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Tony FedeWritten by: Forum

Critica alla ragion resiliente

Critica alla ragion resiliente
Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sulla resilienza, come concetto non applicabile agli insediamenti urbani

 

Le caratteristiche della resilienza sono l’elasticità e la plasticità. In ogni caso un corpo assorbe, per poi restituirla, energia dall’esterno. Una condizione che permette al corpo, non senza stress, di riprendere la forma precedente. Quindi in definitiva è una caratteristica di un materiale che gli permette di superare uno stress proveniente dall’esterno rimanendo se stesso. La resilienza stabilisce un rapporto di reattività e, quindi, acquisizione dell’equilibrio originario con il contesto originante le azioni di disturbo.

Questo è valido, e perfettamente comprensibile nel caso dell’uso di un materiale per la realizzazione di un oggetto perché permette di prevederne le reazioni, unica condizione che permette di avere la certezza del progetto e della giustezza delle scelte fatte, ma sembra assolutamente fuori luogo e sostanzialmente negativo, per gli effetti che ne discendono, utilizzarla come caratteristica delle città in rapporto agli stress a cui è sottoposta, in questo periodo di forte ansia, per il futuro del modello di sviluppo del quale le città ne rappresentano il paradigma. Ma ciò che è improprio è la caratteristica stessa della resilienza, che è comprensibile per sistemi semplici ma che non è assolutamente applicabile a un sistema complesso come la città.

Una città resiliente dovrebbe rispondere a tutte le sfide e le negatività che le provengono dall’esterno e dal suo interno, cercando equilibri che non ha mai avuto. Inoltre, la città resiliente dovrebbe riadattarsi ciclicamente, in rapporto a sfide e impatti che provengono da altre programmazioni e pianificazioni, da scelte energetiche e processi economici, lontani da essa e che si evolvono e diventano sempre meno contrastabili. Impatti che dovrebbero essere attenuati da politiche sviluppate esternamente alla città. In questo scenario, la città resiliente è l’ennesimo tentativo di affossare la ricerca di nuovi equilibri, ruoli e funzioni dei territori, locali e globali, invece di essere protagonista di nuovi equilibri e di nuova pianificazione.

Ma quali sono gli attori ai quali è attribuita la capacità di rendere resiliente la città? Soprattutto la società che dovrebbe manifestarsi con comunità urbane e gruppi economici che, in un processo d’identificazione con le sfide alle quali è sottoposta la città, dovrebbero assumere in sé la responsabilità di avviare la condivisione di processi sostenibili, cioè quei processi che entrano in rapporto stretto con le forme nuove di governo e di vissuto della città e del territorio, nella prospettiva di contrastare il decadimento delle forme di rappresentazione territoriale dell’uomo.

Nel dettaglio, le diverse forme sociali ed economiche dovrebbero rispondere solidalmente e chiudere un patto di corresponsabilità per una città resiliente, quando queste sono state sempre in conflitto, se non antagoniste, nell’appropriarsi delle facilities offerte dalla città. E questo, chiaramente, cozza con la carenza, in qualità e quantità, di urbanità, un requisito che vuol dire identificazione, appropriazione di spazi e processi, condivisione di qualità specifiche, resistenza alla chiusura identitaria, valorizzazione di principi e risorse condivisi, attribuzione di valore in sé alla dimensione urbana. In ogni caso, la città resiliente sarebbe antagonista per fini e intenzioni di tutto ciò che non è se stessa.

In questo periodo, domandare alla città di essere resiliente è farle carico di ammortizzare tutte le contraddizioni che questo modello di sviluppo ha generato. Si chiede alla città di metabolizzare cattive scelte, pessime gestioni, tempeste economico-finanziarie locali e globali, non avendo in sé né gli strumenti, né le capacità per farlo.

In definitiva, la resilienza urbana cercata a tutti i costi costruisce uno scenario di adeguamento alla crisi del modello di sviluppo occidentale, fatto proprio da altre civiltà, che in questo modo cerca la sua legittimazione e perpetuazione.

 

Immagine di copertina: pittura di Guido Mannini ch raffigura la città di Ghardaia (Algeria)

 

Autore

  • Tony Fede

    Architetto e PhD in Pianificazione della città mediterranea. Laureato all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Professore a contratto di strumenti europei di coesione presso la stessa Università. Libero professionista e formatore. Consulente senior per il Formez per l’attuazione di Agenda 2000. Consulente per processi di internazionalizzazione tra università africane e italiane. Esperto di sviluppo urbano sostenibile

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Last modified: 11 Maggio 2021