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Federica CiavattiniWritten by: Reviews

Il duca di Urbino, il Danteum del duce e la selva oscura degli architetti italiani oggi

Il duca di Urbino, il Danteum del duce e la selva oscura degli architetti italiani oggi

Una mostra al Palazzo Ducale di Urbino usa l’architettura come chiave interpretativa dell’opera di Dante, azzardando paralleli storici e perdendo un’occasione per tracciare uno stato dell’arte

 

URBINO. Fra le tante mostre dedicate al 7° centenario dantesco, “Città di Dio. Città degli uomini. Architetture dantesche e utopie urbane” usa l’architettura come chiave interpretativa. Curata a Palazzo Ducale da Luca Molinari e Luigi Gallo (direttore della Galleria nazionale delle Marche) è una mostra bipartita.

 

Un azzardato confronto con il fascismo

Al piano terra di Palazzo Ducale, in una prima grande sala dove fino a qualche mese fa era ospitata “Spiriti. Otto fotografi raccontano Giancarlo De Carlo” (a cura di Marco e Jonathan Pierini, catalogo Corraini), sono ospitate le tavole originali di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni del Danteum provenienti dalla mostra appena conclusasi alla Triennale di Milano, “Pietro Lingeri. Astrazione e costruzione”, a cura di Gabriele Neri (catalogo Electa). A Urbino sono esposte tutte le tavole; manca però il plastico, che per decenni è rimasto inaccessibile.

Al centro della prima sala, con le tavole dei due architetti comaschi, c’è quella della “Città ideale”, che normalmente si trova al piano di sopra, datata fra gli anni settanta e novanta del Quattrocento, attribuita nel corso degli ultimi due secoli a Luciano Laurana, Piero della Francesca, Bramante, Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo, Leon Battista Alberti, Melozzo da Forlì: vale a dire a quasi tutti gli artisti della corte di Federico da Montefeltro. Già il confronto tra quest’opera di valore assoluto e il progetto razionalista di Lingeri e Terragni del 1938 è problematico, perché azzarda implicitamente un confronto tra il duca Montefeltro e Benito Mussolini.

La “Città ideale” è “posta all’incrocio degli elementi intrinseci di un territorio, misura e costruita nel rapporto perfetto tra spazio, edifici materiali funzioni società e animata da una cultura unitaria, da tutti mossa e intesa” (Paolo Volponi), legata all’ambizione del duca di Urbino di fungere da ago della bilancia fra gli stati italiani ben prima di Lorenzo il Magnifico (che non a caso nel suo sepolcro nella cappella medicea ha scritto “duca di Urbino”) e per questo fu il committente del primo grande palazzo moderno, ma aveva poco a che fare con l’Alighieri.

Il duce, nato non lontano da Urbino, aveva imposto una celebrazione della Divina Commedia in chiave anticipatrice del fascismo già all’inizio del regime, e il Danteum era il coronamento di una lunga canonizzazione: il Veltro e altri oscuri passaggi del poema erano stati sufficienti per adottare il poeta fiorentino come profeta del fascismo, anche grazie all’opera della riforma Gentile.

Gallo e Molinari scrivono che “a Palazzo Ducale affiancheremo alle 22 tavole quella della «Città ideale», mettendo insieme antico e contemporaneo in maniera provocatoria”. Provocatorio non può che essere l’accostamento celebrativo di un progetto irrealizzato del fascismo a Roma elevato al livello del capolavoro di Urbino, di cui sfugge la correlazione. Comunque, un paragone impari.

 

Le 100 tavole di architetti italiani, un’occasione persa

Tuttavia, il vero problema si presenta nella seconda sala. Qui sono rappresentate cento tavole di architetti italiani viventi i quali, ognuno a suo modo, raffigurano Inferno, Purgatorio o Paradiso. L’effetto è discutibile perché dopo il Paradiso della “Città ideale” e il Purgatorio fascista, la discesa agli inferi del “contemporaneo” è inevitabile.

Inoltre, nessuna delle tavole ha un qualche riferimento con Urbino o il Montefeltro. La maggioranza assoluta presenta stucchevoli tavole in Photoshop, tutte datate misteriosamente 2016, che finiscono con il sovrapporsi in una cacofonia grafica che li fa confondere uno con l’altro, anche perché lo scimmiottamento dei fotomontaggi in stile architettura radicale li accomuna quasi tutti. In pochissimi disegnano a mano, nessuno o quasi lo fa con un minimo d’ironia, tutti si sentono pronti a confrontarsi con l’assoluto metafisico. Sarebbe impossibile passarli in rassegna uno per uno, possiamo menzionare però i più leggiadri, vale a dire i decani: il disegno a china di Ugo La Pietra e l’acquerello di Aimaro Isola. Tra i più giovani invece c’è una tavola alla Sottsass, però in bianco e nero, di Matteo Ghidoni, e una sarcastica sezione infernale attraversata da un moderno ascensore opera di Manfredo di Robilant.

Insomma, dopo la prima sala luminosa e razionale nonostante l’ombra lunga della mistificazione fascista, la rassegna dei cento architetti è una sarabanda di divertissement grafici, un’occasione persa di presentare uno spaccato dell’architettura italiana d’oggi.

 

Immagine di copertina: © Claudio Ripalti

Città di Dio. Città degli uomini. Architetture dantesche e utopie urbane“,

A cura di Luca Molinari e Luigi Gallo

Dal 25 novembre 2021 al 27 marzo 2022

Palazzo Ducale, Urbino

catalogo Marsilio

Autore

  • Federica Ciavattini

    Architetta, designer e dottore di ricerca, collabora con l’Università degli studi di Macerata dove cura il laboratorio di Design e comunicazione nella creazione del valore. È stata programme coordinator dell'Architectural Association Adriatica Visiting School presso l'Architectural Association School of Architecture di Londra, e del progetto “Il legno, nuovo modello di sostenibilità e di economia circolare per gli Appennini” per Fondazione Symbola e Federlegno. Ha collaborato con le riviste "Domus", "Il Giornale dell’Architettura", "Artribune" e "Mappe"

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Last modified: 22 Dicembre 2021