Il raddoppio degli spazi espostivi lo rende tappa d’obbligo, quale traino di un sistema museale in attesa di sviluppi
VERONA. Con la riapertura autunnale post pandemica (si fa per dire), coincidente con il raddoppio degli spazi espositivi a distanza di un anno e mezzo dalla prima inaugurazione, assume un ruolo sempre più definito il progetto di Palazzo Maffei-Casa Museo, nuova istituzione culturale privata che ha aperto al pubblico come sede espositiva della Collezione Carlon il più importante edificio seicentesco di Verona.
Ci troviamo su Piazza delle Erbe, antico cuore della città romana e poi culla della urbs picta con un magnifico palinsesto di facciate dipinte, il cui invaso affusolato fa perno sul lato nord occidentale proprio su Palazzo Maffei. A seguito dell’acquisizione da parte della famiglia Carlon del palazzo, che non era dunque la dimora del collezionista ma diventa “casa-museo” per una precisa scelta museologica e museografica, un attento restauro ha interessato la spettacolare facciata sulla piazza e quelle sulle corti interne, la magniloquente scala elicoidale che conduce i visitatori al piano nobile e gli apparati decorativi pittorici e a rilievo presenti nelle sale; in parallelo sono stati condotti importanti interventi strutturali di consolidamento e adeguamento impiantistico, con soluzioni poco invasive.
Un insieme di lavori propedeutici alla rimodulazione degli spazi interni, con la definizione nei due piani del museo di un percorso organico ad anello privo di barriere architettoniche, per consentire una fluida declinazione del progetto di allestimento. A condurre questi interventi, sotto l’egida della committenza e di Gabriella Belli – attuale direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia – che ha ideato il concept espositivo e curato l’ordinamento delle opere, è stato chiamato lo studio Baldessari e Baldessari, ricreando quel sodalizio che aveva portato a metà degli anni ottanta alla realizzazione degli Archivi del 900 a Rovereto, sede del Mart in era pre-Mario Botta.
Una collezione eclettica, dall’antico al contemporaneo
Dal punto di vista allestitivo, assieme alla dotazione di sistemi illuminotecnici e di controllo climatico adeguati ai più elevati standard museali, ciò che caratterizza gli spazi del nuovo museo è la ricca successione di ambienti fortemente caratterizzati, sia dalle tinte delle pareti dai colori decisi che dagli apparati decorativi del palazzo: il tutto in un serrato dialogo e in consonanza con una collezione dal carattere sostanzialmente eclettico, messa assieme in una vita di ricerche appassionate dall’imprenditore Luigi Carlon ed espressione del suo gusto aperto sia all’antico che alle ricerche contemporanee.
Si dipana così il percorso tra le oltre 350 opere esposte, con quasi 200 dipinti, una ventina di sculture, disegni e un’importante selezione di oggetti d’arte applicata (mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei-settecentesche ma anche argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi).
La Wunderkammer e il contemporaneo
Negli ambienti al primo piano, superato il salone d’ingresso con un’installazione site specific in neon blu, l’esposizione privilegia una sequenza cronologica in dialogo con gli ambienti del palazzo, evocando l’atmosfera della dimora del collezionista e il senso della Wunderkammer: ecco così i nuclei tematici d’arte antica in cui irrompe all’improvviso il dialogo con la modernità, con inusuali accostamenti paratattici.
Il secondo piano è invece dedicato prevalentemente al Novecento e all’arte contemporanea, dando spazio alla passione del collezionista in particolare per il Futurismo e la Metafisica, assieme a molti altri esponenti delle avanguardie italiane e straniere. Anche a questo livello ritroviamo i colori decisi delle pareti e gli innesti a tema, le installazioni e i dialoghi tra antico e contemporaneo, come ad esempio nell’Antiquarium che riunisce frammenti scultorei d’epoca romana, l’antico trasognato di un dipinto di De Chirico e una figura di pietra di Mimmo Paladino.
Il percorso si chiude con una project room destinata a promuovere l’arte contemporanea, lasciando idealmente aperta la collezione verso le nuove generazioni, che ospita in questa prima occasione Daan Roosegaarde: architetto, designer e artista olandese che ha realizzato per l’occasione un poetico “tecnofiore”.
Palazzo Maffei-Casa Museo si propone fin d’ora come una tappa d’obbligo per i visitatori di Verona. Chissà che questa lodevole iniziativa privata non riesca a dare slancio anche all’intero sistema museale, tra progetti che non decollano, come quello di un atteso Museo della Città, e un’altra casa diventata museo a furor di popolo, quella di Giulietta, incapace di accogliere le moltitudini che accorrono a visitarla. Per non parlare dell’imperdibile Museo di Castelvecchio, meta da sempre di pellegrinaggi architettonici per onorare il “culto” di Carlo Scarpa, ma cronicamente carente dei servizi necessari a un museo moderno, nonostante questi siano facilmente ricavabili negli ambienti ancora anacronisticamente occupati dal Circolo Ufficiali dell’Esercito all’interno del medesimo complesso monumentale scaligero.
Immagine di copertina: la sala d’ingresso al primo piano (foto di Paolo Riolzi)
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allestimenti , arte contemporanea , barocco , case-museo , musei , restauro , verona
Last modified: 6 Dicembre 2021