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Simona CanepaWritten by: Città e Territorio

Ritratti di città. Teheran bifronte

Ritratti di città. Teheran bifronte

Prima parte del reportage dalla capitale iraniana che, tra landmark di ieri e opere contemporanee, si proietta verso il futuro con radici ben piantate nel glorioso passato

 

Nell’immaginario comune è nota per essere stata teatro della rivoluzione del 1979, della cacciata dello Shah di Persia (Mohammad Reza Pahlavi, 1919-1980) e dell’instaurazione del regime degli Ayatollah. A prima vista Teheran non colpisce perché non dà l’idea di essere una bella città; bisogna viverla per apprezzarla.

La capitale iraniana è strutturata in tre fasce. La zona nord è abitata principalmente dalle classi più abbienti e dai nuovi ricchi, con edifici pluripiano che s’inerpicano sulle pendici dei monti Elburz. La zona centrale accoglie le istituzioni museali, i palazzi del potere, il Gran bazar. La zona sud con i quartieri più poveri in continua espansione che lambiscono la sabbia del deserto di Dasht-e-Kavir. Così appare Teheran dalla piattaforma panoramica della Torre Milad, la più alta dell’Iran e la sesta al mondo, inaugurata nel 2007.

La città deve essere scoperta: con i suoi grattacieli che ne sottolineano il carattere di città globale in continua evoluzione, Teheran è il cuore dinamico e pulsante della nazione, la più popolosa metropoli del Medio Oriente. La sua storia è molto recente: piccolo villaggio all’ombra della città di Ray, una delle capitali della dinastia Selgiuchide, nel XVIII secolo divenne la sede della dinastia Safavide e capitale dell’Iran nel 1794.

 

I landmark del recente passato

Molti monumenti che ancora oggi la caratterizzano sono stati progettati durante il regno di Reza Pahlavi negli anni settanta per darle un volto contemporaneo: la Torre Azadi, disegnata da Hossein Amanat in marmo bianco e pietra della regione di Esfahan con decorazioni in maioliche azzurre, è una combinazione di architettura achemenide, sassanide e islamica costruita per i 2.500 anni della fondazione del primo impero persiano da parte di Ciro il Grande. Il Museo di arte contemporanea, progettato da Kamran Diba, ha un’architettura basata sulla combinazione di elementi strutturali moderni insieme ad altri tradizionali autoctoni, come le torri acchiappa-vento (badghir). Il Museo dei tappeti, ideato da Abdol-Aziz Mirza Farmanfarmaian con una pelle esterna perforata che ricorda il telaio di un tappeto, è in grado di ridurre l’impatto del caldo sole estivo sulla temperatura interna delle sale.

Questi architetti riuscirono con grande abilità a fondere elementi tradizionali della cultura persiana in un design contemporaneo. Tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta furono chiamati a Teheran Gio Ponti, che progettò la villa Nemazee, e William Wesley Peters, genero di Frank Lloyd Wright che disegnò il palazzo Shams per la sorella dello Shah. Entrambe ispirate al modello della casa tradizionale a corte con patio aperto sul giardino, le opere sono oggi abbandonate e minacciate da trasformazioni edilizie.

 

Le architetture di oggi

Nonostante l’embargo e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti a partire dalla rivoluzione e inasprite con la politica dell’ex presidente Donald Trump, l’attività edilizia non sembra essersi fermata. Recentemente in ambito pubblico sono stati realizzati segni importanti per la città. Il ponte pedonale Tabiat, che connette due parchi nella zona nord separati da una superstrada. Nel progettare l’infrastruttura in calcestruzzo e acciaio, l’architetto Leila Araghian, vincitore del concorso, voleva che fosse un luogo dove le persone potessero stazionare e riflettere, non semplicemente transitare. Ecco perché il ponte non è rettilineo, bensì organizzato su tre livelli collegati da scale e rampe, e ospita sedute, bar, ristoranti, belvederi; una sorta di piazze urbane per il tempo libero e il ristoro, richiamando la tradizione persiana dei ponti di Esfahan.

La moschea di Vali-e-Asr, disegnata dagli architetti Reza Daneshmir e Catherine Spiridonoff (Fluid Motion Architects), è situata nel cuore culturale della capitale, in corrispondenza del più importante incrocio cittadino. Colpisce che l’opera sia priva di cupole, minareti e decorazioni parietali in maiolica, rifacendosi alla semplicità e orizzontalità che caratterizzavano le prime moschee. L’edificio sembra alzarsi dal livello della strada in direzione della Mecca, in perfetta armonia con il modernista teatro comunale e con lo spazio pubblico, luogo di incontro per tutte le età. La presenza di elementi concavi e convessi a sviluppo orizzontale e i giochi di luce e ombra che ne conseguono, conferiscono all’interno un’atmosfera di forte spiritualità.

(continua)

LEGGI LA SECONDA PARTE

 

Autore

  • Simona Canepa

    Architetto, docente presso il Politecnico di Torino del corso di Design for living nella laurea triennale di Architettura e dell’atelier Progettazione degli spazi abitativi nel Master in Interior Exhibit & Retail Design. Nel 2019 è stata visiting researcher presso la School of Architecture della University of Tehran nell’ambito del progetto di Internazionalizzazione della Ricerca del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, i cui esisti sono stati pubblicati nel volume “Spaces for living, Spaces for sharing” edito da LetteraVentidue.

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Last modified: 10 Marzo 2021