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Le donne della Wiener Werkstätte, tutt’altro che epigone!

Le donne della Wiener Werkstätte, tutt’altro che epigone!

Una mostra al Mak di Vienna su 200 artiste della comunità di design fondata nel 1903 da Josef Hoffmann, Koloman Moser e Fritz Wärndorfer

 

VIENNA. Sono ormai diversi anni che gli storici dell’arte scandagliano la produzione artistica austriaca dalla metà dell’Ottocento ai primi del Novecento, per riportare alle luce l’operato di artiste donne e affrancarle dal cono d’ombra proiettato da colleghi celeberrimi. Ancora nella grande mostra del Man (Museo delle arti applicate) nel 2003 sulla Wiener Werkstätte, il focus era sulle creazioni di Josef Hoffmann, Koloman Moser e Dagobert Peche. Ma, non diversamente dalle donne che contribuirono al Bauhaus, sostanzialmente omaggiate in Germania solo nel centenario del 2019, negli ultimi due anni il grande museo viennese ha perlustrato i suoi folti archivi alla ricerca delle quasi 200 donne che diedero un contributo di rilievo all’avventura della Wiener Werkstätte e le presenta in una mostra.

Fondata nel 1903 da Josef Hoffmann, Koloman Moser e dall’industriale Fritz Wärndorfer, nei suoi numerosi laboratori di ceramica, oreficeria, falegnameria, pelletteria, sartoria, vetreria, la Wiener Werkstätte produceva prodotti pensati per offrire opere di design per la vita di tutti i giorni. Un intento a tutto campo che incontrava in realtà soprattutto il gusto e le disponibilità economiche di quella grande borghesia viennese illuminata, spesso con sfondo ebraico, che si faceva progettare appartamenti e ville da architetti di grido come Otto Wagner, Josef Hoffmann o Adolf Loos e che con dipinti di artisti coevi, primi fra tutti Gustav Klimt, adornava le proprie dimore, in cui si tenevano salotti letterari e concerti privati con la partecipazione d’intellettuali e artisti di primo piano. Per quelle residenze concepite come opere d’arte totali la Wiener Werkstätte fornì un contributo importante, anche se per un periodo relativamente breve. Già dopo la prima guerra mondiale, con la grave crisi economica che travolse l’Austria iniziò il progressivo declino.

Fino al 1920 a Vienna alle donne era vietato frequentare l’Accademia di belle arti. Al più potevano prendere lezioni private o iscriversi alla Scuola di arti applicate, i cui docenti arruolavano volentieri anche allieve per i laboratori della Wiener Werkstätte, dove comunque a lungo la maggior parte di esse non poteva firmare le opere che creava, commercializzate con il nome di colleghi più in vista. Tuttavia, per le artiste austriache, proprio il periodo di penuria e forzata assenza maschile nella Grande guerra, e di altrettanto forzato accesso delle donne al mondo del lavoro, nonché gli anni della difficile ricostruzione e della grave crisi degli anni venti costituirono un’opportunità di riscatto che consentì loro di avanzare almeno un poco verso la ribalta e farsi apprezzare in quanto artiste tutt’altro che epigonali.

L’imponente mostra del Man, dal titolo “Le donne della Wiener Werkstätte”, dà ora loro il giusto risalto, presentando centinaia di oggetti, che ben mettono in luce l’elevata qualità e la grande versatilità di queste artiste, fra cui spiccano Gudrun Baudisch, Charlotte Billwiller, Mathilde Flögl, Susi Singer, Jutta Sika, Leopoldine Kolbe, Marianne Leisching. Si scopre così che per le rinomate serie di cartoline illustrate targate WW, e prodotte dal 1907, di cui si ricordano solitamente quelle elaborate da Oskar Kokoschka, Egon Schiele, Bertold Löffler o Rudolf Kalvach, in realtà il 40% della produzione, vuoi floreale, geometrica o paesaggistica, venne realizzato da donne.

Di Maria Likarz è esposto il kimono d’ispirazione nipponica che Marlene Dietrich indossò nel 1930 per il film “L’angelo azzurro”: non casualmente quello stesso anno la WW aveva aperto una filiale a Berlino. Particolarmente interessante nella presentazione curata da Anne-Katrin Rossberg ed Elisabeth Schmuttermeier è la giustapposizione di una stoffa di seta ideata da Martha Alber per la WW e il suo utilizzo per la blusa del celebre ritratto di Johanna Staude, firmato da Klimt nel 1917-18 e prestato per l’occasione dal Museo del Belvedere.

Dopo la chiusura definitiva della Wiener Werkstätte nel 1932, e con l’ascesa del nazismo, molte delle artiste emigrarono e si stabilirono perlopiù sulla costa orientale degli Stati Uniti, come Vally Wieselthier, che con le sue ceramiche artistiche fece carriera a New York.

 

Immagine di copertina: Charlotte Billwiller, Mathilde Flögl, Susi Singer, Marianne Leisching und Maria Likarz, Fotografie (1924, © MAK)

 

Die Frauen der Wiener Werkstätte (Le donne della Wiener Werkstätte)

MAK Museum of Applied Arts, Vienna
fino al 3 ottobre
catalogo bilingue tedesco/inglese, edizione MAK e Birkhäuser Verlag GmbH, Basilea

 

Autore

  • Flavia Foradini

    Giornalista e autrice per carta stampata e radio, si occupa da oltre trent’anni in particolare di area germanofona e anglofona, ma segue anche temi globali. Scrive per numerosi editori italiani ed esteri, tra cui Il Sole 24 Ore, il gruppo Allemandi, il gruppo Espresso-Repubblica, la RSI (Radiotelevisione della Svizzera Italiana, per cui realizza approfondimenti e audiodocumentari). Ha collaborato con il Piccolo Teatro di Milano e insegnato alla Kunstuniversität di Graz. Ha curato e/o tradotto numerose opere di e sul teatro, e saggi storici. Si è occupata approfonditamente fra l'altro di architettura nazista, in particolare del sistema delle torri della contraerea, su cui ha scritto, tenuto conferenze, e realizzato mostre (con fotografie di Edoardo Conte). Osserva dagli anni '80 gli sviluppi urbanistici e architettonici di Vienna

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Last modified: 20 Luglio 2021