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Alessandro ColomboWritten by: Forum

L’albero di Natale come fenomenologia urbana

L’albero di Natale come fenomenologia urbana

Riflessioni su significati e significanti, usi e nuovi scopi di un simbolo antico nell’epoca di Instagram

 

Arrivando in un grande albergo di Shenzhen, un dicembre di qualche anno fa, fui accolto da un automa vestito da Babbo Natale che vogava su una gondola veneziana mentre un bell’albero di Natale vegliava sullo sfondo. La crasi fra simboli, lo scontro aperto fra significato e significante, irrimediabilmente confusi e perduti nel loro rapporto in terra d’oriente, mi lasciò contrariato, ma solo perché all’epoca non coglievo la superiorità del messaggio sul mezzo o, meglio, la completa libertà nell’uso del mezzo per diffondere il messaggio e raggiungere lo scopo.

Andiamo con ordine e ripartiamo dal simbolo per eccellenza delle festività natalizie, l’albero. Le origini si perdono nei secoli e quale che sia il punto di partenza d’oltralpe, i Paesi Baltici o la Svizzera, quale il periodo storico, il 1400 o prima, sicuramente il luogo di nascita è una piazza della vecchia Europa, cioè il punto di ritrovo nel quale si riconosce una comunità, urbanisticamente definito come un vuoto circoscritto dall’edificato, pronto per essere occupato da attività temporanee collettive quali il mercato, le fiere, i combattimenti, le celebrazioni.

Partendo forse dalla piazza centrale di Tallinn nel 1441, nel corso dei secoli l’abete nord europeo a Natale colonizza tutte le nazioni sbarcando anche oltre oceano dove, da un secolo, tutti i presidenti degli Stati Uniti d’America si misurano con la fatidica accensione delle sue luci. Nel Novecento la conifera diventa simbolo di riconoscenza e di pace: quello di Trafalgar Square a Londra a testimoniare la gratitudine dei norvegesi che lo donano ogni anno agli inglesi in memoria della seconda guerra mondiale; quello di piazza San Pietro in Vaticano, voluto a partire dal 1982 da Giovanni Paolo II che, fra l’altro, mette fine alla supposta contrapposizione fra albero e presepe in ambito cristiano.

Incurante del contesto architettonico, che si tratti del colonnato del Bernini o del Rockfeller Center di Manhattan, il simbolo natalizio sovraccarico di decorazioni sdogana il kitsch e unisce i popoli, comparendo addirittura nel 1997 sulla stazione orbitante russa MIR, tecnologica piazza nello spazio che parla di una pace universale, oggi miraggio lontano più dei vuoti siderali.

Milano non è da meno e sempre, in epoca moderna, fra il 6 e il 7 dicembre apre la stagione della Scala e accende le luci dell’abete nella troppo vasta piazza del Duomo, ormai tacitamente abituata a qualsivoglia installazione. Ma l’anno 2022 porta la novità dell’economia social in piazza, anzi sull’albero, e con le luci arrivano le polemiche. Così l’albero sta nei nostri spazi urbani a testimoniare un periodo dell’anno che va sotto il nome di un Natale sempre più celato sotto la molto confortante Holiday Season, ma ancor più a diventare veicolo di significati, messaggi, idee, ideologie, che intervengono ad occupare lo spazio della comunicazione e la forza dell’immagine.

Stabilito che il segno, non il simbolo, ha il suo numeroso seguito, a quello si punta e lo si veste dei significati più opportuni del momento. La città si attrezza per avere quest’anno tutte le giustificazioni del caso: l’energia utilizzata per illuminare verrà tradotta in charity e l’abete tagliato, si afferma, era, comunque, destinato ad essere abbattuto e, se anche dovrà prendere il color fucsia caro allo sponsor, beh, durante le feste non starà neanche male sul grigio milanese…

Meglio se così si dimentica anche la sua provenienza e il significato primigenio: i nuovi scopi ne giustificano gli usi e li nobilitano, qualora la matrice lasciasse qualche dubbio di condivisione. Risulta, quindi, probabilmente oziosa la polemica che è scoppiata sul suolo meneghino quando la realizzazione del famoso albero è stata assegnata a una influencer (l’estetista cinica), o, meglio alla sua azienda (Veralab). Anzi, in qualche modo, è giusto e inevitabile che sia una protagonista del magico mondo dei social, e non del magico Natale, a gestire l’evento. È giusto poiché, dal momento in cui il valore è dato dalla popolarità di un segno e dal conseguente numero spropositato di persone/contatti che lo ritrarranno nei loro post o nelle loro storie, lì, e proprio lì, deve stare chi è maestro nell’utilizzare quel grande numero per veicolare se stessa creando valore e business.

Poco importa che il messaggio sia commerciale, ideale o ideologico, una volta che è scomparso quello religioso e identitario di una comunità: tanto i piani si confondono allegramente nell’unico scopo di raggiungere un numero più alto possibile di followers. In questo modo il big data e il big money passano più che volentieri attraverso l’iconografia dell’albero del dimenticato Natale, albero che campeggia in una piazza del Duomo che, come molte altre piazze delle nostre città storiche, serve solo a garantire, in un grande rito social, delle semplici quanto efficaci scenografie urbane. Instagrammabili, of course.

 

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 29 Novembre 2022