I festeggiamenti dell’Expo 92 resero Genova un laboratorio di progettazione, con il porto antico fulcro del recupero del centro storico
GENOVA. Era il 15 maggio 1992 quando veniva inaugurata l’Esposizione internazionale “Cristoforo Colombo la nave e il mare” per celebrare il cinquecentenario della scoperta dell’America da parte del navigatore genovese. Una manifestazione che era stata autorizzata dal Bureaux International des Espositions dopo la prima assegnazione, avvenuta a Siviglia, proprio per celebrare l’impresa di Colombo. All’inizio degli anni ottanta il sindaco socialista Fulvio Cerofolini aveva compreso che la città doveva recuperare la sua parte antica, così aveva incaricato sei architetti in altrettante aree a redigere progetti di recupero: Giancarlo De Carlo nel quartiere Prè, Renzo Piano al Molo, Ignazio Gardella a Porta Soprana, Lodovico Belgiojoso nel quartiere del Carmine, Cesare Fera al Borgo Incrociati, Luciano Grossi Bianchi alla Maddalena. Era nata una nuova stagione, quella del recupero dei centri storici italiani, e Genova fu un laboratorio di progettazione.
Il recupero del porto antico, occasione di rinascita
La crisi del porto e le tensioni sociali con i lavoratori misero la politica di fronte a scelte radicali come il recupero delle aree portuali un tempo inaccessibili ai cittadini. Genova, città di mare senza poter vedere il mare, aveva l’occasione della rinascita con un grande progetto pubblico: il recupero del porto antico.
L’approvazione nel 1980 del Piano regolatore individua l’area del porto antico come spazio urbano sinergico al recupero del centro storico. Il 15 febbraio 1984 la giunta Cerofolini incarica Renzo Piano di predisporre un piano quadro in vista delle iniziative da predisporre per le celebrazioni colombiane. Ne scaturisce un progetto lungo, articolato e complesso. Innanzitutto, la premessa consiste nel definire l’obiettivo, come ricorda lo stesso Piano: “E’ mia ferma opinione che talvolta l’Expo è stata per la città un disastro, una calamità, una vera disgrazia; ci sono stati dei casi in cui invece di essere positivo, il fenomeno è stato negativo. Intanto perché le Expo spesso sono fiere di vanità. Questa nostra, chiariamolo, per la verità non è un’Expo ma una manifestazione espositiva di grande importanza internazionale”.
Infatti, l’Expo genovese fin dall’inizio ragiona sul tessuto urbano e sulla possibilità di agire recuperando gli edifici esistenti senza costruire nuovi padiglioni che poi alla fine della manifestazione vengono dismessi, cosa che accadrà, ad esempio, per Siviglia ma anche per la recente expo milanese.
L’avanguardia di Genova sta nell’accogliere la proposta rivoluzionaria di Piano e del suo staff, tra cui l’indimenticato geniale ingegnere di Ove Arup, Peter Rice (1935-92). Vi è dunque la necessità di pensare agli spazi per l’esposizione ma, soprattutto, definire l’orizzonte futuro. Così, se da un lato si recupera il Magazzino del cotone, al cui interno è previsto un centro congressi composto di due sale simmetriche che si possono aprire in un grande spazio, dall’altra si recupera la memoria del porto con il progetto del Bigo, omaggio alle gru presenti sulle navi per la movimentazione delle merci, con la nave del Padiglione Italia e l’Acquario, ancora una citazione dell’immaginario portuale.
Il Bigo è un albero in acciaio con i rami-puntoni che reggono la tensostruttura in teflon della piazza delle feste, il simbolo della rinascita del porto antico. La versione del progetto realizzata è diversa da quella originaria che prevedeva la “via del mare”: una promenade urbana che dalla via San Lorenzo raggiungeva la piazza delle feste per proseguire con una passerella sull’acqua fino al Magazzino del cotone. Ipotesi dimenticata e poco nota, riemersa durante la ricerca condotta insieme ad Antonio Lavarello, grazie al ritrovamento del dossier progettuale presentato al consiglio comunale del 1987 e conservato presso l’Archivio di Architettura della Scuola Politecnica genovese. Materiale che costituirà la base per una mostra sul progetto dell’Expo prevista in autunno. Nel lungo processo progettuale, l’iniziale idea della passerella non c’è più e il Bigo è stato collocato in una posizione asimmetrica rispetto alla piazza delle feste. Indubbiamente in termini urbani, la mancata continuità tra il flusso generato dal centro storico (la via San Lorenzo) verso il Magazzino del Cotone e quello interno all’area espositiva, poteva determinare una condizione spaziale interessante per il rapporto diretto con l’acqua.
Dall’Expo al Waterfront di Levante
Quello dell’Expo è l’ultimo progetto urbano infrastrutturale che ha recuperato una parte consistente di città, oggi fruita da genovesi e turisti costituendo un polo di attrazione. Tuttavia, nel recente progetto del Waterfront di Levante, naturale prosecuzione del recupero del porto antico, non si riscontra la stessa forza. Soprattutto perché la politica ha delegato completamente Piano, senza attuare il dibattito che si era manifestato durante il consiglio comunale del 22 ottobre 1987, quando l’architetto genovese presentò il suo progetto ed erano chiari i ruoli di committente e progettista.
A distanza di trent’anni, che cosa ha imparato Genova? Indubbiamente che il porto rimane centrale nella vita socio-economica della città, a patto che la classe dirigente (politica e imprenditoriale) abbia quello slancio verso il futuro che Piano e le giunte Cerofolini e Campart ebbero per restituire il mare ai genovesi. Lunga vita al porto antico.
Immagine di copertina: Renzo Piano Building Workshop, Planimetria generale del porto storico, 1987 (courtesy Archivio di Architettura, Biblioteca Politecnica, Università di Genova)
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anniversari , genova , rigenerazione urbana , waterfront
Last modified: 17 Maggio 2022