A 15 anni dalla fondazione, si rinnova uno dei principali urban center italiani: un’occasione per fare il punto sul loro ruolo, ma anche sulle trasformazioni del capoluogo piemontese
TORINO. Possono, tre piccole salette passanti (per poco più di 100 mq totali, più altri 50 dedicati a mostre temporanee e proiezioni), contenere il racconto della storia urbana recente (dal 1946), restituire un’istantanea dello stato odierno delle aree di trasformazione, e illustrare politiche e progetti per l’immediato futuro? Ovviamente no, se non rimandando a un patrimonio immateriale di mappe, dati e documenti ritrovabili grazie al sito web. Ecco perché la nuova veste di Urban Lab Torino, presentata il 15 ottobre nei locali di piazza Palazzo di Città, dove si trova dal 2012, non si può considerare una rassegna e neppure una “vetrina”, bensì un semplice “biglietto da visita”. E l’allestimento, quasi ascetico e ammiccante all’installazione artistica, è la plastica rappresentazione di quel rimando: spazi svuotati, iconografia marginale, niente pannelli che fanno tanto noiosa mostra di architettura o serioso museo della città.
Per quale pubblico?
Addetti ai lavori? Cittadini? Turisti? Dietro questa domanda, sta la più profonda questione che riguarda il ruolo stesso di un urban center, declinato diversamente a seconda dei contesti, soprattutto internazionali. Se il primo, il Pavillon de l’Arsenal, varato a Parigi nel 1988, è stato il riferimento delle vetrine che passano in rassegna, con grandezza di mezzi, i progetti per la città che cambia (poi superato in grandeur dalle exhibition hall cinesi, da Shanghai a Chengdu, dove una gigantesca cupola in vetro presenta addirittura un modello, di oltre 1.000 mq, dell’intera conurbazione), la strada seguita da Torino è stata diversa. Fondato nel 2005, Urban Center Metropolitano (questo il nome originario) esercitò fino al 2014 una duplice missione di accompagnamento ai piani e progetti: da una parte, come supporto scientifico-critico per una loro migliore messa a punto; dall’altra, come sede di un confronto reale sulle scelte con i vari attori urbani.
Torino dove sei?
D’altronde, la situazione rispecchia le politiche urbane attuali che, certo, non presentano particolari spunti degni di nota. Nelle more della revisione del PRG, di cui tuttavia troppo poco si sa, si nota qualche progresso nell’ambito delle infrastrutture. In estate è stata finalmente affidata, a Infra.To, la progettazione della Linea 2 della metropolitana, mentre nella parte settentrionale della città avanza, sebbene a rilento, il completamento del passante ferroviario. Il progetto, avviato nell’ormai lontano 1987, sta lavorando sul collegamento con la linea Torino-Ceres, che in estate ha visto la chiusura della storica stazione Dora, ma attende ancora le stazioni: Rebaudengo Fossata ha visto l’assegnazione della progettazione esecutiva a fine 2019, mentre ancora nulla è noto per Dora e Zappata.
Sul fronte architettonico, la città conta ben pochi cantieri di spicco. Il sito delle OGR non vanta, nella seconda parte del recupero dedicato all’insediamento di start up, inserti all’altezza della straordinarietà dello spazio. Più interessante, dal punto di vista del processo, il recupero dell’ex caserma dei Vigili del fuoco nell’ostello Combo, adiacente al mercato di Porta Palazzo. Ancora drammaticamente lontano dalla conclusione il grattacielo della Regione (il cui progetto è ormai sostanzialmente disconosciuto dallo studio Fuksas), si attende di vedere qualcosa della futura Città della Salute nelle limitrofe aree ex Fiat avio in zona Lingotto. Qui, nell’immediato, qualcosa d’interessante potrebbe scaturire dall’operazione imprenditoriale (pro domo sua) di Oscar Farinetti con Green Pea, che vuole estendere la filosofia e il marketing di Eataly al non alimentare. L’edificio è progettato da Cristiana Catino e Negozio Blu, già autori del recupero dell’ex Carpano con il primo Eataly a cui il nuovo volume si appoggia, e dovrebbe inaugurarsi a inizio dicembre (Covid permettendo).
Mentre si sta ancora celebrando (premio In/Architettura Nord-Ovest 2020) la “Nuvola” di Lavazza, griffata Cino Zucchi Architetti ma terminata da oltre due anni, sono pochi i progetti di trasformazione d’importanti aree che stanno concretamente procedendo. Tra questi, l’ex stazione di Porta Susa: dopo il tentativo, abortito in pochi mesi, d’insediarvi un mercato rionale, la società milanese Lombardini 22 sta lavorando alla realizzazione di un hotel 4 stelle per conto di Vastint Hospitality Italy (Gruppo Ikea), con il cantiere che dovrebbe partire a gennaio. Sembrano invece ferme altre iniziative come il nuovo The Student Hotel, che dovrebbe arrivare sulle rive della Dora davanti al recupero dell’ex Tobler e dietro Combo, confermando anche una delle linee di sviluppo prefigurate da una pianificazione strategica purtroppo prematuramente abbandonata.
Finalmente, sembra invece potersi innescare il difficile recupero mai avviato di Palazzo del Lavoro, passato alla proprietà esclusiva di Cassa Depositi e Prestiti. Fase delicata anche per Torino Esposizioni: se il Padiglione V è praticamente pronto come ospedale da campo pro Covid-19, per la trasformazione dell’intero complesso bisogna ancora attendere, in quanto il masterplan condiviso tra Città, Politecnico di Torino e Università degli Studi dev’essere rivisto in alcune sue parti. Stallo anche per la storica ex Borsa Valori, così come per la conversione dei comparti dismessi presso la Fiat Mirafiori. È invece tornata a piena vita una delle icone architettoniche della Torino tra le due guerre, l’ex palazzo per uffici Gualino firmato da Giuseppe Pagano e Gino Levi Montalcini: l’elegante e filologico recupero, per mano dello studio Baietto Battiato Bianco, lascia tuttavia l’amaro in bocca per la destinazione ad appartamenti di lusso che estromette qualsiasi fruizione collettiva (mentre, in precedenza, l’immobile aveva già conosciuto un riutilizzo a uffici pubblici). Infine, nella parte nord, si è chiuso a ottobre il bando per la vendita dell’ex Manifattura Tabacchi che, promosso da Agenzia del Demanio e Città, potrebbe dare avvio a un altro recupero atteso e mai partito.
Nel complesso, comunque, il confronto con Milano è impietoso…
Come stanno gli altri urban center in Italia?
Torino, insieme a Bologna, resta in ogni caso la realtà più attiva sul fronte delle agenzie urbane che stimolano la discussione. A loro due si deve la costituzione, nel 2017, della Rete degli urban center, che conta 17 soggetti nell’intera penisola. Tra loro molto diversi, sia come emanazione che come missione, essi non paiono aver portato a maturazione quel fermento che, nei primi anni duemila, pareva segnare un cambio di passo nei rapporti tra cittadini e istituzioni, e che sembra aver virato verso pratiche più informali di partecipazione. Da allora, infatti, il novero delle agenzie urbane non si è accresciuto. Anzi, per talune aggiuntesi nel corso degli anni, altre si sono perse per strada. Così, oggi alcuni urban center si presentano in rete solo attraverso un profilo social, mentre altri paiono una sorta di statico sportello informativo digitale della pubblica amministrazione. Con contraddizioni irrisolte. Ad esempio, per le strutture istituzionali, il problema della terzietà e dell’indipendenza rispetto alle dinamiche in discussione; mentre, per quelle costituitesi dal basso, ovvero dall’organizzazione spontanea di soggetti portatori d’interesse, la scarsa autorevolezza e riconoscibilità.
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allestimenti , partecipazione , torino
Last modified: 11 Novembre 2020