Da Trieste, alcune note a margine di un bonus facciate che ha trasformato le città, rendendole simili ai finti centri storici degli outlet
Quando, nel dicembre 2019, la legge 160/2019 venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nessuno avrebbe mai pensato che il cosiddetto “Bonus facciate” avrebbe messo in moto un meccanismo tanto virtuoso quanto infernale. Il provvedimento autorizzava il rifacimento dei prospetti visibili da strada degli edifici localizzati in zona A o B, con l’intento di restituire decoro alle parti “storiche” e pregiate delle città, spesso trascurate a causa di costi di manutenzione elevati e di lunghi procedimenti dovuti ai vincoli di tutela.
Partito in sordina – in quanto il meccanismo prevedeva che fosse il privato cittadino o il condominio a chiedere la detrazione in dieci anni del 90% delle spese sostenute, analogamente a quanto accadeva per gli altri bonus edilizi del 50 e 65% – ha avuto una brusca accelerata nel momento in cui l’Agenzia delle entrate ha autorizzato le imprese edili a praticare lo sconto in fattura. Nonché chiarito alcuni aspetti che, relativi alle lavorazioni oggetto di detrazione, avevano alimentato un dibattito a tratti spiazzante: cosa s’intende per balcone? Balaustre ammesse, ma pavimento no? Le lattonerie fanno parte della facciata? E i decori? E se un Comune non possiede le zone A o B?
Senza trascurare il fatto che alcuni strumenti di pianificazione vigenti non sempre sono risultati armonici (come è accaduto per il Piano Paesaggistico Regionale del Friuli Venezia Giulia e i Piani Regolatori Generali Comunali) costringendo gli assessorati competenti a pubblicare circolari interpretative che dipanassero ogni fraintendimento normativo. Tra fine 2020 e inizio 2021 gli edifici iniziano a essere rivestiti di ponteggi, i marciapiedi si trasformano in portici temporanei sotto cui passare a fatica, la crescente richiesta (soprattutto da parte dei condomini) di accedere al beneficio fiscale sotto forma di sconto in fattura innesca meccanismi speculativi inevitabili e situazioni inaspettate.
Trieste, un caso emblematico
Da questo punto di vista Trieste, la città in cui opero, è diventata un osservatorio privilegiato e un vero e proprio caso studio. Una grossa percentuale del patrimonio edilizio cittadino, infatti, è riconducibile alla fine dell’Ottocento, quando la città ebbe uno sviluppo demografico importante in quanto unico porto dell’Impero austroungarico e la popolazione raggiunse la quota attuale.
Buona parte degli edifici non è compresa all’interno della zona A ma costituisce un’amplissima zona B, dove non è necessario alcun atto autorizzativo propedeutico all’apertura dei cantieri relativi al Bonus Facciate. Questa condizione ha incentivato l’alto numero d’imprese edili disponibili (circa 150 per 200.000 abitanti) a offrire veloci preventivi “a corpo”, anche grazie all’inesistenza di un tetto alle detrazioni e di giustificativi di spesa: alla fine del primo semestre 2021, il prezzo a metro quadro per il rifacimento di una facciata raggiunge i 600 euro, sfiorando in alcuni casi anche gli 800.
Vista l’impossibilità di reperimento in loco, i ponteggi iniziano ad arrivare da Austria e Germania, mentre la manodopera dai Balcani e dal Nord Africa. Specularmente, alcuni studi professionali indirizzano il proprio interesse specifico sul settore aprendo veri e propri “dipartimenti” dedicati, mentre altri nascono grazie all’alta richiesta del mercato.
Questo Far West vede il proprio apice a settembre 2021, quando due gruppi di operai edili si rende protagonista di una sparatoria in pieno centro per cause legate all’aggiudicazione di lavori. Il DL “anti frodi” del novembre 2021 – che prevede l’asseverazione della congruità delle spese sostenute rispetto ai prezzari regionali – se da un lato mette in difficoltà i professionisti che devono certificare costi fuori controllo, dall’altro provoca un parossismo in cui i condomini versano di gran fretta la quota del 10% entro il 31 dicembre affinché i lavori possano usufruire del Bonus (che si ventila verrà ridotto, così come poi accadrà) e le ditte montano le impalcature per attestare l’inizio dei lavori. Si arriva a un punto in cui il Comune è costretto a emanare alcune circolari con cui limitare il numero di cantieri per strada o persino a chiedere la tutela della fauna che, a causa dei ponteggi, non riesce più a trovare spazi dove nidificare.
I palazzi rinnovati e lo zucchero
L’aspetto interessante dal punto di vista architettonico, però, è rappresentato dai risultati che questi due anni hanno prodotto. In un curioso rimando di significati, i palazzi rinnovati – coperti da sudari d’intonaco rasante e vernice silossanica – assomigliano ai loro cugini presenti nei finti centri storici degli outlet, pensati e realizzati proprio come borghi in cui il visitatore, sollevato dallo stress urbano, potesse sentirsi comunque un cittadino e non solo un cliente. La città riacquista, così, un colore più vero dell’originale, allineandosi all’immaginario collettivo di decoro finalizzato a ridurre qualunque imperfezione del tempo, pur d’incrementare il valore immobiliare del bene. E di aumentarne la fotogenicità.
Una città di zucchero colorato che, ci si augura, non si sciolga con le prime piogge.
Immagine di copertina: © Pierpaolo Saccari
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agevolazioni , restauro , trieste
Last modified: 20 Aprile 2022