In occasione della mostra allo store Giglio Bagnara di Genova, pubblichiamo un estratto della relazione presentata da Renzo Piano nel 1987
GENOVA. In occasione della mostra “1992 Piano per Genova”, a cura di Antonio Lavarello e Emanuele Piccardo, aperta nello spazio non convenzionale dello store Giglio Bagnara dal 5 novembre al 31 dicembre per celebrare i trent’anni dall’Expo “Cristoforo Colombo: la nave e il mare”, pubblichiamo un estratto dalla relazione tenuta da Renzo Piano al Consiglio comunale del 22 ottobre 1987, conservata nel Fondo Ente Colombo ‘92 all’Archivio storico del Comune di Genova. I curatori ringraziano l’Archivio storico e la Fondazione Renzo Piano.
Questo progetto rappresenta il prodotto dell’incarico che ci è stato dato alla fine del 1986. Devo rammentare che noi abbiamo avuto tre incarichi dal Comune di Genova. Il primo nel 1984, era un incarico ampiamente esplorativo. Si trattava di stabilire, nel caso in cui Genova si fosse – e per la verità si era – candidata a questa esposizione, a questa mostra specializzata e nel caso in cui tale mostra si fosse fatta era nostro compito stabilire dove sarebbe stato logico localizzarla. Allora avevamo immaginato due collocazioni possibili e simultanee: una che avevamo chiamato “il polo antico”, per l’appunto in corrispondenza del porto antico, e l’altro che avevamo chiamato “il polo moderno”, in corrispondenza di piazzale Kennedy e la Fiera del mare. In seguito ci eravamo concentrati, attraverso l’incarico che avevamo avuto nell’85 (un incarico di approfondimento successivo, che poi è stato l’incarico che ha portato alla formulazione della proposta “B” vera e propria), approfondendo l’ipotesi porto antico alla luce di una serie di constatazioni sull’equilibrio della città di Genova, sul fatto che comunque la città antica era vista in tutto il mondo come la vera attrattiva di Genova, il porto antico, la sua storia, il suo passato e anche sul fatto che nell’equilibrio della città era essenziale riportare delle attività verso il centro, verso il cuore della città, riequilibrare questa tendenza urbanistica che non appartiene solo a Genova ma, direi, a tutte le città d’Europa ad espandersi verso l’esterno e che invece corrisponde oggi – negli anni settanta era già cominciato ma adesso indubbiamente è molto più forte – a un fenomeno opposto, che è quello della riscoperta del centro, il recupero del centro della città.
Direi quasi che rispetto a un fenomeno esplosivo delle città verso l’esterno, che ha caratterizzato gli anni del dopoguerra fino agli anni sessanta e settanta compresi, oggi si assiste piuttosto ad un fenomeno d’implosione, cioè di recupero del cuore della città. Indubbiamente qui coincidevano due necessità: quella di trovare un’immagine forte della città per localizzare la mostra nei confronti del mondo, e quella di localizzarla in un posto dove le attrezzature, poi da recuperare, fossero utili alla città. Quindi il fine era quello di non fare diventare l’operazione effimera e inutile.
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Devo dire però che in tutto questo lavoro ciò che non è mai cambiato sono le premesse iniziali, e cioè che Genova è una città di mare che non vede mai il mare, che non ha mai visto il mare – sto parlando della Genova antica del centro storico – e, tutto sommato, a partire dal piano regolatore fino allo studio organico d’insieme, d’altronde, per il centro storico tutte le intenzioni sono sempre andate nella direzione di riguadagnare questo parco sul mare, questo spazio sul mare.
Quindi ci siamo mossi in quella direzione e in quella direzione abbiamo continuato a muoverci. Si tratta, in sostanza, di cogliere l’occasione di questo vuoto urbano rappresentato dal cambio di destinazione di questa zona portuale per dare alla città quel parco, non vegetale ma acquatico o marittimo, una zona pubblica usata dalla gente con una buona miscela di funzioni, per cui non diventi un luogo specializzato ma diventi un luogo dove si ritrovano tutte quelle funzioni che fanno normalmente di una città una città vivente; funzioni che poi sono attività di tipo commerciale mescolate ad attività artigianali, mescolate a quelle del terziario, della ricerca, della produzione, del ricreativo, del culturale, dei servizi. È proprio questa miscela che fa funzionare una città a tutte le ore del giorno e non la fa cadere nel dramma della specializzazione. Tutti hanno in mente cos’è la city di Londra o cosa sono stati questi fenomeni che la specializzazione ha portato.
Nel nostro progetto non c’è solo il rapporto con l’acqua, ma c’è anche il fatto che la città antica scavalca la barriera doganale e va dall’altra parte e se ne appropria. Quest’idea è stata salda fin dall’inizio del progetto, e ha continuato a fare la sua strada. […] Non nascondiamoci – è mia ferma opinione – che talvolta l’Expo è stata per la città un disastro, una calamità, una vera disgrazia; ci sono stati dei casi in cui invece di essere positivo, il fenomeno è stato negativo. Intanto perché le Expo spesso sono fiere di vanità – questa nostra, chiariamolo, per la verità non è un’Expo ma una manifestazione espositiva di grande importanza internazionale che quindi richiamerà molta gente; l’Expo è un modello di festa antico, dell’Ottocento, una specie di luogo di celebrazione del record, della retorica e quindi non dimentichiamo questo fatto e non dimentichiamo nemmeno il fatto (e questo lo dico per autocritica e per collocare il problema con esattezza) che spesso le Expo lasciano dei luoghi del tutto inutili e cioè luoghi in cui le attrezzature realizzate non sono riutilizzabili e quando, talvolta, sono utilizzabili sono però nel posto sbagliato della città, fuori, in zone dove nessuno si sarebbe mai sognato di realizzare delle attrezzature. Non vorrei che fossimo visti con eccessiva ingenuità: queste osservazioni erano chiare fin dall’inizio, tant’è vero che se avessimo proposto una “fiera delle vanità” non sarebbe neanche stata accordata alla città di Genova, poiché anche il Bureau International des Expositions, che è l’organismo internazionale che sovrintende a queste mostre, quando questa pratica è cominciata quattro anni fa aveva detto “c’è una sospensione di qualsiasi mostra perché negli ultimi anni abbiamo realizzato delle cose che sono state delle vere calamità, delle cose inutili, dannose e anche prive di senso“.
L’altro fatto importante è che il 90% circa, anzi un po’ di più, degli investimenti di cui parlerò fra poco sono di ritorno, cioè sono investimenti che tornano in attrezzature utili per la città e che vanno dalla viabilità ai parcheggi, agli spazi utilizzabili per una serie di attività: quindi non c’è spreco. Un’altra cosa importante, ancora più importante direi, è che queste attrezzature sono nel posto giusto della città perché mi sembra abbastanza chiaro che se non ci si decide a portare i comfort delle attività nel cuore della città o in margine al cuore della città (perché questa zona è in margine al cuore della città), il recupero della città antica è un sogno, una semplice parola, non ci si riuscirà mai. Quindi è chiaro che bisogna, in maniera congrua, ragionevole e possibile, riportare la vita verso il centro della città.
Immagine di copertina: Veduta di Expo 1992 (foto di Emanuele Piccardo)
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Last modified: 31 Ottobre 2022