Analizzare, conoscere e assegnare un profilo ad una commessa sulla base dell’approccio di comunicazione
Nel libro Thinking, Fast and Slow lo psicologo Daniel Kahneman identifica due sistemi di giudizio che operano nel nostro cervello: “Un sistema è più veloce, intuitivo ed emotivo; l’altro è più lento, deliberativo e logico”. Questa breve citazione suggerisce alcune necessarie riflessioni per introdurre uno dei processi che ho osservato con maggiore attenzione in anni di collaborazione o coordinamento di team di designer dedicati allo sviluppo di prodotti industriali. La professione del designer osservata sul campo nel suo momento cruciale: la presentazione di un progetto verso un cliente.
Partiamo da una constatazione, piuttosto ovvia ma comunque necessaria: i designer non sono tutti uguali, perché l’approccio al design è differente da persona a persona e perché ognuno comunica con gli strumenti narrativi, psicologici ed emotivi che appartengono alla sua personalità, alla sua educazione e al suo vissuto. Non tutti i designer amano presentare i loro progetti, ma esistono schiere di professionisti che non farebbero presentare il proprio progetto se non a se stessi. Prelevando dalla scienza etologica alcune rappresentazioni, abitudini e costumi animali, abbiamo provato a raccogliere una serie di elementi utili a classificare i designer in tre macro-gruppi sulla base dei loro metodi (la maggior parte appresi sul campo e mai frutto di percorsi formativi dedicati) e tecniche di comunicazione.
Il pavone
Amanti dell’effetto “super-wow”
, sono progettisti esplosivi, coccolano le loro idee e se ne innamorano ancor di più strada facendo. Partono in quarta, giocano la loro partita sull’effetto sorpresa, hanno un tono di voce deciso ed elevato, non accettano pause, trascorrono molto tempo ad argomentare i concetti ispiratori e la loro evoluzione. Sguazzano in mix di output grafici, tridimensionali ed animati (l’effetto ruota, del pavone appunto) utili a potenziare ulteriormente la forza del concept. Prestano attenzione perfino al colore del numero di pagina, curano la forma a livello maniacale e sono schiavi del loro perfezionismo. Difettano in evoluzione, ovvero la fattibilità tecnica di quanto mostrato è sempre rinviata alla prossima verifica. Obiettivo principale: portare dalla loro parte il cliente, coinvolgerlo emotivamente, iniettargli una dimensione sognatrice finora assolutamente ignorata per la sua impresa o per il prodotto/servizio.
Il camaleonte
Progettisti ibridi, a metà tra chi predilige l’approccio stilistico e chi difende quello ingegneristico. Sono camaleontici perché partono lentamente, conservando il meglio del loro lavoro alla fine della presentazione. È come se sondassero l’evolversi del gradimento per indirizzare in corsa cosa dire e come presentare. I camaleonti, se necessario, nascondono alcune slide, hanno un tono di voce che stecca nelle prime fasi della riunione ma che si consolida in sicurezza da metà percorso in poi. Sono aperti alle modifiche del progetto, lasciano parlare i clienti senza sovrapporsi, sono consapevoli che il progetto andrà avanti a lungo né premono affinché le consulenze possano risolversi in poche battute. Il camaleonte ama il mutare dell’atteggiamento del cliente all’interno di quell’humus prodromico di una progressiva transizione dal terreno della diffidenza allo spazio della fiducia.
La tartaruga
Ovvero, coloro che si corazzano perché sono convinti che ogni cliente sia portatore di rischi per la propria attività, reputazione, azienda. Hanno un approccio fortemente orientato alla fattibilità tecnica ed economica, non ammettono picchi emotivi nel loro percorso di presentazione, seguono meticolosamente testi e immagini che hanno posizionato con criterio nei loro supporti di comunicazione, sviluppano una strategia difensiva basata sulle rassicurazioni e meno sulle emozioni. Lasciano commenti e considerazioni alla fine, non amano le interruzioni e desiderano non perdere il filo degli elementi determinanti per ottenere il benestare a procedere. Prestano poca attenzione ai dettagli, ma svettano nelle repliche alle domande della controparte poiché non lasciano nulla al caso. Le tartarughe non costruiscono rapporti duraturi con i clienti, ma non lasciano strascichi negativi sulle commesse (re-loop, scadenze non rispettate, contestazioni formali e incassi mancati, solo per citarne alcuni).
Chi è il migliore?
Alla domanda “Quale profilo dei tre sceglieresti per la tua azienda?”, si potrebbe rispondere con estrema facilità: “un mix dei tre”. Mentiremmo per varie ragioni, ma soprattutto perché nessun progettista potrà mai nascere con attitudini modulabili o mixare i tre approcci a piacimento. La persona comanda sempre sul progettista, e ogni uomo sa quali sono gli strumenti a sua disposizione per uscire da uno stato di tensione o per ottenere il massimo profitto nel momento della verifica.
Le responsabilità, invece, dovrebbero ricadere sui loro superiori, sui project leader, su coloro che assegnano quella risorsa a un determinato progetto, avendo analizzato preventivamente settore, carattere, obiettivi e ambizioni del potenziale cliente. Bisogna preparare sempre il campo e trasferire al collaboratore quei dettagli chiave che saranno determinanti durante l’esposizione. Un criterio di selezione potrebbe essere legato all’assegnazione delle risorse sulla base dello stato di sviluppo del business. Se una società di design è ancora in una fase di startup e punta ad aumentare il numero dei clienti e la propria visibilità, sarebbe opportuno dispiegare più pavoni e meno tartarughe. Se invece reputazione e portafoglio clienti sono abbastanza consolidati, puntare su camaleonti e tartarughe aiuta a gestire in sicurezza e a stabilizzare il livello qualitativo raggiunto.
Immagine di copertina: il designer pavone ama dominare la scena e attirare l’attenzione sulle sue qualità creative, tecniche e comunicative (© Ubaldo Spina 2022)
About Author
Tag
libri , professione designer
Last modified: 18 Gennaio 2022