Intervista al direttore Marco Ferrante per l’anniversario della rivista fondata da Leonardo Sinisgalli, che vide tra i collaboratori i giovani Paolo Portoghesi e Franco Purini
È appena uscita “Civiltà delle macchine” (n. 4/2022), che con il prossimo numero, di febbraio, compirà settant’anni di vita. Fu fondata infatti nel 1953 da Leonardo Sinisgalli con il supporto di Finmeccanica. Secondo Paolo Portoghesi, che vi collaborò giovanissimo, era “una rivista problematica… l’atmosfera che vi si respirava oscillava fra entusiasmo e dubbio”. In seguito è stata diretta da Francesco d’Arcais fino al 1979, quando interruppe le pubblicazioni per riprenderle sotto una nuova veste quarant’anni dopo (con Fondazione Leonardo come editore), diretta da Peppino Caldarola e, con la sua scomparsa, da Marco Ferrante (Martina Franca, 1964; nella foto in basso), giornalista e scrittore, dal giugno 2021.
“Civiltà delle macchine” è stata uno dei vari punti d’incontro tra cultura scientifica e umanistica incarnato dal suo primo direttore Sinisgalli, strana figura d’ingegnere e poeta lucano formatosi a Milano insieme ad artisti, grafici e architetti di prim’ordine come Edoardo Persico e poi trasferitosi a Roma nel dopoguerra. Dopo il 1968 le due culture si sono allontanate gradualmente, ma forse oggi c’è un’inversione di tendenza?
Credo che nessuna cultura europea sia così intrisa dal dialogo fra umanesimo e scienza come la cultura italiana; ne è intrisa direi da sempre. Il solo fatto che, in ogni ambito, siamo continuamente portati a incasellare le intelligenze fra tecnici e generalisti lo dimostra. Oggi questo dialogo è reso più attuale dalla relazione sempre più complessa che s’instaura fra l’uomo e la macchina.
In effetti si ha poca coscienza di quanto la produzione di macchine sia importante in Italia: macchine per produrre qualsiasi cosa, magari non high tech ma comunque esportate ovunque, sebbene nel dibattito politico prevalga l’idea di un paese votato al turismo e all’enogastronomia.
Certo. Insieme alla Germania, l’Italia è in prima fila nella meccanica di precisione, che è appunto quella che consente di produrre le macchine più versatili. Non è un patrimonio condiviso dalla cultura popolare, però gli operatori del settore ne sono ben consapevoli. Non si tratta di fare solo una riflessione identitaria, bensì di riconoscere un patrimonio per poterlo conservare e trasmettere. Una cosa che mi colpisce molto a riguardo, e che è una conseguenza di questa “incoscienza”, è che molte aziende produttrici nelle organizzazioni di categoria stanno dentro Confartigianato e non in Confindustria. Tutto ciò, a dimostrazione anche della diffusione sul territorio e della piccola scala che caratterizza il nostro tessuto produttivo e che viene da lontano.
Sulla prima “Civiltà delle macchine” debuttarono architetti importanti come Portoghesi, che dedicò il suo primo libro proprio a questo tema (Infanzia delle macchine. Introduzione alla tecnica curiosa, Edizioni dell’Elefante 1965) e Franco Purini. Anche oggi l’architettura trova spazio nella nuova edizione, dopotutto anche il De Architectura di Vitruvio pullula di macchine di ogni tipo…
Penso che tutto quello che appartiene al campo dell’architettura e dell’arte sia una specie di cerniera ulteriore tra umanesimo e scienza: grazie a un uso sapiente, l’arte contemporanea può essere assimilata anche solo attraverso le immagini stampate in un certo modo. Per questo credo che la dimensione fisica e cartacea della rivista – da sfogliare oltre che da leggere – sia molto importante, perciò è molto lavorata. In questo nuovo corso cerchiamo di tenere al centro i temi dell’umanesimo digitale e del rapporto uomo-macchina, dopodiché ogni numero ha un suo fuoco tematico; ad esempio, sulla fiducia o sull’energia, numeri che spero siano ricchi di spunti e suggestioni interdisciplinari. In questo la rivista è, essa stessa, una piccola macchina.
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Last modified: 7 Dicembre 2022