la diga di Ilisu ha causato enormi perdite e ha interrotto complesse reti e dinamiche fra persone, luoghi, specie animali e vegetali diverse, che per secoli avevano costituito la vitale ricchezza del territorio.

 

Quali mitigazioni?

Per quanto riguarda in particolare il caso di Hasankeyf, le politiche di “mitigazione” attuate dal governo non sono mai state direttamente rivolte alla popolazione locale. Solo a un numero limitato di abitanti che avevano esercizi commerciali a Hasankeyf (selezionati in base a requisiti legislativi non chiari e comunque imposti dall’alto) sono stati garantiti nuovi spazi per ricominciare la propria attività nell’insediamento costruito ex novo, dove, in ogni caso, non si è provveduto a ricreare il tessuto dinamico di stradine commerciali preesistente.

Per quanto riguarda la valorizzazione del patrimonio culturale nelle poche aree non sommerse della città, il governo ha agito esclusivamente a favore del turismo (non locale), cercando di trasformare l’area in un “parco culturale e sportivo”. Piccole architetture isolate e parti dell’antico insediamento di Hasankeyf, come l’antica tomba di Zeynel Bey, hanno subito traslazioni presso i nuovi insediamenti, dove, private del loro contesto d’origine, sono state cristallizzate in beni di consumo al servizio dell’industria turistica. Le parti di Hasankeyf non trasferite, invece, sono oggi esclusivamente meta turistica di visite organizzate a bordo d’imbarcazioni spesso nemmeno più guidate da abitanti locali, che non si sono potuti permettere l’acquisto delle licenze di navigazione diventate improvvisamente necessarie.

Sebbene possa sembrare che la storia di Hasankeyf abbia raggiunto la sua irrimediabile e triste conclusione, la diga di Ilisu è ancora una minaccia per molti territori non solo limitrofi, palesando diseguaglianze nell’accesso alle risorse ecologiche dell’area, già compromesse da una crisi climatica i cui effetti drammatici colpiscono, con gradi di severità molto diversi, svariate comunità. La storia di Hasankeyf, inoltre, invita a una riflessione sul significato e sugli obiettivi delle politiche di conservazione, che mai dovrebbero sfociare in pratiche di mera musealizzazione, che sottraggono frammenti del patrimonio culturale alle ecologie complesse che, nel tempo, ne hanno garantito la sopravvivenza.

Immagine di copertina: La situazione recente a Hasankeyf (Fonte: https://www.uludagsozluk.com/r/hasankeyf-in-son-hali-2033406/)

 

 

Itinerari di lettura

P. Aykaç Leidholm e B. Kaya, Hasankeyf’te sona yaklaşırken: korumada insan odaklı yaklaşımlar ve insan hakkı olarak kültürel miras, in «Mimarlık», n. 411, 2020
D. Fincham, Justice and the cultural heritage movement: Using environmental justice to appraise art and antiquities disputes, in «Va. J. Soc. Pol’y & L.», n. 20, 2012
I. Hodder, Cultural heritage rights: From ownership and descent to justice and well-being, in «Anthropological Quarterly», n. 83, 2010
J. Warner, The struggle over Turkey’s Ilısu Dam: domestic and international security linkages, in «International Environmental Agreements: Politics, Law and Economics», n. 12, 2012

Autori

  • Elena Giaccone

    Elena Giaccone, architetta, ha studiato fra Milano, Torino, Parigi e Bruxelles. Dottoranda in Architettura storia progetto presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, indaga i processi di definizione, migrazione e comunicazione del progetto dello spazio pubblico, a partire dal secondo dopoguerra. É assistente alla didattica al Politecnico di Milano e Torino.

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  • Didem Turk

    Didem Turk, laureata in Disegno urbano presso la Middle East Technical University di Ankara, con una specializzazione in progettazione parametrica, è dottoranda presso il dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. Con la sua ricerca, in collaborazione con Future Urban Legacy Lab (FULL) e la Transitional Morphologies Research Unit, si occupa di morfologia urbana comparata.

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  • Berçem Kaya

    Laureata presso la Middle East Technical University in Disegno urbano. Attualmente è dottoranda presso la stessa istituzione con la borsa di studio YÖK Turkey. I suoi pricipali interessi di ricerca riguardano i siti della memoria, la memoria urbana e la museologia, in particolare, nel contesto dell'urbanizzazione postbellica

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Last modified: 12 Agosto 2024