Protagonista della Scuola paulista e Premio Pritzker, l’architetto brasiliano è stato anche maestro di umanità
Il 23 maggio è mancato a San Paolo del Brasile Paulo Archias Mendes da Rocha. Conosciuto e apprezzato in Italia anche grazie a Daniele Pisani, autore della fondamentale monografia edita da Mondadori/Electa (in spagnolo per Gustavo Gili, in inglese per Rizzoli International) con ampia introduzione di Francesco Dal Co, allo stesso tempo oggetto di riflessioni specifiche da parte di altri autori – tra gli altri, Carlo Gandolfi -, di Mendes da Rocha vale ricordare, oltre alle evidentissime doti di architetto, la grande generosità intellettuale e lo sguardo mai convenzionale sul mondo.
All’estero, riconoscimenti unanimi ma tardivi
Formatosi presso la Universidade Mackenzie di San Paolo, vince il concorso per la costruzione del Club Atletico Paulistano (1957-1961, con João de Gennaro) e con questo comincia una carriera riconosciuta tardi nel mondo ma in modo molto significativo: Premio Mies van der Rohe America Latina (2001), Premio Pritzker (2006), Leone d’Oro della Biennale di Venezia e Premio Imperiale della Japan Art Association (2016), Riba Gold Medal (2017), Golden Medal del Congresso UIA 2021 di Rio De Janeiro e l’invito dell’Accademia di San Luca come Accademico architetto straniero, entrambi recentissimi.
Aneddoti e pensieri
Ho avuto la fortuna d’incontrarlo personalmente alcune volte. La prima nel 2017 per un testo per “Domus” (n.1017, ottobre 2017), dopo che il direttore Nicola Di Battista aveva provveduto a presentarmi formalmente via email. Dopo mezz’ora che parliamo – io nel mio ineffabile portunhol – Mendes da Rocha si produce in un gesto liberatorio e dice: “Ah, ora ho capito! Tu non sei uno di quegli architetti-professori italiani ‘pesanti’, sei engraçado (tra simpatico, divertente e grazioso): poi chiamiamo un taxi e andiamo a vederlo insieme l’edificio del SESC 24 de maio”. Proseguiamo così per tre ore nel suo escritorio la conversazione per registrare l’intervista insieme a Marta Moreira, partner con lo studio MMBB per questo e vari altri lavori.
Mendes da Rocha parla, tra battute argute e frasi da scolpire nella pietra, tipo: “L’architettura può contribuire a esibire la virtù del vivere urbano costruendo strutture di cultura e convivenza – contrastando quel terrore indotto che fa credere alla necessità di un capo, o leader, o dittatore”. Poi, durante la visita all’edificio, fino alla piscina in copertura, altre perle tipo: “Beh, se poi noti questo SESC 24 de maio ha finiture semplificate, senza dettagli ‘da virtuoso’; se qualcuno vuole sostenere che si tratta di un approccio ancora brutalista, posso rispondere che, in generale, le classificazioni critiche o la teoria non mi riguardano troppo: lavoro con ciò che stiamo vedendo e toccando, è di questo che rispondo e su questo posso essere giudicato. È vero che i particolari di questo edificio non hanno nulla a che vedere con il lavoro di Carlo Scarpa: appunto, le finiture e i dettagli non sono tra le mie preoccupazioni. In fondo penso che le ‘finiture’ dell’architettura della città siano le persone in quanto la completano”.
Maestro anti-star
Con un profilo assai speciale di personaggio pubblico ovvero anti-archistar, oggi più conosciuto del suo fondatore João Vilanova-Artigas, Mendes da Rocha è stato formidabile interprete della Scuola paulista, anche per la sua peculiare articolazione tra geografia – “Per me la prima e primordiale architettura è la geografia” (Rosa Artigas, Paulo Mendes da Rocha, Cosac & Naify, São Paulo 2000, p. 172) – e topografia come opportunità di lettura urbana verso il progetto.
Analogamente, il suo raffinato approccio alla struttura è divenuto impronta culturale profonda, condivisa in modo particolare con quegli architetti della capitale paulista che gravitano tra la Escola da Cidade dove insegnano o si formano, l’edificio di Rino Levi dove hanno sede sia lo IAB-Instituto dos Arquitetos do Brasil che lo studio di Mendes da Rocha, e i bar della stessa rua General Jardim, dove si discute quasi esclusivamente di architettura anche attraverso interminabili aneddoti, a 200 metri dall’immenso edificio Copan di Oscar Niemeyer: “Tudo è projeto!” (Joana Mendes da Rocha, Patricia Rubano, Paulo Mendes da Rocha – Tudo è projeto, documentario 74′, Brasile 2017).
Ancora pochi mesi fa, la vicenda della donazione dell’archivio di Mendes da Rocha alla Casa da Arquitetura di Matosinhos in Portogallo – che questo Giornale dell’Architettura ha approfondito attraverso quattro contributi (del sottoscritto, di Antonello Alici, di Paola Pettenella, di Mirko Zardini) -, ha registrato grande attenzione mediatica e passione civile, rendendo ulteriormente palese quanto “Paulinho” fosse amato da tutti, in Brasile.
Per molti di noi, per i quali l’eternità del lavoro e del pensiero di questo maestro era fuori discussione già da tempo, resta da accettare la mancanza della sua presenza fisica, del suo sguardo acuto e del suo sorriso, oltre a quel senso di libertà che egli generosamente sempre sapeva diffondere.
Ricordo con piacere che Mendes da Rocha è stato tramite per conoscere Leonardo Finotti, il fotografo che nel tempo ha costruito il prezioso archivio online. Grazie al suo lavoro, i lettori del Giornale dell’Architettura possono ripercorrere l’opera del grande architetto brasiliano al seguente link.