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Evelina Gambino e Tekla AslanishviliWritten by: Città e Territorio

Anaklia, la città del futuro che non c’è

Anaklia, la città del futuro che non c’è

In un villaggio della Georgia sulla costa del Mar Nero, i piani di trasformazione territoriale, ripetutamente falliti, hanno lasciato solo macerie e desolazione

 

* L’articolo tratta alcuni dei temi esplorati nel video Remaking Anaklia – The Archietcture of Ruinrealizzato dalle autrici per la seconda edizione della Biennale di Tbilisi, conclusasi l’8 novembre 2020

 

Il villaggio di Anaklia si trova al confine nord-occidentale della Georgia, a pochi chilometri dall’Abkhazia: una regione separatista luogo di molteplici conflitti dal crollo dell’Unione Sovietica. Un susseguirsi di progetti ha investito per oltre un decennio questo villaggio nel tentativo di trasformarlo in uno snodo internazionale di transito per merci e persone. Ultimo tra questi, il piano di costruire qui il più ampio porto del Paese, una free industrial zone e una smart city chiamata Anaklia City e descritta dai suoi fautori come “la città del futuro”. Questi programmi mirano a posizionare la Georgia come uno snodo chiave della nuova Via della seta destinata a connettere la Cina al mercato europeo attraverso una rete senza precedenti d’infrastrutture logistiche, a loro volta organizzate in una serie di corridoi di transito concorrenti. Il progetto d’inserire Anaklia nei flussi di commercio globale è stato recentemente interrotto a causa del fallimento della compagnia incaricata di procurare gli investimenti necessari alla sua realizzazione. Già prima di questa disfatta, un altro tentativo di trasformare le sponde del villaggio in un polo infrastrutturale era fallito, lasciandosi dietro i relitti architettonici della sua grandiosa promessa di progresso.

 

Relitti di icone spaesate

A breve distanza dal centro abitato, dopo aver attraversato una vasta distesa di terreno accidentato, un tempo coltivato dalle piccole piantagioni degli abitanti locali, la strada sterrata confluisce in un viale asfaltato lungo trecento metri. Adornato da palme, il boulevard si snoda a ridosso di cumuli disordinati di giganteschi frangiflutti di calcestruzzo abbandonati sulla spiaggia, per finire bruscamente in una delle paludi disseminate nella maggior parte del terreno adiacente Anaklia. Dietro le palme, sul lato destro della strada, emerge una struttura avveniristica: massicci volumi di vetro, portati da colonne d’acciaio, fluttuano nello spazio, come se cercassero di sfuggire l’un all’altro e al terreno. La struttura da lontano appare lucida e nuova ma a un esame ravvicinato mostra i segni del degrado impressi dalle intemperie: le frequenti piogge ne hanno arrugginito i bordi e il rivestimento metallico ha iniziato a staccarsi a causa dell’aria salmastra.

Questo luogo semi-abbandonato non ha mai svolto la funzione prevista, è ciò che resta del primo tentativo d’inserire Anaklia al centro delle rotte logistiche globali. L’edificio centrale, ora in rovina, è stato progettato dallo studio georgiano Architects of Invention nel 2011: l’edificio municipale doveva essere il primo pezzo dell’ambizioso progetto dell’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili di trasformare il territorio in una Zona economica speciale, chiamata Lazika. Nel 2012 un’altra costruzione, la scultura del molo Lazika progettata dall’architetto-artista tedesco Jürgen Mayer (1965), è stata eretta non lontano dal palazzo del Comune. Sebbene minimale, la scultura presenta tutte le caratteristiche della cosiddetta blob-architecture: algoritmi di software di progettazione digitale avanzata hanno curvato perfettamente il suo corpo metallico bianco, creando una struttura iterativamente curvilinea che è allo stesso tempo effimera e imponente.

Saakashvili è salito al potere dopo la Rivoluzione delle rose nel 2003 e, dopo aver governato per un decennio, è stato estromesso in seguito a molteplici scandali. La sua amministrazione è responsabile dell’attuazione di processi rapidi e pervasivi di privatizzazione e deregolamentazione del mercato che ancora modellano il panorama economico della Georgia. Durante il governo di Saakashvili, una serie di edifici sono stati commissionati a Mayer per ospitare le istituzioni pubbliche che organizzano la circolazione di merci e persone attraverso il territorio georgiano. Tutti gli edifici presentano analoghe caratteristiche, cercando di dar corpo a un’idea di forme libere e di strutture sperimentali, dove specifici algoritmi sono impiegati per (auto)organizzare la gestione dello spazio, del lavoro e del commercio. L’apparente fluidità materializzata da Mayer però, nasconde lo scontro profondo e violento tra queste sperimentazioni e gli ecosistemi su cui esse insistono. La sua brutalità è condensata in un’unica immagine: le innumerevoli ali spezzate sparse sul perimetro della scultura architettonica del molo di Mayer, quanto resta degli uccelli migratori che confusi, dalle sue forme irregolari, si schiantano contro i bordi.

 

Sabbia al vento: rovine su rovine

La sconfitta politica di Saakashvili alle elezioni del 2012 provocò l’abbandono di Lazika. Negli stessi luoghi, cinque anni dopo, il nuovo governo georgiano ha annunciato il progetto di costruire il porto e la “città del futuro”, affidandone lo sviluppo ad una multinazionale georgiana-statunitense, Anaklia Development Consortium che, distanziandosi dagli sviluppi passati, rivendica il proprio diritto a nuove sperimentazioni. Eppure, in seguito al fallimento anche di questo nuovo progetto, i 200 ettari del cantiere del futuro porto, ora abbandonati, e le tonnellate di sabbia dragata dal fondale marino e lasciata in balia dei venti a spargersi in ogni angolo del villaggio, si vanno oggi ad unire agli altri relitti che sfregiano questo angolo del Mar Nero, già provato da anni di conflitti e deprivazione.

Sulla scia di quest’ultima rovina appare chiaro come entrambi i progetti siano stati spinti da visioni che sono contemporaneamente avveniristiche e miopi, dove la ricerca di un mondo attraversato da flussi ininterrotti ignora e mortifica le forme di vita e socialità che popolano i territori in cui opera. Le architetture abbandonate di Lazika, dunque, non sono solo la testimonianza delle cieche ambizioni di trasformare Anaklia in un polo avanzato, tecnologicamente gestito e servito da connessioni globali, ma anche lo specchio degli errori ideologici e delle inadeguatezze progettuali che queste fantasie incontrollate contengono.

Autore

  • Evelina Gambino e Tekla Aslanishvili

    Evelina Gambino è dottoranda nel Dipartimento di Geografia all'University College di Londra, dove insegna. Il suo lavoro esplora i conflitti che marcano la riproduzione delle infrastrutture logistiche in Georgia e nel Caucaso meridionale. I suoi saggi sono apparsi in riviste specializzate, volumi collettivi e testate giornalistiche. Tekla Aslanishvili è artista visuale, saggista e documentarista; vive a Berlino, dove ha ottenuto un MFA all’Università delle Arti. Il suo ultimo film “Algorithmic Island” esplora i processi che s'intrecciano nella costruzione del porto di Anaklia. Recentemente Tekla Aslanishvili ha vinto il premio Hans Nefken Foundation Art Production Award. Evelina Gambino e Tekla Aslanishvili collaborano dal 2017.

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Last modified: 9 Novembre 2020